
Dopo il primo discorso del Presidente eletto emerge con chiarezza il problema del mondo: ritornare al reale o continuare con il follemente corretto?
di Marco Invernizzi
Il primo discorso da Presidente, i primi provvedimenti esecutivi hanno voluto dimostrare che Donald Trump, al suo secondo mandato, ha intenzione di andare contro il “follemente corretto”, come titola l’ultimo libro di Luca Ricolfi. “Ritorno al reale” e rifiuto delle follie ideologiche è sempre sembrato il programma di questo imprenditore, che un tempo ha ben conosciuto il “potere forte” dei “ricchi” americani, poi lo ha sfidato e sconfitto e, adesso, ne raccoglie anche il consenso.
I temi sui quali Trump ha raccolto il massimo sostegno sono legati all’opposizione verso una minoranza ideologica che ha cercato negli ultimi decenni di accelerare il processo di disgregazione dell’Occidente: l’ideologia gender, quella green, l’immigrazione incontrollata e, in generale, la cancel culture. Queste forzature ideologiche hanno prodotto la reazione di molta gente comune, che ha accusato le sinistre pro-gender, ambientaliste e immigrazioniste di trascurare i problemi reali delle persone normali.
In questo senso in quasi tutti i Paesi occidentali ci sono state rivolte di componenti importanti della popolazione contro le élite progressiste, che hanno spostato a destra elettorati e governi eletti.
Le parole più significative, fra le tante che sono state pronunciate dopo l’insediamento di Trump, sono quelle di Giovanni Orsina, su La Stampa del 24 gennaio, dove il politologo romano ha scritto di un ritorno al “senso comune”. Il senso comune non è semplicemente il buon senso, ma è qualcosa di più, potremmo forse dire la “filosofia del buon senso”. Trump ha certamente raccolto il bisogno di buon senso presente in tanti americani (77 milioni), esasperati dalle follie dell’ideologia woke. Saprà trasformare questo consenso in una politica propositiva, capace di rifare grande l’America, non nel senso di un nazionalismo deteriore, ma perseguendo un grande progetto di civiltà valido per tutto il mondo?
L’età dell’oro promessa da Trump non si realizza per decreto. L’immigrazione clandestina crea problemi, ma non si può fermarla, bisogna governarla, perché se è vero che viene sfruttata da chi vuole rompere gli equilibri interni di una nazione, tuttavia esiste e non deve essere affrontata con le immagini “muscolari” di questi giorni, poco rispettose della dignità umana e anche inefficaci.
L’incertezza identitaria di giovani maschi e femmine esiste ed è una conseguenza del crollo della famiglia, della mancanza di autorevolezza soprattutto dei padri, o della loro assenza, della lotta contro ogni forma di identità scatenata dalla rivoluzione antropologica degli Anni ‘60. I gruppi lgbtq vanno combattuti perché vogliono cancellare l’idea che esista una natura, ma poi bisogna ricostruire con pazienza sulle macerie umane di decenni di decostruzionismo delle identità, che continuano a colpire soprattutto i giovani. Ugualmente il problema dell’ambiente esiste, soprattutto nelle megalopoli asiatiche, e va affrontato non con la demagogia verde, ma con la dottrina sociale della Chiesa, che protegge l’ambiente senza impedire lo sviluppo.
E poi c’è il tema del nazionalismo: non basta fare nuovamente grande l’America, ma più si è grandi più si deve sentire la responsabilità del mondo. Il nazionalismo è la malattia contraria all’internazionalismo fluido: va bene cominciare dalla propria patria (America first), ma poi bisogna aiutare a migliorare il mondo a cui gli Stati Uniti appartengono, cioè la Magna Europa, e quindi il resto del mondo, soprattutto l’Asia, dove l’influenza degli Usa è enorme.
Che cosa farà Trump? Non resta che aspettare.
Non si deve però esagerare con l’ottimismo, salvo poi cedere alla delusione. Il mondo cambia veramente in meglio quando gli uomini si convertono e, così, muta il senso comune di un popolo. Certo, le leggi e i decreti aiutano, favoriscono i cambiamenti in positivo e sono un ostacolo al male. La politica aiuta, ma non basta. Oltretutto non dimentichiamo che chi odia tutto ciò che Trump rappresenta, cioè una concezione della politica che vorrebbe conservare i principi fondamentali del senso comune, non starà con le mani in mano, ma farà di tutto per cercare di farlo cadere, in un’America divisa quasi a metà, nella quale Trump ha preso soltanto due milioni di voti in più della sua rivale. Hanno cercato di ucciderlo durante la campagna elettorale, non si rassegneranno alla sconfitta.
Rimane il problema dell’Europa. Al Forum di Davos sono passati, nei giorni scorsi, tutti gli sconfitti nella battaglia contro Trump, segno che i famosi “complotti di Davos” non erano così vincenti come qualche complottista aveva fatto credere. Ma adesso non commettiamo l’errore contrario, pensando che tutto andrà per il meglio. L’Europa è messa male. La Germania è in campagna elettorale, la Francia è praticamente senza governo, soltanto l’Italia del governo Meloni in questo momento rappresenta un’Europa stabile, alleata agli Stati Uniti, convinta della necessità di promuovere l’Occidente e i suoi valori nativi. E’ un ruolo importante, che può aiutare Trump a ricordarsi delle responsabilità dell’America, a rammentare che l’isolazionismo non fa bene a nessuno, che Ucraina e Taiwan hanno bisogno degli Stati Uniti, così come la stessa Europa.
Lunedì, 27 gennaio 2025