Come il 9 novembre 1989 è stato rimosso il Muro di Berlino, simbolo del sistema socialcomunista, forse un giorno qualcosa o qualcuno ci aiuterà ad abbattere i muri delle ideologie postmoderne che ci indeboliscono
di Oscar Sanguinetti
Sono passati ormai molti anni, ben trentasei, da quella “magica” sera in cui tutto il mondo ha assistito alla televisione all’apertura dei varchi nel Muro di Berlino e al flusso di migliaia di berlinesi festanti, quasi inebriati, che spingevano in folla per entrare, finalmente liberi di farlo, magari solo per un momento, dentro la parte occidentale della ex capitale del Terzo Reich:si saprà poi che cercavanole chiese meno dei supermarket e, non in pochi, dei film pornografici.
Quella apertura preludeva allo smantellamento dell’insieme di fortificazioni ad excludendum erette nel 1962 per spaccare in due la città, conquistata dalle quattro potenze alleate contro Adolf Hitler nel maggio del 1945. La barriera di cemento e di filo spinato separava l’area della libertà da quella del totalitarismo comunista, vale a dire il blocco dei Paesi occidentali a regime democratico da quelli dell’Est, occupati a suo tempo dall’Armata Rossa e divenuti in breve la fascia esterna — quella interna risaliva agli zar — dell’impero socialcomunista di casa-madre moscovita. Disuniva idealmente e concretamente la Germania federale indipendente — di cui Berlino Ovest era il “peduncolo” nei territori occupati dai sovietici — dalla Germania “democratica” (la famigerata DDR), satellite dell’URSS.
La rimozione del Muro — nota bene: la rimozione, non il crollo — era l’anticamera della dissoluzione, l’anno dopo, della Germania comunista, della fine del regime del “socialismo reale” nell’ex impero zarista e dello sfascio dell’URSS, che imploderà nel 1991. Dopo questa catena di eventi innescata da quella fatidica e, forse un po’ fortuita, “apertura di cancelli”, il mondo non sarebbe stato più lo stesso.
Commemorare questo evento fatidico per la trentaseiesima volta porta, tuttavia, inevitabilmente a ripetersi. Voglio provare quindi a leggere l’evento che ricorre oggi in una prospettiva un po’ più attuale, parlare meno di comunismo e più di nazionalismo, meno di URSS e più di Russia, meno di Gorbaciov e più di Putin. Oggi il Muro non c’è più, la Germania è riunificata, i Paesi dell’Est europeo sono tornati liberi, il sistema comunista, almeno in certe zone del mondo, è sparito. Però non sono finiti i muri. A mio avviso ne esistono almeno due, sebbene assai diversi fra loro.
Il primo è un muro invisibile e impalpabile, una cortina non di ferro, ma di gomma che divide, come prima faceva il Muro, il bene dall’“impero del male”, la verità di sempre dall’errore multiforme. Non è una barriera rettilinea e continua: è un confineperennemente cangiante, che non ha un luogo preciso, ma vive dentro ciascuno di noi ed è formato dai mille cattivi o vacui stimoli che un mondo dalle maglie sempre più strette e invasive inocula in ognuno di noi, ogni volta che ci esponiamo alla pressione dei media, di qualunque tipo e natura essi siano. Qualcuno ha contrapposto la natura di questo processo a quella che vigeva quando il Muro era in piedi, nell’età delle ideologie. Potremmo chiamare quella situazione “quarta Rivoluzione”, dato che succedeva a quella protestante, quella liberale e quella comunista. Una rivoluzione capillare, osmotica, che ancora oggi penetra e cambia la mentalità vigente, coadiuvata dalla tecnologia e dalla gabbia politico-mediatica che dall’esterno imprigiona i singoli, spingendoli sempre più all’autoreferenzialità e quindi alla lunga, alla disperazione e al nichilismo.
L’altro muro, invece, è fatto, come quello di Berlino 1962-1989, di filo spinato, di trincee, di baluardi, di armi spianate. Ma è qualcosa di più di una barriera divisoria: è un fronte di guerra, dove ogni giorno si muore a centinaia di unità. Sì, perché quell’impero apparentemente crollato nel 1991 è tornato e una barriera irta di cannoni e di missili ci separa da esso. Il vecchio nazional-bolscevismo ha sì buttato via Lenin, forse anche Marx, ma non ha gettato alle ortiche l’idea imperiale, la nazione etnico-religiosa russa, forse nemmeno Stalin. Ha creato una ideologia nuova, un mix di fanatismo religioso e di autoritarismo politico, emblematizzati dalla figura di un presidente a vita che è stato ufficiale superiore del KGB proprio in Germania Est. Questo nuovo impero nazional-autoritario vuole riconquistare la sua fascia esterna, dismessa a forza nel 1991: l’Ucraina, per la prima volta indipendente dall’indomani della Prima guerra mondiale, è stata la prima vittima nella lista dei Paesi “interessati” già stilata, a partire dai Paesi del Baltico.
Questo muro, questi muri, vanno abbattuti. Il primo “tornando al reale”, combattendo il relativismo culturale imperante e imperioso dentro e fuori di noi, coltivando idee “forti”, buttando nel cestino l’ideologia nata nel 1789. L’altro, prima ancora che comprando armi — ma senza escluderlo —, ricuperando la coscienza dell’esistenza del nemico, la consapevolezza della minaccia che grava sull’Europa, Italia compresa: la frontiera con la “fascia esterna” sunnominata è di poche centinaia di chilometri, si può difendere con l’orgoglio e la responsabilità che il possedere ancora tanta libertà impone, anche se questa libertà è molto spesso male usata.
Chissà se, come è accaduto nel 1989 con il Muro di Berlino, che pareva eterno e si è dissolto in pochi giorni cambiando la storia, qualcosa non aiuterà ad abbattere anche i nuovi muri e a invertire il trend decadente che ci attanaglia.
Sabato, 8 novembre 2025
