Relazione, rivista e annotata, al Capitolo Generale di Alleanza Cattolica tenutosi a Roma il 23 giugno 2024
Silvia Scaranari, Cristianità n. 428 (2024)
Mentre in Iran le elezioni per il nuovo Presidente della Repubblica Islamica — dopo la discussa morte di Ebrahim Raisi (1960-2024) e del suo ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian (1964-2024) — cercano di tenere viva una rivoluzione khomeinista da anni messa in discussione da quel popolo che aveva voluto liberare dalla corruzione occidentale, il suo secolare avversario, l’Arabia Saudita, sta vivendo a pieno una «rivoluzione bianca», per restare sui ricordi iraniani.
Due Paesi profondamente islamici ma di confessione diversa — sunnismo per i sauditi e sciismo per gli iraniani —, due potenze del petrolio, due ambizioni di leadership del mondo mediorientale e non solo, sembrano oggi proiettate verso due visioni dell’uomo e del mondo decisamente divergenti, anche se politicamente non più contrapposte.
In Iran da anni le piazze si riempiono di manifestanti che chiedono lavoro — il tasso di disoccupazione è altissimo, l’80% della popolazione vive sotto la soglia della povertà —, libertà politiche, libertà di espressione, diritti per le donne. Tutte cose che il passato regime dello scià Reza Pahlavi (1919-1980) aveva introdotto ma senza porre l’opportuna attenzione al senso religioso del suo popolo e legandosi a filo doppio con gli Stati Uniti, contribuendo così a innescare la rivoluzione a stampo teocratico guidata dal leader sciita Ruhollah Khomeyni (1900-1989).
Al contrario in Arabia Saudita, dopo un lungo periodo di rigore religioso e di chiusura alla mentalità dell’Occidente, la salita al potere del giovane principe ereditario Mohammed bin Salman sta cambiando a fondo l’immagine del Paese.
Questi, nato nel 1985, è figlio dell’attuale sovrano Salmanbin ʿAbd al-ʿAziz Al Saʿud, più anziano di cinquant’anni, da tempo malato, salito al potere dopo sei fratelli e venticinquesimo figlio diʿAbd al-ʿAziz (1876-1953), iniziatore della dinastia Sa’ud (1).
Il giovane bin Salman, laureato in giurisprudenza e con un’esperienza nel settore dell’economia privata, è stato vice-primo ministro, ministro della Difesa, presidente del Consiglio per gli affari economici e lo sviluppo del Regno, e dal settembre del 2022 è ufficialmente primo ministro con pieni poteri. La sua nomina rappresenta un vero cambio epocale nella gestione del potere saudita.
Già nel 2016, da collaboratore del padre, aveva lanciato l’innovativo progetto Saudi Vision 2025 — modificato in Vision 2030 a causa dei ritardi dovuti alla pandemia —, che esprimeva il suo ambizioso desiderio di cambiare il volto del suo Paese.
Si tratta di un programma molto vasto per rendere l’economia saudita differenziata, cioè farla uscire dalla dipendenza del petrolio, investendo in istruzione, sanità, spese militari, commercio internazionale e turismo. È significativo che al Forum milanese organizzato congiuntamente dal governo italiano e da quello saudita, con l’appoggio di The European House-Ambrosetti, all’hotel Gallia, sia stata annunciata l’intenzione di ricavare il 10% del PIL dal turismo — in Italia siamo circa all’11%: le intenzioni sono serie, visto che il solo sito archeologico di Al-Ula, antica città dei nabatei, ha ottenuto fantastici fondi per la ricerca e la creazione di impianti turistici di alto livello per poter ospitare mezzo milione di turisti l’anno (2).
Punti centrali sono stati la trasformazione di Saudi Aramco (3) in una holding e la creazione di un fondo di duemila miliardi di dollari per il lancio di progetti non petroliferi. Lo scopo è passare dagli attuali 36 miliardi di entrate non petrolifere a mille miliardi entro i prossimi anni.
In questa vera e propria «visione» si collocano progetti avveniristici come il Saudi Genome Program. Se qualcuno pensa a una sanità fatiscente e ospedali un po’ polverosi deve cambiare prospettiva. Il regno si sta dotando di centri medici all’avanguardia e di laboratori di ricerca in cui si tenta di costruire un database del modello genetico della popolazione saudita per consentire una sanità personalizzata e poter curare malattie genetiche, migliorando la qualità della vita.
