Sullo statuto della volontà nel diritto penale
di Domenico Airoma
Voluntas ut ratio è un’opera di assoluto rilievo nel panorama giuridico e filosofico italiano, illuminante chiave di lettura di quanto è accaduto, nel diritto penale ma non solo, nell’epoca moderna, con riferimento al significato ed al ruolo della volontà.
L’Autore, il professor Mauro Ronco, ha concluso l’attività accademica come professore di diritto penale nel 2016, ricevendo il titolo di professore emerito di diritto penale dal Rettore dell’Università di Padova; insigne esponente della scienza penalistica italiana, si è distinto da ultimo per importanti contributi in materia di bioetica, tanto da essere nominato, nel dicembre dello scorso anno, vicepresidente del Comitato Nazionale di Bioetica.
Nella premessa al testo, l’Autore denuncia l’occasione del suo studio, rappresentata dall’egemonia conquistata, nell’ambito della definizione della struttura del reato e dei requisiti della responsabilità penale, dalla teorica della colpevolezza normativa, in base alla quale «alla ‘culpa’ reale (‘Culpa’ di dolo o ‘Culpa’ di colpa), cioè al profilo effettivo dell’atto colpevole, nella sua effettività e nella sua misura e qualità, viene sostituito il giudizio colpevolizzante della collettività per la violazione della norma punitiva, duplicandosi con il giudizio di colpevolezza il giudizio di antigiuridicità».
Proprio la svalutazione della volontà come sostanza psicologica della colpa ha mosso l’intero percorso compiuto da Mauro Ronco, in primo luogo recuperando, quale indispensabile punto di partenza, la complessità e la profondità del concetto classico di volontà, patrimonio stabile del ‘senso comune’, nella sua dialettica fra voluntas ut natura – la tendenza naturale dell’uomo al bene proprio della sua natura – e la voluntas ut ratio – momento attuativo di quella tendenza, «che implica (…) la difficile e talora contraddittoria dei mezzi per conseguire la felicità»; poi, mettendone in risalto la progressiva opera riduzionistica svolta dalla filosofia della modernità, mediante lo svilimento della volontà a desiderio, cioè a mero moto dei sensi imposto dall’esperienza, dunque a passività, con la conseguente negazione del libero arbitrio dell’essere umano.
Tale disamina degli esiti della filosofia e della scienza psicologica costituisce la necessaria cornice per comprendere l’antropologia, cioè la visione dell’uomo tutt’intero, nel cui seno matura e si compie quel processo di offuscamento della volontà nella scienza penalistica. Ed infatti, una volta che l’uomo viene privato del libero arbitrio, e, pertanto, di una dimensione essenziale del suo essere, la volontà viene spogliata della libertà, non è più voluntas ut ratio, dato che «essa perde perciò il suo contatto fontale con la conoscenza intellettuale e diventa schiava dell’oggetto sensibile e delle percezioni sensoriali. Contro l’incombente devianza di una volontà dipendente dal desiderio sensibile il rimedio è l’intimidazione che promana dalla minaccia del male della pena». Come surrogato della volontà, si afferma una teoria della colpevolezza come rimproverabilità, per la cui sussistenza non importa più indagare sulla volontà colpevole dell’agente, quanto piuttosto sulle condizioni di possibilità del fatto da rimproverare.
Ed è questo passaggio che apre le porte alla colpevolezza normativa, perché «(…) dire che colpevolezza è rimproverabilità significa determinarne il contenuto attraverso il giudizio che dall’esterno – al giudice o dall’ambiente sociale – viene prospettato sul fatto commesso dal soggetto. Di qui l’indebita apertura alla libera valutazione del giudice o alla ancora più arbitraria apprezzabilità sociale dell’opinione circa l’‘inesigibilità’ del comportamento dovuto». Quel che rileva, in definitiva, è la divergenza della condotta rispetto al dover essere, la sua «contrarietà al dovere che proviene dallo Stato oppure mancanza di attenzione al dovere che proviene dallo Stato».
Tuttavia, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, gli sviluppi della scienza psicologica e soprattutto della neurologia hanno indotto a riconsiderare le proprietà ed i modi di funzionamento della volontà, ponendo in discussione la concezione dualistica dell’uomo di origine cartesiana, fondata sulla dialettica fra corpo (res extensa) e anima (res cogitans), giungendo ad una significativa rivalutazione della libertà.
La riemersione della libertà ha il sapore della presa d’atto di un dato di esperienza: «La libertà è una evidenza che scaturisce dalla realtà e non un precetto normativo. (…) La libertà umana è limitata, parziale, fragile, labile, sempre diseguale a se stessa (…)». Tuttavia, è questa libertà personale ad essere il fondamento e la base del giudizio circa l’essere colpevole mosso nei confronti del soggetto per la condotta antigiuridica realizzata.
«Il libero arbitrio- conclude Mauro Ronco – è l’asse intorno a cui ruota il diritto penale e la vita civile delle nazioni». Croce e delizia dell’uomo, esso esprime il dramma fra la sempre mutevolezza delle condizioni dell’agire e la tensione verso quella felicità che la natura razionale mai fa smettere di desiderare. Questa libertas ut ratio – oltre ad illuminare di nuova luce il giudizio di responsabilità penale- rappresenta la vera alternativa alla libertà intesa come autodeterminazione, libertas sine ratione, assurta, in questi anni, a vero e proprio ubi consistam della dignità dell’uomo.
Queste sono solo alcune delle ragioni che consigliano la lettura dell’opera di Mauro Ronco, nella consapevolezza che riflessioni così dense e profonde, che attingono alla visione complessiva dell’uomo, non possono che suscitare variegate suggestioni che vanno ben al di là dei confini del diritto penale.
Voluntas ut ratio è l’esito di un brillante percorso scientifico, ma è anche il punto di partenza per chi intenda capire quali e quante potenzialità siano insite nella libertà dell’uomo, se correttamente intesa.
Mercoledì, 17 maggio 2023