Per la chiusura della Scuola estiva 2025 di Alleanza Cattolica, conclusasi il 9 agosto e dedicata al tema Il Sacro Cuore segno e speranza per l’Europa, pubblichiamo questa riflessione di Domenico Airoma
di Domenico Airoma
Legge e cuore, un po’ come fede e diritto, sembrano universi distanti, mondi irrimediabilmente disgiunti, evocando l’una fredda razionalità e calcolo ponderato, l’altro ardente trasporto e slancio smisurato.
Eppure, è proprio nel divorzio fra legge e cuore che va individuata l’origine e la causa del disastro antropologico che segna la fine di quest’epoca, nata con l’esilio di Dio e finita con la persecuzione dell’uomo.
E’ in questa frattura che si perdono le vite di tanti giovani, ammaliati dalle sirene di desideri assoluti, senza regole, e, al contempo, incapaci di tacitare il desiderio dell’Assoluto e la necessità di dare un senso – ed una regola – alla propria vita.
Non intendo soffermarmi sulle tappe di un processo che ha illuso l’uomo di potersi sostituire a Dio nel riscrivere le leggi del reale e dell’umano.
Le conseguenze devastanti sono di una tale evidenza che basta osservarle per rendersi conto della radice diabolica di una tale superbia.
Basta osservarle, appunto. Ma per farlo occorre aprire gli occhi e soprattutto avere il coraggio di farlo.
Ed è questo il primo impegnativo sforzo che siamo chiamati a fare.
Non c’è serio esame di coscienza, infatti, che non prenda le mosse da una franca presa d’atto dello stato in cui ci si trova, della direzione in cui si sta andando, della qualità del tempo che si sta vivendo.
Vanno, perciò, apprezzati e sostenuti tutti quei segnali, seppur timidi, di uno sguardo finalmente critico sull’ora presente: essi rappresentano l’inizio di un percorso, di un processo che conduce, se adeguatamente sostenuto, a rientrare in sé stessi, a tornare ad abitare il proprio cuore.
Oggi, se c’è un posto desolatamente vuoto e inabitato, è proprio il cuore dell’uomo.
Viviamo un’unica dimensione, quella che sta fuori di noi.
Sembra che ci basti, che ci soddisfi, che risponda ad ogni domanda, ad ogni nostro desiderio. Perché vivere “fuori” significa non conoscere confini.
La legge di chi vive “fuori” è una non-legge: essa non deve dettare regole, non deve porre limiti; deve, anzi, rimuovere ogni limite.
Ebbene, iniziare ad avvertire la precarietà di una vita ad una sola dimensione, significa tornare ad avere fame e sete di ciò che soddisfa davvero. Di ciò che è “dentro” di noi.
E’ questa fame che conduce alla riscoperta del cuore.
E una volta rientrati in sé stessi, una volta che si ritorna ad abitare il cuore, diventa inevitabile confrontarsi con ciò che è in esso. Con quello che è scritto in esso.
Sia ben chiaro.
Non è mia intenzione esortare a riscoprire leggi e codici, ma a rendersi conto che c’è una legge a cui nessuno di noi può sottrarsi; una legge che è fatta di un solo precetto: «diventa ciò che sei».
Questo è il secondo sforzo da compiere: imparare a leggere questa legge che è scritta nel nostro cuore; imparare a viverla, ad incarnarla.
La legge del cuore, infatti, è fonte viva; fonte, perché attinge ad una sorgente ci lega all’eterno; viva, perché riluce delle tante sfumature della quotidianità.
Essa richiede fortezza, ma anche prudenza. Fortezza, perché esige perseveranza e dominio di sé; prudenza, perché non va ridotta ad un insipido elenco di prescrizioni, illusorio alimento di un sentimento di perfezione, fetida acqua stagnante.
E tuttavia, vi è un passo ancora da compiere, uno sforzo ulteriore da affrontare in questo viaggio alla riscoperta della legge del cuore.
Se c’è, infatti, una legge scritta nel nostro cuore, è inevitabile porsi la domanda di chi l’ha scritta e del perché l’ha scritta.
Già la sapienza dei filosofi greci e romani aveva intuito che quella legge altro non era che il sigillo impresso in noi da una mano superiore.
La buona novella cristiana ci rivela qualcosa in più, di radicalmente decisivo: ci dice che quella legge è scritta nel nostro cuore per volere di Chi ci ama e vuole il nostro bene. Non solo; ci dice pure che, se lo chiediamo, ci è dato anche il supporto necessario per osservarla. Perché la mano di Chi ha scritto in noi quella legge, non smette mai di sorreggerci.
In definitiva, riscoprire la legge del cuore significa riprendere ad ascoltare la voce di Chi parla al nostro cuore.
Non intendo qui dare la stura a deragliamenti di tenore fideistico.
Intendo richiamare l’attenzione sulla necessità di ridare piena dignità e centralità alla principale inquilina del cuore, la coscienza; una coscienza, che per essere autenticamente tale, deve essere libera, cioè aliena da ogni condizionamento. Perché solo una coscienza libera è in condizione di ascoltare la voce della Verità.
Ed allora il cuore della legge sta proprio in quella voce, che altro non chiede se non di essere ricercata e amata.
Il cuore della legge non è nelle regole, pure importanti, pure da amare, che sapremo dare alla nostra vita, cercando di attuare, hic et nunc, la legge del cuore.
Il cuore della legge non è neppure nell’adempimento, pure necessario, del dovere, che precede ogni diritto, come il seme il frutto.
Il cuore della legge, la sua perfezione, è nella carità, nel dare senza attendersi contraccambio e nel dare pure ciò che non spetta.
Perché solo chi è capace di attingere al vero cuore della legge può fare grandi cose.
Perché solo quando si cerca la perfezione della giustizia nella carità, si stanno costruendo le fondamenta di un’autentica civiltà cristiana.
Domenica, 10 agoato 2025