Vision 2030 pensa anche alla qualità della vita dei sani con sport e divertimento, una rottura radicale con la proibizione afghana della musica o dello sport femminile in vigore fino a qualche anno fa anche a Riad. Qaddiya, la cui costruzione è iniziata nel 2018, sarà un centro per il divertimento, lo sport e la cultura. Una specie di città nuova, fatta per il tempo libero dei turisti sauditi, con palestre, sale concerto, ippodromi, parchi per famiglie, acquari e giostre e anche una pista per la Formula 1. L’Arabia Saudita ha il 67% della popolazione sotto i 35 anni ed è in questa consapevolezza che il progetto sta fornendo posti di lavoro e occasioni di sano svago per single, genitori e bambini.
Sempre pensando ai turisti, non solo di casa ma anche stranieri (4), è stata lanciata la ricerca archeologica che sta costellando il deserto di scavi alla ricerca del passato. Oltre alla già citata Al-Ula, a pochi chilometri da Ryad c’è Diriyah, il cui centro storico At-Turaif fa parte del Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. È una città di mattoni di fango, considerata il punto da cui è iniziata la creazione del Regno saudita e sede della casa natale della dinastia Sa’ud. Un lungo lavoro di scavi e di restauro l’ha riportata alla struttura originale, esempio della tradizionale architettura najdi, offrendo una meravigliosa testimonianza del passato (5).
Altro scavo archeologico è Madain Saleh, o Al-Hijr, con tombe scavate nella roccia e altre strutture architettoniche testimonianza della civiltà nabatea presente nel luogo, con chiaro riferimento a Petra in Giordania. Anche qui siamo di fronte a un sito Patrimonio dell’UNESCO, cosa che non dovrebbe stupire se non si pensasse al divieto di scavare sul sacro suolo in vigore fino a qualche decennio fa o a recenti episodi di ostilità verso il passato, come la distruzione delle statue di Buddha in Afghanistan (6).
Altri progetti spaziano dal recupero del passato al futuro più avveniristico, come per la città di Neom e per il progetto di Darram.
Neom, lanciata nel 2017 al convegno «Future Investment Initiative», è definita dal principe la «meta dei sognatori del futuro» (7). Neom, dal greco Neo (nuovo) e dall’arabo Mustaqbal (futuro), è una città pionieristica in cui, secondo le aspettative, si dovrebbero coniugare tecnologia avanzata ed ecosostenibilità. Posta nell’area nord-ovest del Paese, una zona quasi desertica fra il Golfo di Aqaba e il Mar Rosso, dovrebbe essere, a dire del responsabile tecnico del progetto Joseph Bradley, la «prima città cognitiva, in cui la tecnologia di livello mondiale è alimentata da dati e intelligenza [artificiale] per interagire perfettamente con la sua popolazione» (8). Detto così fa quasi paura per il futuro della persona ma — assicurano — garantirà migliaia di posti di lavoro e una qualità della vita straordinaria. Al momento l’esecuzione del progetto è molto rallentata rispetto alle speranze.
Attiva ed efficiente, invece, è la città di Darram. Un milione e mezzo di abitanti, posta sulla costa del Golfo Persico, davanti all’isola del Bahrein e non lontana dalla penisola del Qatar, vede la presenza di un enorme centro di desalinizzazione, gestito da Acwa Power, alimentato a energia solare, simbolo del nuovo corso a «zero emissioni». Lo scopo del centro è puntare alla sicurezza idrica dell’area. Struttura all’avanguardia, super-automatizzata, vi lavorano poche decine di tecnici e riesce a produrre seicentomila metri cubi di acqua pulita e potabile al giorno.
La battaglia all’inquinamento e alla desertificazione si fa anche con il tentativo di rinverdire zone desertiche. Fra le tante speranze forse la più utile è la Middle East Initiative,volta a migliorare la qualità dell’aria attraverso il rimboschimento di milioni di ettari oggi desertici. Nel piano sono coinvolti anche Qatar, Kuwait, Bahrein, Gibuti, Egitto, Eritrea, Iraq, Giordania, Sudan, Emirati Arabi Uniti, disponibili a piantare miliardi di alberi, seguendo in questo il progetto «barriera verde» già in vigore nell’area sahariana.
Tutto meraviglioso, progresso inarrestabile secondo le più rosee prospettive positivistiche?
