Fin dai tempi di Rousseau abbiamo messo in dubbio che l’educazione dell’uomo comprenda la trasmissione di valori e contenuti definiti. In tanta pedagogia permissivista contemporanea si avverte l’impronta, in particolare, di Carl Rogers
di Ermanno Pavesi
I media riferiscono spesso episodi di violenza giovanile, sia come violenze di gruppo di baby-gang, sia come azioni individuali. Esperti consultati spiegano queste violenze con la scarsa tolleranza delle frustrazioni e con l’altrettanto scarsa capacità di controllare gli impulsi delle nuove generazioni. Raramente viene fatto presente che questa tendenza dipende anche da una visione dell’uomo che da alcuni secoli ha influenzato sempre più la società occidentale, in particolare per quanto riguarda le cause delle tendenze aggressive e distruttive. Già i filosofi dell’antica Grecia avevano riconosciuto nell’animo umano una componente selvaggia che doveva essere dominata dalla ragione: pedagogia ed etica dovevano indicare il bene individuale e il bene comune per la formazione di un buon cittadino.
Un cambiamento radicale di questa prospettiva è avvenuto, per esempio, con il filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che ha idealizzato lo stato di natura delle popolazioni primitive con il mito del ‘buon selvaggio’. A proposito dell’educazione dei fanciulli Rousseau scrive: «Ad ogni insegnamento precoce che si vuol fare entrare nella loro testa, si pianta un vizio nel loro cuore; istitutori insensati pensano di fare meraviglie quando li rendono cattivi per insegnar loro cos’è la bontà; e poi ci dicono gravemente: Tale è l’uomo. Sì, tale è l’uomo che avete fatto»[1].
Lo psicologo americano Carl Rogers (1902-1987), uno degli psicologi più influenti del secolo scorso, descrive come fine dell’esistenza una “vita piena”: «La “vita piena”, secondo la mia esperienza, è il processo evolutivo volto nella direzione ben precisa che l’organismo umano sceglie quando è intimamente libero di muoversi in qualsiasi direzione»[2].
Rogers distingue nettamente l’organismo umano, con le sue tendenze naturali innate, dalle funzioni psichiche superiori, che si sarebbero sviluppate unicamente sotto l’influsso della società, e afferma il primato dell’organismo, che conterrebbe in se stesso una tendenza all’autorealizzazione: «In ogni organismo, a qualunque livello, esiste un sottostante flusso dinamico diretto all’adempimento costruttivo delle potenzialità a esso inerenti. Nell’uomo c’è una tendenza naturale verso il completo sviluppo, che viene spesso designata come tendenza attualizzante, presente in tutti gli organismi viventi: questo è il fondamento su cui è edificato l’approccio centrato sulla persona»[3]. Questa teoria ammette l’esistenza in ogni organismo, uomo compreso, dotato di una finalità innata, ma mentre negli altri organismi la tendenza all’autorealizzazione può attuarsi spontaneamente e istintivamente, l’uomo, soprattutto quello civilizzato, non si affida all’istinto, ma con la ragione valuta gli aspetti morali delle proprie azioni. Il contrasto tra natura e cultura, tra istinto e coscienza morale viene risolto da Rogers a favore di natura e istinto, attribuendo alla concezione dell’uomo come persona responsabile un ruolo solo negativo: «Ora credo che un individuo sia condizionato, stimolato, rinforzato, dalla cultura in cui vive, ad assumere comportamenti che sono, di fatto, perversioni nei confronti della direzione originaria della tendenza attualizzante»[4]. L’uomo si sarebbe estraniato dai comportamenti dettati dall’organismo: questa estraniazione «non è una parte essenziale della natura umana. È invece qualcosa di appreso e in misura particolarmente alta nella cultura occidentale»[5]. L’estraneazione, che per chiarezza possiamo chiamare anche alienazione, comporterebbe una scissione o un conflitto interiore, che avrebbe pure conseguenze sociali: «Questa dissociazione, che esiste in molti di noi, è come la struttura e base portante di tutta la psicopatologia umana e di tutta la psicopatologia sociale»[6].
Rispetto alla cultura occidentale, che renderebbe l’uomo estraniato, alienato e dissociato, Rogers rivendica un effetto rivoluzionario del suo approccio, che «muta la natura stesa della psicoterapia, del matrimonio, dell’educazione, dell’amministrazione e perfino della politica»[7]. Effettivamente, con il suo pensiero Rogers ha favorito la diffusione di teorie pedagogiche ‘non direttive’ e ‘non autoritarie’. Lo sviluppo dell’uomo verso una ‘vita piena’ sarebbe possibile solamente se in ogni situazione fosse «libero di muoversi in ogni direzione», seguendo unicamente le indicazioni del proprio organismo. Rogers ritiene infondati il timore che ciò potrebbe portare ad abusi: «Non dovremmo nemmeno preoccuparci di sapere chi controllerà i suoi impulsi aggressivi poiché in lui, aperto a tutti gli impulsi, il bisogno di essere amato dagli altri e la sua tendenza ad amare equilibreranno gli impulsi che spingono ad attaccare e ad accaparrare»[8]. Violenze e aggressività ingiustificate sarebbero solamente reazioni provocate da una società ancora legata in qualche modo alla sua tradizione culturale: la prevenzione di tali comportamenti sarebbe possibile solo con un nuovo paradigma educativo non direttivo e non autoritario.
Molti esperti, come ricordato, spiegano le violenze giovanili con la diminuita capacità delle nuove generazioni di controllare i propri impulsi, che può essere ricondotta anche alla concezione secondo cui l’uomo nasce buono e i disturbi del comportamento sarebbero causati, come sostiene Rogers, dalla ‘cultura occidentale’. Il buon selvaggio di Rousseau, immune dai danni della civilizzazione, rivive nell’opera di Rogers, che, nella sua forma particolare di cancel culture, teorizza una pedagogia che prescinde dai principi fondanti di filosofia, religione ed etica.
Venerdì, 23 agosto 2024
[1] Jean-Jacques Rousseau, Emilio, Laterza, Rma-Bari, 2005,p. 104
[2] Carl Rogers, La “Terapia centrata-sul-cliente”. Teoria e ricerca, trad. it., Martinelli & C., Firenze 1994, p. 183.
[3]Ibidem. P. 183
[4] Ibid. 308.
[5] Ibid., p. 309.
[6] Ibidem.
[7] Idem, Potere personale. La forza interiore e il suo effetto rivoluzionario, Astrolabio, – Ubaldini Editore, ,Roma 1978, p. 8.
[8]Carl Rogers, La “Terapia centrata-sul-cliente”, cit. p. 194.