Luigi IX è un modello per re e statisti, un dono di Dio e della Vergine alla Francia ed a tutta la cristianità
di Diego Torre
Nel duomo di Monreale (PA) si venerano alcuni resti mortali di san Luigi IX, re di Francia; esattamente il cuore e le viscere, donate dal fratello re Carlo d’Angiò. Annualmente si raccolgono intorno ad essi i sodali dell’Ordine Francescano Secolare di Sicilia nel ricordo del santo, patrono del rame maschile dell’Ordine.
Luigi (+1270) venne educato da una grande madre, Bianca di Castiglia, che, vedova a 29 anni, resse il regno durante la sua minore età. Prima ancora di concepirlo, Bianca con tutte le persone pie di corte aveva pregato la Madonna per avere un figlio degno dei progetti divini. Lo educò poi alla più fiera fede cristiana con massime del tipo: «Dolce figlio, voi sapete che niente mi è più caro di voi; ma preferisco sapervi morto piuttosto che macchiato di peccato mortale». Fu anche istruito tramite l’insegnamento dei migliori teologi del tempo. Colto e santo, a 19 anni sposò Margherita di Provenza, altra grande donna che lo affiancò per tutta la vita e che gli donò 11 figli, nonostante le astinenze dai rapporti coniugali che i due praticavano per tutti i tempi di Quaresima e di Avvento (oltre che durante gli spostamenti del re). Egli fu «un laico che cerca di ottenere la sua salvezza personale soprattutto attraverso l’esercizio della sua funzione regale», scrive lo storico Jaques Le Goff (non credente) nella sua biografia di san Luigi.
Il re visse con lo stile del terziario francescano, semplice e frugale. In omaggio alla Vergine, ogni sabato radunava i poveri nel suo palazzo, lavava e baciava i loro piedi e li serviva a tavola. Ogni giorno recitava l’Ufficio della Santa Vergine. Fondò l’abbazia di Royaumont, servendo i muratori come manovale e portando le pietre. Una volta volle far mangiare i lebbrosi dell’abbazia, privi delle mani, imboccandoli, pulendo le loro labbra e inginocchiandosi guardando le loro piaghe, che gli ricordavano quelle di Gesù.
San Luigi IX amministrò la giustizia con grande scrupolo, facendosi precedere nei suoi spostamenti da un prelato che raccoglieva le denunce. Egli poi rendeva giustizia, a volte seduto per terra ai piedi una quercia. Fu difensore di orfani, ragazze povere da maritare e vedove, come si conveniva al suo servizio di regnante e al suo rango di cavaliere. Volle le liste dei lavoratori in difficoltà e a tutti tentò di provvedere, recuperando risorse con la lotta agli sperperi e riorganizzando l’apparato “statale”, senza navigator o centri per l’impiego. Servì ed amò la Francia ed il suo popolo con la dedizione assoluta che gli derivava dall’intransigente rigore religioso con cui viveva; rigore alimentato dalla Santa Messa quotidiana, dalla recita delle Ore liturgiche e da altre devozioni, nonché dall’uso del cilicio.
Il suo pensiero sulla guerra è racchiuso in queste parole rivolte a suo figlio e successore: «Se ti facessero delle ingiurie ascolta parecchie voci, per sapere se tu puoi trovarne alcune buone, per le quali tu possa recuperare il tuo diritto senza dover fare guerra, e così evitare i peccati che sono fatti in essa; e provvedi che prima che tu muova guerra, di aver avuto un buon consiglio e che la causa sia molto ragionevole, e che tu abbia ben ammonito il malfattore». Proprio seguendo questi principi, non esitò a promuovere due crociate.
Nella prima, nel 1248, egli riconquistò la città di Damietta, ma successivamente cadde prigioniero dell’emiro e si comportò così fieramente che quello gli chiese l’investitura cavalleresca. Ma il santo rifiutò: «Io non conferirei mai la cavalleria ad un infedele. Diventate cristiano, e io vi farò cavaliere!». Replicò il moro: «Tu sei il Franco più fiero che noi abbiamo mai visto!». Liberato in seguito al pagamento di un riscatto, si infuriò quando apprese che i suoi avevano truffato i mori sul pagamento della cifra e pretese che tale ammanco, ai danni del nemico, venisse rimborsato. Rientrato in patria riportò ordine, iniziò grandi riforme, interdisse i duelli e vietò l’usura, fondò ospedali per poveri e lebbrosi, scuole e biblioteche, fece costruire monasteri e la Sainte-Chapelle per ospitare la corona di spine di Cristo. Alla sua tavola si potevano trovare san Bonaventura da Bagnoregio e san Tommaso d’Aquino; e con Robert di Sorbon, nel 1257, fondò la “Sorbonne”, l’università che divenne il centro culturale dell’Europa. Il suo prestigio era tale che venne spesso chiamato ad arbitrare confitti internazionali, anche fra il Papa e l’Imperatore.
Poteva dirsi più che soddisfatto della sua vita e godersela beatamente, ma l’idea della crociata non lo abbandonava e si imbarcò di nuovo, anche per convertire il sultano. Partì il 4 luglio 1270 con 60.000 soldati. Dopo le prime vittorie giunse però la peste, che decimò l’esercito e colpì il re, che pur malato si prodigava nel soccorrere i suoi uomini. Comprese di essere prossimo alla morte e diede all’erede le ultime raccomandazioni su come dovesse comportasi un re. Recitò i Salmi penitenziali ed ebbe l’estremo pensiero per la Francia: «Noi andiamo alla Gerusalemme celeste. Sii o Signore il santificatore ed il custode del tuo popolo». Poi, adagiato su un letto di cenere a forma di croce, rese l’anima a Dio. 29 anni dopo venne canonizzato anche per i numerosi miracoli e le guarigioni avvenute presso la sua tomba.
Luigi IX è un modello per re e statisti, un dono di Dio e della Vergine alla Francia ed a tutta la cristianità. Egli incarnò il modello del re cristiano: «Un Re deve essere per il suo Regno, ciò che l’anima è per il corpo, ciò che Dio deve essere per il mondo! Egli deve modellare il suo governo, sul governo divino. Egli deve consacrare tutte le sue cure a dirigere il suo popolo, verso il suo ultimo fine, nell’applicare il bene e la virtù», scrisse san Tommaso d’Aquino nel De regimine principum.
Giovedì, 25 agosto 2022