A parte la considerazione che non sempre il progresso tecnologico è veramente a servizio della persona, non è tutto oro quello che luccica. Restano nel regno tantissime contraddizioni, di cui proprio il centro di desalinizzazione può essere un simbolo. Il principe ha accompagnato la tecnologia con riforme anche sociali, non ultime le novità nei confronti delle donne oggi libere di guidare un’auto, di girare senza accompagnatore maschile, spinte a studiare e a lavorare, tanto che circa il 60% degli studenti universitari è di sesso femminile e il 40% delle donne ha un lavoro fuori casa. Ma, proprio l’incontro con una manager della Acwa Power dice quanto sia complesso muovere le acque in un mondo profondamente islamizzato: laureata, perfetto inglese, specializzazione in marketing, anni di esperienza a Tokyo, coordina un team di diversi tecnici andando in giro per gli uffici in burqa, con la licenza degli occhi scoperti, accanto a segretarie vestite all’occidentale. Ha lasciato marito e figlia a Tokyo e, rientrata in patria, ha indossato il burqa, manifesto segno di una reislamizzazione, non si sa causata da che cosa (9).
Fra le concessioni alle donne vi sono: dal 2017 il diritto a entrare negli stadi sportivi e dal 2019 il diritto a partecipare a concerti all’aperto e la revoca delle restrizioni di viaggio, ma contemporaneamente l’applicazione web governativa Absher tracciava gli spostamenti nel regno, cosa che ha attirato le condanne degli Stati Uniti e del Parlamento europeo.
Perplessità suscita anche il diritto matrimoniale, che rimane poligamico, con la tutela paterna sulla scelta del futuro sposo, e sul diritto testamentario fortemente discriminatorio verso le donne.
Tante riforme, tanti progetti per aprire le porte a una democrazia mediorientale? Assolutamente no: al massimo si può parlare di «guida illuminata», in cui il potere resta saldamente nelle mani della famiglia e su cui si stendono lunghe ombre, come l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi (1958-2018) nell’ambasciata saudita di Istanbul e la pesante violazione del diritto alla libertà religiosa, che impedisce qualsiasi manifestazione religiosa che non sia musulmana. Secondo un censimento non ufficiale del Vicariato Apostolico dell’Arabia Settentrionale nel regno sono circa un milione e mezzo i cattolici, provenienti soprattutto da Filippine e India (10). Il regno, che non ha una costituzione, dal 1992 si regge sulla Legge Fondamentale dello Stato, emanata dal re Fahd (1921-2005), che dichiara come fonte il Corano e la Sunna, lasciando ampi margini alla discrezionalità. Dal 2005, le uniche consultazioni elettorali riguardano candidati designati per le amministrazioni locali, mentre sono vietati i partiti e non esiste un parlamento. Il regno spetta ai discendenti di ʿAbd al-ʿAziz Al Saʿud, mentre primo ministro e ministri sono nominati direttamente dal re. Le leggi sono frutto dell’elaborazione delle scuole coraniche, quindi hanno la loro ispirazione nella shari’a. Da qui discendono non poche violazioni dei diritti umani riconosciuti dalla Carta dell’ONU del 1948, a cui per altro l’Arabia Saudita non ha mai aderito.
Per ottenere residenza, e ancor più cittadinanza, lo straniero deve convertirsi all’islam. Se l’immigrato resta in una delle Religioni del Libro (cristianesimo ed ebraismo) potrà essere espulso in qualsiasi momento, potrà subire discriminazioni, i suoi figli dovranno seguire comunque le lezioni di islam a scuola, e pochi gesti potranno farlo incriminare per blasfemia o per atti contro la decenza pubblica. Superfluo sottolineare che ogni conversione dall’islam ad altra religione è vietatissima, come pure sono vietati luoghi di culto e raggruppamenti a scopo di culto fuori dell’islam. Anche i più alti funzionari delle imprese straniere o i diplomatici devono sottostare a queste norme. Tuttora opera una «Commissione per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio» che controlla il comportamento pubblico e che agisce al di sopra della polizia, a cui si permette di dare ordini secondo una rigorosa interpretazione wahhabita delle norme islamiche (11).
Dirigenti, impiegati, diplomatici stranieri posso partecipare alla Messa, se cristiani, solo nelle piccole cappelle presenti all’interno delle ambasciate dei Paesi occidentali. Questo è un piccolo privilegio per chi vive nella capitale, mentre per tutti gli altri non vi è possibilità di accedere ad alcuna liturgia. Anche nelle case private è vietato riunire persone per pregare.
