di Domenico Airoma
Non sono un teologo. Con difficoltà mi occupo di leggi, sempre più, peraltro, disancorate dai principi di senso comune, oltre che di ragione naturale; con l’effetto, come ammoniva il vecchio giudice Croz nell’attualissimo dramma “Corruzione a Palazzo di Giustizia”, di far precipitare le norme in un groviglio insensato, come catene di salsicce buttate giù dal gancio principale.
E tuttavia, anche per il mestiere che faccio, sono portato a dare un peso alle parole, soprattutto per il contesto in cui sono pronunziate e per i destinatari a cui sono rivolte.
Orbene, nell’Instrumentum Laboris rivolto ai Vescovi, chiamati a riunirsi per riflettere sull’Amazzonia, ma soprattutto sui nuovi cammini della Chiesa, dunque con deliberate ricadute sulla Chiesa universale e sulla nuova evangelizzazione, si enuncia un motto, dal tenore imperativo, quasi una parola d’ordine: “una Chiesa dal volto amazzonico”.
Capisco che oggi va molto di moda il cambio di paradigma. E non nego l’importanza dell’inculturazione della fede. Anzi, essa è indubbiamente il cuore della Nuova Evangelizzazione, cioè della ricostruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Ma la domanda è d’obbligo: la fede che è chiamata a farsi cultura può assumere il volto di una solacultura? Esistono culture immuni dal peccato originale?
Giovanni Paolo II nel discorso tenuto a Puebla il 28 gennaio 1979 all’episcopato latinoamericano non lascia spazio a dubbi circa il volto che deve avere la Chiesa, nella antica come nella nuova evangelizzazione: “Da voi, Pastori, i fedeli dei vostri Paesi sperano e reclamano anzitutto un’assidua e zelante trasmissione della verità su Gesù Cristo. Questa si trova al centro dell’evangelizzazione e ne costituisce il contenuto essenziale: ‘Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, non siano proclamati’ (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 22)’.
Dalla conoscenza viva di questa verità dipenderà il vigore della fede di milioni di uomini. Dipenderà altresì il coraggio della loro adesione alla Chiesa e della loro attiva presenza di cristiani nel mondo. Da questa conoscenza derivano opzioni, valori, attitudini e comportamenti capaci di orientare e definire la nostra vita cristiana e di creare uomini nuovi e quindi, mediante la conversione della coscienza individuale e sociale, un’umanità nuova”.
Il volto è, dunque, uno solo; quello di Gesù Cristo. E la verità è una sola. Ed è alla luce di quella verità che occorre giudicare le culture, scartando ciò che è incompatibile con essa e conservando tutto ciò che è anticipazione di essa e humus fertile che ne favorisce la crescita. Ogni inculturazione richiede, esige, postula una purificazione. Che è l’indispensabile rinnegamento di sé stessi, la croce attraverso al quale si risorge a vita nuova.
Ai popoli amazzonici ed in generale a quelli dell’America Latina va tutta la mia simpatia. Essi hanno patito vessazioni e ingiustizie. Da ultimo, anche la falsa utopia di una liberazione, sostenuta pure da teologi che avevano svenduto la speranza cristiana, fondata sull’ideologia social-comunista che anche il Parlamento Europeo ha finalmente parificato al nazionalsocialismo.
Ma non esistono uomini e culture perfetti.
Ingenerare confusioni sul punto, significa assumersi una responsabilità epocale; significa battezzare non semplicemente un’eresia, ma illudere che la salvezza passi attraverso un ecologismo dove Dio sfuma e perde il volto del Cristo fatto uomo e l’uomo diventa un accessorio fastidioso di una Natura fattasi Dio.
Se dovessi giudicare dai segni, direi che siamo su una polveriera. Ma io sono solo un badilante del diritto. E so, da figlio della Chiesa, che il Suo Capo non dorme. Ed è a quel Volto Santo che continuo a guardare. Con buona pace dei fratelli amazzonici, che non meritano che si rubi loro la speranza. Quella che non delude.
Sabato, 05 ottobre 2019