Brevi riflessioni su violenza, metodo democratico e rispetto della sovranità degli Stati
di Marco Invernizzi
L’attentato a Donald Trump sta giustamente monopolizzando l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica internazionale. Al di là delle tante considerazioni che si potrebbero fare, mi pare ce ne sia una che meriti grande attenzione e riguarda l’uso della violenza nella contesa politica. Essa pare tornare negli Usa, ma con una novità che è stata notata da diversi analisti. L’uso della violenza ha tragicamente accompagnato la storia americana, dall’attentato che provocò la morte del Presidente Abraham Lincoln nel 1865, all’attentato contro il ventesimo presidente James Garfield nel 1881, all’attentato che costò la morte del presidente William McKinley nel 1901, a quello nel 1912 contro l’ex presidente Theodore Roosevelt, a quello che uccise il Presidente John Fitzgerald Kennedy nel 1963 — senza omettere suo fratello Robert “Bob” — e a quello contro Ronald Reagan nel 1981, alla stessa guerra civile americana (1861-1865). Ma dopo quest’ultima, non si è mai parlato con tanta insistenza di una possibile guerra civile negli USA come oggi: se il colpo dell’attentatore fosse stato mortale, è stato scritto da molti commentatori autorevoli in questi giorni, la prima potenza mondiale sarebbe caduta nella guerra civile. Vero o falso, eccessivo o no, io non lo so e sono felice di come le cose siano andate il 13 luglio scorso, anniversario della terza apparizione a Fatima, come è stato notato: non credo al caso ma alla Provvidenza. Gli stessi due candidati, Trump e Joseph “Joe” Biden, hanno attenuato i toni degli interventi successivi, richiamando all’unità del Paese, forse consapevoli del rischio che gli Usa stanno correndo.
Rimane il tema: la violenza oggi sta ritornando in USA come conseguenza di una drammatica polarizzazione fra due parti del Paese. È evidente, da cattolico, prendere atto che se Dio viene escluso dalla vita pubblica, se il diritto naturale cessa dall’essere riconosciuto come un riferimento per tutti, quello che si chiamava il senso comune di una nazione, allora tutto diventa possibile. Ci sono state guerre civili, in USA ma anche in Europa, quando la società era molto più rispettosa dell’attuale e quindi non possiamo stupirci che una cosa simile alla guerra civile ritorni fra le possibilità concrete. Infatti, se sono saltati i criteri per cui la vita non è sacra sempre, cioè dal concepimento alla morte naturale, perché non dovrebbe essere lecito uccidere coloro che si ritengono nemici della nazione?
Fra i principi da recuperare vi è anche quello del metodo della lotta politica. La violenza non va bene perché disprezza la dignità della persona e la sua conseguente libertà, anche di avere opinioni sbagliate. Non si tratta di essere come i liberali, che mettono verità ed errore sullo stesso piano, ma di essere cristiani, cioè di credere che la verità, che esiste ed è ragionevole, deve essere proposta certamente, ma nella libertà.
Ora, il nemico di questo metodo è l’odio ideologico che disprezza la persona che la pensa diversamente e, invece di cercare di convincerla all’interno di un quadro legislativo e di diritto, sceglie di usare la demonizzazione e la violenza. Ora gli USA hanno garantito questo quadro istituzionale rispettoso della libertà, tranne quando l’odio ideologico ha prevalso sulla ragione, sfociando nella guerra civile. Speriamo non si ripeta. E speriamo che questo clima feroce e irragionevole non arrivi anche in Europa, dove di solito giungono con pochi anni di ritardo le abitudini americane. La già parlamentare italiana Paola Binetti ha scritto parole importanti sul metodo della moderazione su Avvenire del 16 luglio, pochi giorni fa. La moderazione è intesa da Binetti come prudenza politica, la virtù insegnata dalla filosofia greca e dall’etica cristiana che sceglie il confronto e rifiuta la violenza. Non si deve essere moderati sui principi, ma sul modo di proporli, nel rispetto delle persone.
Ricordiamoci il clima di violenza del Novecento, il secolo dell’odio ideologico, delle due guerre mondiali e del terrorismo degli anni 1960/1970, soprattutto in Europa. La persona non contava: era l’idea, cioè l’ideologia, la cosa più importante. Venuto meno quel clima, c’è stato un periodo di pace dopo il 1945, sebbene funestato dalle “guerre” della Guerra Fredda. Ma la pace ha bisogno della concordia e dell’amicizia, della fratellanza che presuppone che gli uomini si riconoscano figli dello stesso Dio, quindi fratelli. Come fare? Pensare che gli uomini riconoscano improvvisamente la sovranità del Signore della storia è poco realistico: ci vuole la volontà di trasmettere quei valori e il tempo perché siano accolti. Mi sembra che oggi chi cerca e difende la pace nella giustizia abbia pochi seguaci, ma il tempo per scongiurare la guerra è pochissimo. Allora cominciamo a combattere l’odio, a tenerlo lontano dal dibattito pubblico e dalle nostre considerazioni, private e pubbliche, a rifiutare la demonizzazione del rivale e a condannare senza se e senza ma chi non rispetta l’avversario e non riconosce la sovranità degli altri Stati.
Mentre riflettiamo sul rischio che la violenza travolga il buon senso negli Stati Uniti, permettermi un pensiero per il popolo ucraino, che da due anni e mezzo subisce una violenza che non ha cercato né meritato. Mentre tanti si preoccupano, e giustamente, di quel clima che si ripresenta negli USA, pochi rimangono attenti al fatto che, in Ucraina, le città, gli ospedali e le scuole, anche della capitale, vengono bombardate dall’esercito russo, impedendo una vita normale alla popolazione. Mentre aumentano coloro che vorrebbero che si smettesse di aiutare la difesa degli ucraini con sistemi antiaerei e antimissile, immaginando che così si fermerebbe la guerra, diminuiscono anche quelli che mantengono l’attenzione sul dramma che si sta consumando sul territorio di un Paese sovrano, che vorrebbe entrare a fare parte del sistema occidentale, affrancandosi dal dispotismo russo. La Presidente del Consiglio italiana ha confermato l’aiuto militare all’Ucraina, affermando anche di essere fiera di questa solidarietà verso un popolo che soffre a causa di una aggressione militare. Ma non basterà tutto questo, se ciascuno di noi non darà il proprio piccolo contributo per un’opera di verità e di giustizia sulla situazione ucraina. E non smettiamo di pregare perché la guerra cessi quanto prima, nel rispetto della giustizia e della verità.
Continuiamo a denunciare senz’altro il pericolo della violenza negli USA, ma non dimentichiamoci di chi sta subendo una violenza molto più grave e da molto tempo.
Giovedì, 18 luglio 2024