Occorre riconoscere al principe Salman un serio tentativo di allentare i legami fra potere politico e potere religioso, cosa che potrebbe alienargli larga parte della popolazione e mettere in seria discussione la sua prospettiva riformista, soprattutto ora che le carte sul tavolo della diplomazia internazionale si sono un po’ complicate. Da anni l’Arabia cerca di destreggiarsi su più tavoli per liberarsi dal legame con gli Stati Uniti, nato all’indomani della Conferenza di Jalta (4-11 febbraio 1945) grazie alla lungimiranza del presidente americano Franklin Delano Roosevelt (1882-1945), e oggi fonte di molte critiche e perplessità.
L’alleanza non è mai stata messa in discussione ma bin Salman cerca di colloquiare sempre più con le altre monarchie del Golfo, con la Russia, con la Cina, e ha compiuto gesti distensivi anche con l’Iran, l’acerrimo nemico con cui si erano rotte le relazioni nel 2016. Gli attacchi iraniani ai pozzi Aramco di Buqayq e a Ḫurayṣ nel 2019 hanno dimostrato la vulnerabilità del sistema di difesa americano basato sui missili Patriot, che da anni serviva a intercettare missili e droni provenienti dallo Yemen. Ciò ha cambiato la strategia saudita, non più sicura del supporto statunitense e quindi bisognosa di trovare altre strade.
Diversi incontri, perlopiù riservati, fra l’Iran e l’Arabia hanno richiesto un terzo seduto al tavolo a fare da garante e lo si è trovato nella Cina, che compra petrolio dall’Iran e gli vende tecnologia, sebbene di esso non ci si possa fidare a occhi chiusi, per cui allo stesso tempo si parla con l’amministrazione Biden. Negli ultimi mesi, i combattimenti nel Golfo fra l’esercito Huthi, eterodiretto dall’Iran, e molte potenze occidentali hanno visto il principe rifiutarsi di unirsi ai bombardamenti americani e tenere negoziati separati per l’immunità delle proprie navi mercantili.
Nel novembre del 2023 il presidente iraniano Ebrahim Raisi (1960-2024) è intervenuto a Riad alla riunione dei Paesi della Lega Araba e dell’OIC (Organizzazione per la Cooperazione Islamica), anche se poi ha disertato l’incontro sulla Palestina. La riunione si è conclusa con una dichiarazione d’intenti e con il plauso generale per «gli sforzi instancabili del Regno dell’Arabia Saudita, Presidente del 32° Summit Arabo e della Conferenza del Summit Islamico, per porre fine ai brutali crimini commessi da Israele contro il popolo palestinese a Gaza, e per fare pressioni affinché si ponga fine all’occupazione e raggiungere una soluzione a due Stati, in modo da garantire una pace giusta e globale e raggiungere sicurezza e stabilità, per la regione e per il mondo» (12).
L’Arabia tiene un occhio aperto anche sull’Africa, continente immenso a cui tutti guardano e spesso con interessi che fanno impallidire i colonizzatori del secolo XIX. L’Africa è ricca, ricchissima: di materie nuove e fondamentali, ma anche di vecchie risorse, di uomini, spesso giovanissimi, di terre da rendere fertili, di spiritualità, di speranza e di voglia di vivere, tutte cose che mancano nel vecchio Occidente e che non sempre ci sono nelle nuove potenze asiatiche. Consapevole che gli Emirati Arabi hanno già iniziato da tempo a interagire con l’Africa, il governo saudita ha cercato di aprirsi un varco promettendo di spendere nella regione quindici miliardi di dollari tra conferma degli export, cooperazione, linee di credito e accordi commerciali con alcuni dei pesi massimi del continente, per esempio la Nigeria.
Nel suo sguardo a trecentosessanta gradi rientra l’incontro a Parigi con il presidente Emmanuel Macron allo scopo di negoziare investimenti francesi nel progetto Vision 2030, ma che in verità è risultato essere un’abile manovra per sdoganare il principe dopo lo sdegno europeo per il caso Khashoggi.
Lo stesso avvicinamento a Israele, con cui avrebbe dovuto firmare gli Accordi di Abramo, rientra nel tentativo di mantenere equilibrio e collaborazioni aperte, senza cui Vision 2030 non potrà mai essere portato a termine. Verso Israele sembra animato non tanto dal rancore palestinese, che da decenni crea una narrazione di vittimismo, ma da uno sguardo invidioso che, senza dimenticare i fratelli nella fede, lo porta a desiderare l’emulazione dei successi economici, tecnologi, agricoli, finanziari del «nemico». Il 96% dei sauditi è contro Israele ma l’Arabia non è una democrazia e bin Salman sembra più che mai convinto a proseguire nella sua tattica, rimandata per ora al 2030.
