di Daniele Fazio
Con l’approvazione della Legge n. 92, del 30 marzo 2004, il parlamento italiano ha deliberato l’istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e la concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati, da celebrarsi ogni anno il 10 febbraio.
Nonostante il dispositivo di legge, però, nella memoria comune del popolo italiano le foibe e l’esodo giuliano-dalmata restano ancora, per molti versi, un buco nero. Eppure si tratta di un evento molto consistente. Le stime più basse parlano di più di 10mila infoibati e di oltre 300mila esuli. È un dramma che riguarda tutta Italia, non solo perché a morire sono stati italiani del Nord-est, ma perché in quelle terre e in quegli anni erano presenti italiani di tutte le regioni, soprattutto militari che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, si trovarono in assenza di ordini precisi e nonostante tutto, anziché fuggire, rimasero fedeli ai propri compiti pagando con la vita.
Di questo è testimonianza, tra l’altro, il bel volume Sulle ali della memoria. Gli esuli giuliano-dalmati della Sicilia ricordano, curato da Maria Cacciola (Giambra editori, Terme Vigliatore [Messina] 2018), che raccoglie memorie e testimonianze di sopravvissuti all’ondata di odio scatenata su quelle terre, a partire dal 1943, dai partigiani comunisti comandati dal maresciallo Joseph Broz detto «Tito» (1892-1980).
Le vittime dei partigiani titini non furono però solo i militari o chi aveva in qualche modo fatto parte del Partito Nazionale Fascista, ma di fatto tutti coloro che avrebbero potuto opporre resistenza alla slavizzazione in colore rosso delle terre giuliano-dalmate e istriane. Una
Caddero quindi vittime, dopo i militari, i sacerdoti, gli imprenditori, i proprietari terrieri, i commercianti e persino donne e bambini.
L’uscita recente di un film intitolato Red Land, reso in italiano come Rosso Istria, diretto da Maximiliano Hernando Bruno, consente di provare una volta in più a squarciare la coltre del silenzio e dell’omissione sulle foibe. La pellicola è centrata sulla triste storia di Norma Cossetto (1920-1943), violentata, seviziata e infoibata poiché figlia di un dirigente locale del Partito Fascista.
Il film ha il merito di fotografare il primo tentativo di annettere le terre istriane e giuliano-dalmate ai territori slavi occupati dal comunismo titino. Se infatti da un lato respingevano le forze nazifasciste, dall’altro le truppe partigiane comuniste sin da subito avevano ben chiaro l’obiettivo: eliminare da quelle zone l’elemento italiano ed estendere la rivoluzione comunista in tutte quelle zone.
Al di là della trama storica, il film ha il merito di far emergere il profilo psicologico di quanti, ubriacati dall’ideologia comunista, erano diventati incapaci di riconoscere le parentele e le amicizie, subordinando tutto a un fine chiaramente disumano. Questa disumanità e questa crudeltà vengono messe in mostra nelle varie scene in cui s’indugia forse un po’ troppo su particolari veramente terrificanti, che avrebbero potuto essere ridotti, senza alcun rischio peraltro di vanificare la gravità del fatto storico.
Il film – che sta girando le sale cinematografiche italiane e che sarà trasmesso su Raitre l’8 febbraio alle ore 21.20 – resta comunque un buon ausilio – soprattutto alle giovani generazioni – per fare memoria di un fatto storico sempre difficile da far ricordare e soprattutto per condannare senza condizioni le ideologie che producono solo morte e distruzione, in questo caso il comunismo, che non è – come ancora si sente purtroppo ripetere – “una buona idea applicata male”, ma un’idea assassina che ha procurato, soprattutto nel Novecento, ma così continua a fare anche ai giorni nostri, un quantitativo insuperabile di vittime.
Fin quando non si faranno i conti con questa realtà, non si riuscirà mai ad avere una memoria condivisa dell’eccidio delle foibe. Ci saranno sempre gruppi che grideranno: “Ma che belle son le foibe da Trieste in giù!”, e altri che minimizzeranno e negheranno i fatti. Ma se ognuno di noi accende un fiammifero, il buio delle ideologie verrà sempre più diradato.
Martedì, 5 febbraio 2019