Nella società senza padri, l’anno dedicato a San Giuseppe è un momento importante per riflettere sul significativo ruolo della paternità nella famiglia e nella società.
di Daniele Fazio
Un anno dedicato a San Giuseppe vuol dire – assieme a tutti gli altri aspetti – anche un significativo tempo per riflettere sulla paternità e sul ruolo del padre nella famiglia e quindi nella società.
San Giuseppe, infatti, è il modello della paternità umana in comunione con l’unica Paternità divina da cui tutte le altre traggono nome. Perché è così rilevante tornare a parlare della paternità? Proprio perché viviamo in una società fragile in cui l’uomo è totalmente disorientato rispetto alle sue radici, ai principi che devono guidare la propria azione, agli esempi da ammirare, al senso ultimo da dare alla vita. Tra le cause principali vi è il fatto che viviamo in una società senza padri. In questo mondo occidentale, infatti, in conseguenza del processo di secolarizzazione, si sta assistendo sempre più ad una vera e propria abolizione dell’umano. Ma tale decostruzione antropologica è il frutto di un itinerario che ha negato, innanzitutto, l’insita vocazione alla paternità e alla maternità di ogni uomo e donna e con essa anche le caratteristiche proprie dell’umano nella dimensione della mascolinità e della femminilità. Prima ha voluto contrapporre l’uomo e la donna e ora vuole annullare ogni naturale e sana diversità. La scristianizzazione, infatti, colpendo la visione antropologica cristiana ha come effetto principale la decostruzione dell’uomo a partire dal suo ordine naturale. La nostra cultura occidentale e cristiana, vittima di tale processo, cinque volte secolare, può essere letta anche attraverso la particolare categoria dell’ “uccisione del padre”.
Per tappe ci si rende conto che la Riforma Protestante (1517) ha negato la paternità spirituale del Papa, destabilizzando l’ordine spirituale, il rifiuto e l’aggressione verso la paternità è continuato nel momento in cui, con l’Illuminismo, Dio non viene percepito più come padre, bensì, sull’onda del deismo, come un architetto dell’universo, un grande orologiaio. Ciò significa che una volta “costruito” il mondo e conferito il tocco iniziale, Dio non ha più niente a che fare con l’uomo e il mondo: la relazione della paternità è totalmente rifiutata. È, comunque, il punto d’inizio di un processo che da un orizzonte di esistenza vissuta, come se Dio non ci fosse, conduce al totale oblio dell’orizzonte della trascendenza, ovvero alla “morte di Dio”. Rifiuto del padre significa rifiuto del principio di autorità sia nella società che nella famiglia. Simbolicamente uccidere il padre significa rifiutare la tradizione, la trasmissione dei valori e la legge morale naturale, rimuovere dentro di sé il grande patrimonio che ci viene dal passato. L’uccisione del Re durante la Rivoluzione Francese (1789) non fu un fatto casuale. Il Re doveva essere ucciso a prescindere dal fatto che avesse governato bene o male il Paese. Il Re doveva essere ucciso in quanto re, ovvero perché simbolo della paternità in una nazione, ovvero di una politica che ricordava l’assetto della famiglia. Su tale scia ha incalzato la Rivoluzione comunista (1917) con l’abolizione della proprietà privata e quindi delle autorità economiche e continua la Rivoluzione culturale sessantottina con il motto: “né Dio, né maestri, né padroni”. Il nichilismo diffuso rilancia con la destrutturazione della figura paterna all’interno della famiglia, così da giungere presto allo stadio ultimo di negazione della natura umana, del maschile e del femminile, complementari e reciproci, per cui non più mamma e papà, ritenuti concetti antropologici e quindi un qualcosa di astratto, ma genitore 1 e genitore 2.
A fronte di un tale itinerario, ancor meglio, la scelta di Papa Francesco appare lungimirante sotto il profilo antropologico e socio-culturale e diventa uno stimolo per quanti sono chiamati ad ordinare la cultura, l’economia, la società secondo l’orientamento della dottrina sociale della Chiesa.
Ad te, beáte Ioseph, in tribulatióne nostra confúgimus… Mentre con l’antica preghiera di Leone XIII (1878-1903) in questo anno invochiamo San Giuseppe non dimentichiamo di operare perché vi è tutto un mondo da rifare dalle fondamenta e tali fondamenta riguardano soprattutto una corretta antropologia in cui l’uomo possa inscrivere in maniera felice la propria esperienza esistenziale e da questa partire per organizzare una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Venerdì, 11 dicembre 2020