di Chiara Mantovani, 13 febbraio 2018
Quasi ogni giorno arriva notizia di nuove tappe nel progresso delle scienze e delle tecnologie mediche. Quella di oggi è un po’ complessa da spiegare e forse per questo non ha ancora scatenato molto clamore: dalla collaborazione tra Edimburgo e New York sono stati fatti maturare degli ovociti umani fino al livello in cui si trovano quando sono pronti per essere fecondati. Finora è stato sempre necessario, nella specie umana, lasciar maturare le cellule uovo nelle ovaie delle donne, magari stimolandole con ormoni (è quello che succede per ogni fecondazione artificiale), e poi prelevarle dal corpo femminile.
Ora sembra che, con tessuto ovarico a disposizione fuori dal corpo, si riesca a prelevare gli ovociti immaturi e a farli maturare spostandoli in vari terreni di coltura. Aver trovato quali nutrienti servono è esattamente il grande successo della ricerca, che sembra aver ottenuto in 22 giorni ciò che nell’ovaia femminile accade in cinque mesi. Una serra per coltivazione intensiva e fuori stagione? Pressappoco. Se non fosse per l’inaccettabile riduzionismo dell’umano al biologico, si potrebbe anche dire così.
Ovviamente sono notizie interessanti, che aprono scenari fantasiosi, ancora tutti da verificare anche dagli addetti ai lavori, ma potenzialmente inquietanti. Come per le scimmiette clonate di qualche settimana fa, tra l’entusiasmo acritico del progresso e le querimonie della catastrofe è possibile delineare una prudenza che tenga insieme tutti i valori e disvalori impliciti ed espliciti? Proviamoci. A partire dai fatti e anche dai progetti, cioè chiedendosi: come si fa a farlo e a che cosa serve? Quali atti sono necessari e quali fini sono perseguiti?
Pur nella consapevolezza che ogni azione umana può causare cose buone e cose cattive, è comunque vero che certi atti sono già per sé stessi giudicabili ingiusti dalla ragione. Costruire un essere umano in laboratorio, per esempio, è sempre gravemente lesivo del valore incommensurabile della vita umana, sebbene resti intatta la dignità di ogni uomo, quale che sia il modo con cui è chiamato all’esistenza.
Dunque, come ci si procura gli ovociti umani immaturi da far maturare? Rimuovendo ovaie umane. Da chi? Da donne, ovviamente. Sane, preferibilmente. Del tutto consapevoli di ciò che del loro corpo stanno “donando”? Perché se invece per queste “collaborazioni” fossero remunerate, si tratterebbe tecnicamente di commercio di tessuti e di cellule umane. Forse s’inizia a pensare che non sia poi così disdicevole? Che cosa conseguirebbe da una tale ammissione?
E ancora: a che cosa serve avere ovociti disponibili in gran quantità, senza bisogno di stimolare ovaie concrete di donne reali, le quali rischiano anche la salute e la vita? I titoli dei giornali che trattano l’argomento hanno già sentenziato: possibilità di cure, anche le giovani donne sottoposte a chemioterapia potranno avere bambini, progresso inarrestabile… Gli argomenti accattivanti, che mascherano la realtà rivelandone solo aspetti marginali, continuano a confondere il giudizio. In realtà, dietro l’angolo c’è il sogno di risolvere la criticità del reperimento di ovociti per la fecondazione artificiale, eterologa soprattutto, e omoparentale. Qualche mese fa è apparsa la notizia della realizzazione di un prototipo di placenta artificiale, presto interrotta e a oggi non aggiornata.
È realistico, nel contesto attuale, e nella velocità accelerata con cui gli eventi si concatenano, accorgersi che molta scienza ha perduto il senso del limite. Non quello imposto da fuori da leggi e accordi, bensì quello ben più profondo e saggio che sta nel cuore di chi non si crede padrone ma servo della vita.