La parabola, degna delle favole di Fedro, della prosopopea di Macron, che ha trasformato le Olimpiadi in una celebrazione dell’ideologia imperante
di Domenico Airoma
Chi di noi non è rimasto affascinato (si fa per dire) dal tuffo degli atleti nelle acque color fumo di Londra della Senna? Colpiva il contrasto tra la bianca (si fa per dire) spuma sollevata dalle bracciate e lo scuro scenario acquatico teatro dell’immane impresa. Meraviglia della grandeur francese! Ci siamo detti. Alla fine, ci sono riusciti a rendere balneabile quelle acque dopo più di un secolo!
Poi però ci si è messa la pioggia a complicare le cose. Almeno così ci è stato detto dal Comitato Organizzatore: la «forte pioggia delle ultime due notti, particolarmente intensa a Parigi, ha causato un peggioramento della qualità dell’acqua».
Certo, riesce strano pensare che la causa dell’aumento dell’inquinamento della Senna possa venire dalle acque che piovono dall’alto. E tuttavia così sarà, se pure il Comitato Olimpico Internazionale, così sollecito ad intervenire e a chiarire da che parte è la scienza – ad esempio nel caso delle pugilatrici androgine -, qui tace.
E però qualcosa stona. Stona l’insanabile contrasto fra l’evidenza dei fatti e il travestimento della realtà. Stona la corriva piaggeria di commentatori e di boiardi di apparato. Stona la prosopopea macroniana, altezzosa e sprezzante nel rivendicare la giustezza delle proprie scelte, contro ogni evidenza. Stona la sicumera ecologista, che impone agli atleti di dormire nel parco, non perché romantici bohemien, ma costretti a mendicare un po’ di frescura in assenza forzata di climatizzazione.
E allora? Allora la colpa è degli atleti che si ammalano per aver ingurgitato un po’ d’acqua di fiume. La colpa è della pioggia, anzi del cielo. «Piove, governo ladro!», era l’antica invettiva di chi imputava ai governanti ogni avversità. Oggi sembra ritornata di gran moda, in una versione più raffinata, che ricorda Fedro: «Perché, o cielo, mi intorbidisci l’acqua?». Solo che nel nostro caso il lupo si è travestito da agnello e invoca comprensione contro le avversità, chiede fiducia nelle capacità della tecnica, esige il completo affidarsi.
A chi, quorum ego, rivendica ancora il primato dei fatti e l’uso di ragione, non rimane, dunque, che levare una sonora pernacchia dinanzi a cotanta tracotanza, miseramente implosa dinanzi alla forza del reale, pur racchiusa in piccole gocce di pioggia.
Dopo la para-liturgia blasfema dell’Ultima Cena “gay” di qualche giorno fa, ci piace pensare che il cielo si è forse divertito a disastrare la perfetta macchina organizzativa dei Giochi olimpici del Mondo Nuovo, coprendola di ridicolo. Ci piace pensare che anche questo possa servire a far aprire gli occhi e possa aiutare a rendersi conto della sporcizia delle tante falsità nelle quali siamo immersi. Senza neppure sentirne più il maleodorante olezzo.
Queste Olimpiadi, affidate ad una Francia orgogliosa del suo passato rivoluzionario, si chiuderanno verosimilmente con cerimonie ancor più fastose e nessuno – è ancor più facile prevederlo – oserà mettere in discussione la loro perfetta riuscita.
Tutto ciò non ci sorprende. Ogni regime è aduso a celebrare i propri fasti nel plauso dei tanti che hanno deciso di non vedere e di non parlare. A maggior ragione, al cospetto di questa che è, forse, la prima e la più grande – non foss’altro perché planetaria – celebrazione di una società – e non tanto di un singolo Stato – fattasi totalitaria.
Quel che ci auguriamo, però, è che la storia possa finalmente sorprenderci. La storia scritta da quegli uomini e quelle donne che preferiranno alle acque intorbidite da un’ideologia stantìa la freschezza di una pioggia ricca di salutare verità.
Martedì, 6 agosto 2024