di Domenico Airoma
C’è qualcosa che Giovanni Cantoni trasmette – mi piace pensare – come la principale delle consegne ai militanti e, più in generale, a tutti coloro che hanno riconosciuto in lui la statura di un maestro. Prima ancora che la dottrina contro-rivoluzionaria, Cantoni ha insegnato, con la propria vita, lo stile stesso del contro-rivoluzionario, tanto da far utilizzare – in molti – il neologismo, gergale quanto però riverente, “cantoniano”, un aggettivo inventato per descrivere in sintesi un modo di essere e di comportarsi. Ma in cosa consiste l’essere “cantoniani”?
Provo a rispondere a questa domanda, all’apparenza esotica, con un collage dei modi di dire più abituali del fondatore di Alleanza Cattolica, confidando nella benevolenza del lettore poiché solo chi fa, sbaglia.
Si è “cantoniani” anzitutto prestando attenzione alla piccola etica, cioè a quell’etichetta che è incarnazione, nel vissuto quotidiano, della morale e che si nutre di gesti che costituiscono la prima comunicazione di sé stessi. Gesti attraverso i quali ci si interessa, gratuitamente, dell’altro, senza pretendere che l’altro debba necessariamente interessarsi a noi; e, soprattutto, interessarsene avendo dell’altro un pre-giudizio positivo, senza mai farne oggetto di pettegolezzo, soprattutto se associativo.
Poi vi è il dovuto rispetto da riservare all’autorità, in primo luogo alla gerarchia ecclesiale, giacché, soprattutto in questa materia e specialmente per chi si definisce contro-rivoluzionario, la forma è anche sostanza. L’ossequio deve essere ragionevole, certissimamente; ma pur sempre di ossequio deve trattarsi, perché chi siede sulla Cattedra di Pietro è un prete speciale e non semplicemente un prete vestito più o meno accidentalmente o formalisticamente di bianco.
E ancora vi è il rispetto da portare ai fatti, contro i quali non valet argumentum. I fatti vanno descritti per come sono e non per come vorremmo che fossero, pronti sempre a rivedere i nostri giudizi e ad aggiornare la mappa. Il che non significa arrendersi alla geografia mutata, ma più semplicemente prenderne atto, senza pretendere di raddrizzare le gambe ai cani.
Il “cantoniano” è, perciò, un ruminante, perché solo dopo aver ruminato sui fatti, prova a esprimere giudizi, evitando di pensare che, poiché si ha avuta la grazia di disporre di buoni maestri e di avere ricevuto coordinate sicure per orientarsi in un mondo rivoluzionato, ne sappiamo una più di Bertoldo. Ovvero rimanendo consapevoli che, pur dovendo chiamare le cose con il nome che hanno, le parole sono pietre, delle quali ci verrà chiesto conto, anche se lanciate attraverso una tastiera di videoscrittura.
Si è “cantoniani”, inoltre, se non si smarrisce il contatto con il quadro grande, che dà il senso e la qualità al tempo che si vive, relativizzando le difficoltà e le angosce dell’ora presente, nella certezza che la Provvidenza è all’opera e che non siamo noi a salvare la Chiesa, ma il contrario.
Si è “cantoniani” se, chiedendosi sempre che ora è, ci si sforza di essere prudenti. Il che non significa semplicemente mettersi la maglia di lana, o meglio, non significa fermarsi a questo gesto, pure talora indispensabile, specie se fa freddo. Essere prudenti significa infatti custodire la capacità di conservare il contatto con il reale, tenendo sempre presente, tentativamente, cioè nel limite dell’umano possibile, tutte le circostanze che accompagnano la nostra azione e in particolare mai prescindendo dalle condizioni del nostro interlocutore, cioè sempre sforzandosi di trovare le sollecitazioni giuste che facciano brillare l’occhietto di chi è disposto a dedicarci qualche minuto di attenzione. Mai parlarsi addosso, insomma, cadendo prigionieri dell’attrazione fatale del proprio ombelico, che tanti contro-rivoluzionari ha mietuto sul terreno della sensualità intellettualistica, condannandoli alla irrilevanza storica.
Si è “cantoniani” se si è consapevoli che non si parte mai da zero, perché si può saltare nel vuoto ma non dal vuoto e che, dunque, si ricostruisce una civiltà solo piegandosi con carità sui brandelli dell’umanità sopravvivente.
Si è “cantoniani” se si rimane saldi nella convinzione che dire la verità è anche la furbizia del secolo XXI, mai dimenticando di essere servi inutili e che ogni cimitero è pieno di persone che si ritenevano indispensabili.
Si è “cantoniani” se si ama Alleanza Cattolica, che è la piccola via concessa a chi, seguendone la regola, cerca di salvarsi, agendo per la maggior gloria di Dio, anche sociale.
Si è “cantoniani”, in definitiva, se si conserva quella serenità interiore che proviene dalla certezza che infine il Cuore Immacolato di Maria trionferà. E che questa, davvero, non è una boutade.
Personalmente, altro non spero che diventare “cantoniano”, cioè un buon cristiano, che confida, per la propria salvezza, nell’ingiustizia di Nostro Signore Gesù Cristo.
Lunedì, 8 ottobre 2018