Bisogna iniziare a parlarne, per evitare in tempi rapidi la “morte della patria”
di Marco Invernizzi
Non si sta avvicinando solo l’inverno stagionale, ma anche quello demografico, che peraltro è già in mezzo a noi da molti anni. Si sta avvicinando, nel senso che il problema demografico diventa sempre più urgente e drammatico, ma pochi se ne preoccupano. Fra questi pochi ci sono almeno due persone, Giancarlo Blangiardo e Roberto Volpi, che meritano di essere ricordate perché, se mai l’Italia riuscirà fra molti decenni a invertire la rotta demografica e a ritornare a essere una nazione con figli e quindi con un futuro, lo dovrà a loro due.
Il primo è più conosciuto, perché presiede l’Istituto di Statistica dal 2019 e questo gli ha permesso una certa visibilità, ma già da decenni ha lanciato l’allarme sulla crisi demografica che incombe sul Bel Paese. Non posso dimenticare le tante conferenze, di fronte anche a poche persone, in cui annunciava il tracollo prevedibile dell’Italia, sciorinando numeri e mostrando slides: un professore disponibile e preparato, cosa rara di questi tempi.
Roberto Volpi, invece, è arrivato a convincersi della crisi demografica attraverso lo studio serio dei numeri. Anche lui statistico, ha scritto diversi libri che ricordano dai titoli il dramma che raccontano: La fine della famiglia. La rivoluzione di cui non ci siamo accorti, (Mondadori 2007), Il sesso spuntato. Il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente, (Lindau 2012), Gli ultimi italiani. Come si estingue un popolo (Solferino 2022, cfr. la recensione su www.alleanzacattolica.org), per ricordarne soltanto qualcuno.
Vox clamantis in deserto, dice un celebre versetto evangelico. Gerarchia ecclesiastica, classe politica, intellettuali e giornalisti, se volessero, potrebbero sfruttare la loro appassionata e documentata analisi dell’inverno demografico.
Certo, qualcosa si è mosso negli ultimi mesi. I dati forniti dall’Istat non possono essere ignorati, neppure quando al governo ci sono forze politiche che hanno un pregiudizio negativo su questi temi, o molto più attente ai “nuovi diritti” di omosessuali, transessuali e bisessuali piuttosto che al futuro dell’Italia, che è nelle mani di giovani coppie di maschi e femmine. Ultimamente Volpi è stato ospitato dal Corriere della Sera (3 ottobre), con un articolo che inizia così: «Il momento è ora. Non domani o dopodomani, ora. Le previsioni 2022 della Division Population, Dipartimento dell’Onu che si occupa di studiare e fornire presente e tendenze future della popolazione di ciascun Paese e area geografico-territoriale del mondo, suonano come una campana a morto per l’Italia. E non intendere la gravità di questo suono è cosa che non sarà perdonata».
I dati sono effettivamente gravissimi e tutti concordano, sia l’Onu, sia l’Istat, sia alcune prestigiose università americane. La Population Division, nel 2019, prevedeva che l’Italia sarebbe diventata nel 2100 un Paese di 40 milioni di abitanti, ma tre anni dopo la previsione è scesa a 36,9 milioni di abitanti. 22 milioni di abitanti in meno rispetto agli attuali.
L’Italia diventerà una gigantesca casa di riposo a cielo aperto, si chiede Volpi, basandosi sui dati che prevedono 350mila nascite contro 800mila morti fra il 2050 e il 2060, un dato assolutamente insostenibile?
Il prossimo governo avrà di fronte questo enorme problema politico e sociale e tutti ci auguriamo che sappia affrontarlo in modo adeguato. Servono sicuramente politiche a favore della maternità, come dimostrano quelle nazioni come la Francia o regioni come il Trentino Alto Adige, dove sono aumentate le nascite anche in conseguenza di politiche favorevoli.
Ma serve anche e soprattutto una conversione culturale, che non si può pretendere dalla politica. È necessario che si ritorni a parlare di famiglia e di figli come un bene primario, non soltanto come un problema o un ostacolo alla realizzazione individuale. Dovrebbero cominciare a dire queste parole di fiducia e di speranza le autorità morali di un Paese, i vescovi e i sacerdoti, i professori, i giornalisti e i medici. Allora forse non sarà tardi per invertire la curva demografica e sperare in un futuro per l’Italia. Ci vorranno decenni, ma l’alternativa è la “morte della patria”.
Lunedì, 10 ottobre 2022