Problemi all’orizzonte? Tantissimi. Di seguito, alcuni fra i peggiori:
1. Una popolazione di trentasei milioni circa di abitanti con tredici milioni e mezzo di stranieri provenienti da India, Indonesia, Pakistan, Bangladesh, Egitto, Siria e Yemen. La politica nei confronti dell’immigrazione clandestina è severissima, le espulsioni all’ordine del giorno, i controlli costanti ma, anche se si considerano gli stranieri regolari, i dati sono preoccupanti. Si tratta in larga parte di persone sottopagate, a cui viene ritirato il passaporto e vengono negati diritti umani basilari. In larga misura sono musulmani, ma non tutti: molti sono cristiani o induisti e la loro appartenenza a una religione «diversa» crea ulteriore emarginazione. Senza di loro l’economia saudita si fermerebbe, ma fino a quando sarà sostenibile il rapporto di uno straniero ogni due arabi? Come in Occidente, anche in Arabia molti giovani sono troppo ben abituati a comandare: non si sporcano le mani in quei lavori duri, faticosi, ma essenziali per la sopravvivenza di ogni società.
2. Il lento distacco dal potere religioso è necessario ma pericoloso se non è condotto con grande pazienza e sapienza. Introdurre novità sociali vuol dire sempre toccare anche la tradizione religiosa e il processo deve essere condiviso con i sapienti dell’islam. Sarebbe necessaria una profonda opera di rilettura del Corano, un nuovo tentativo di esegesi che non tutti apprezzano e accettano e che, soprattutto, richiede tempi molto lunghi, incompatibili con la velocità del secolo XXI. Molti ricordano quanto successo in Iran, e il fallimento di bin Salman è certo senza il sostegno dei sapienti islamici.
3. La geopolitica mediorientale: bin Salman cerca di destreggiarsi in un quadro molto complesso fra Israele, Iran, Russia, Cina, Stati Uniti e il tentativo di essere punto di riferimento di decine di realtà sunnite sparse tra Asia e Africa. Certamente il principe accarezza l’idea di riunire intorno a sé larga parte della umma (13) sunnita, dal Maghreb, nell’Africa Settentrionale, al Caucaso, ma in questo entra in collisione con analoghe pretese del presidente turco Erdogan. Pretesa molto azzardata anche per mancanza di esperienza: la dinastia Saud è molto giovane, neanche un secolo di governo della penisola, mentre il vicino turco ha dalla sua la tradizione millenaria di influenza e governo internazionale dell’impero ottomano. I turchi hanno visto cambiare dinastie e sultani ma la struttura imperiale — ricca di differenze, di accordi, di trattati, di annessioni vere e proprie — è durata secoli e secoli, e la storia resta nel sangue di un popolo. Riuscirà a mantenere l’equilibrio camminando su biglie di cristallo?
4. Il rapporto con il mondo occidentale, Europa e Stati Uniti: tutti hanno interessi a collaborare, anche per l’anomalia saudita. Il regno non è mai stato colonia di nessuno, al massimo vi sono stati accordi bilaterali di sfruttamento delle risorse. La dinastia saudita non ha complessi di minorità e neanche rivendicazioni da sbattere sul tavolo, quindi può trattare alla pari, senza arroganza e senza vittimismo. Ma, nello stesso tempo anche l’Occidente non ha «crimini» da farsi perdonare, non ha nulla per cui chiedere scusa e quindi, anche da questa parte, nessun senso di colpa. Si tratta veramente di astuzia, capacità, ambizione, potere delle risorse e dei soldi. Chi sarà più bravo?
5. La famiglia: «parenti serpenti» recita il proverbio, ed è tanto più probabile quando i parenti sono diverse migliaia di persone. Finché il re padre è vivo, l’autorità del principe non è in discussione, ma alla sua morte quanti cugini, figli e nipoti dei precedenti sovrani saranno pronti a complottare contro il giovane bin Salman?
6. Saudi Vision 2030: una casa costruita sulla pietra o sulla sabbia, di cui l’Arabia è tanto ricca? Progettualità o immaginazione, sogno, illusione? Ogni progetto che non mette al primo posto la persona umana, che viola la dignità dell’uomo, è destinato a fallire.
Silvia Scaranari
Note:
1) ʿAbd al-ʿAziz Al Saʿud da emiro tribale del Neged seppe espandere il suo controllo su un territorio sempre più vasto a danno della dinastia rivale di Abd al ‘Aziz bin Mit’ab (1870-1906), protetto dagli ottomani. Sconfitti i turchi più volte, nel 1912 fondò un movimento religioso-militare chiamato Ikhawan (i fratelli) ottenendo l’approvazione dei sapienti wahhabiti. Durante la Prima Guerra Mondiale (1914-1918) i britannici svolsero un’attenta azione di protezione verso i Saud, dichiarando il territorio loro protettorato, ma i sauditi raddoppiarono il territorio sotto il loro controllo a danno dei rivali arabi e degli ottomani. Nel 1925 Aziz al Saud riuscì a occupare la città santa della Mecca e nel 1926 ottenne il sostegno anche dei leader di Medina e di Jedda. Riconosciuto il successo a livello internazionale, nel 1932 Aziz al Saud riunificò i territori nel Regno dell’Arabia Saudita e si proclamò re.
2) Cfr. Federico Rampini, La nuova Arabia Saudita e l’«operazione charme» in un hotel di Milano, in Corriere della sera, 4-9-2023.
3) Arabian American Oil Company, compagnia nata dalla cessione dei diritti di estrazione petrolifera dal 1935 in poi a diverse società americane. Fra il 1973 e il 1980 una progressiva acquisizione della società si conclude con il pieno controllo della Corona saudita. Secondo il Global Fortune 500, nel 2023 la Saudi Aramco è stata la seconda compagnia al mondo per fatturato e per potere di influenza economica. Al momento è stato reso pubblico solo il 5% del pacchetto azionario, ma è comunque un segno significativo anche dei timori della casa saudita di ritrovarsi in un prossimo futuro con qualche problema economico.
4) Dopo decenni di divieto al turismo, oggi il visto per entrare in Arabia Saudita e restarci fino a novanta giorni costa solo ottanta dollari e viene rilasciato in poco tempo o anche online.
5) Naid è l’altopiano centrale dell’Arabia Saudita, di cui Riyadh è la città più importante e la capitale. Le popolazioni antiche escogitarono una architettura che oggi viene studiata per la sua funzionalità ambientale e come tipico esempio dell’adattamento dell’uomo alle situazioni climatiche.
6) Nella valle di Bamiyan,a circa 230 chilometri dalla capitale Kabul, a 2500 metri di altezza, erano scolpite nella roccia due statue raffiguranti Buddha, che risalivano una a 1800 anni fa, l’altra a 1500. Nel 2001 i talebani le distrussero per motivi religiosi, in quanto retaggio di un’epoca considerata pagana e menzognera.
7) Cfr. Jessica Pulsone, Saudi Visione 2023: NEOM e la rivoluzione green dell’Arabia Saudita, nel sito web <https://www.geopolitica.info/saudi-vision-2030-neom-e-la-rivoluzione-green-dellarabia-saudita> (gli indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 19-9-2024).
8) Ibidem.
9) Cfr. F. Rampini, Il nuovo impero arabo, Solferino, Milano 2024, p. 202.
10) Cfr. ACS, Rapporto 2023 sulla Libertà religiosa, nel sito web <https://acs-italia.org/sites/default/files/PDFlr2023/ARABIA%20SAUDITA.pdf>, p. 47.
11) Cfr. F. Rampini, op. cit., p. 50. Il wahhabismo è un movimento riformista nato nella penisola arabica, in ambito sunnita, nell’arco del secolo XVIII per opera di Muhammad ibn ‘Abd al Wahhab (1703-1792). Appartenente alla scuola giuridico/teologica hanbalita (fondatore Ahamd ibn Hanbal, 780-850), infastidito dalle innovazioni introdotte nei secoli all’interno dell’islam, propose un ritorno alla purezza originale della predicazione del Profeta. Oggi è l’interpretazione seguita dall’islam arabo-saudita.
12) Cfr. La Lega Mondiale Musulmana accoglie con favore i risultati della sessione straordinaria del Consiglio dei Ministri degli Esteri degli Stati membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, nel sito web <https://una-oic.org/it/per-tutti-i-nostri-marchi-storici/2024/03/06/La-Lega-Mondiale-Musulmana-accoglie-favorevolmente-i-risultati>.
13) Con il termine umma si indica la comunità dei fedeli musulmani, a qualunque Stato appartengano.