di Domenico Airoma
E’ davvero interessante osservare le reazioni che la proposta di legge anti-omofobia sta scatenando anche nel mondo di coloro che dovrebbero esserne i principali beneficiari. Si va dalle femministe che obiettano: “noi ci siamo sempre battute per liberare il corpo, non per cancellarlo” (Fabrizia Giuliani); ai gay che parlano di “errore fatale” (Vincenzo Branà); per finire ad un maître à penser del politicamente corretto come Michele Ainis che (su “il Venerdì di Repubblica”)si chiede se una legge in difesa dei gay non rischi di “rivelarsi una legge contro i gay”.
La realtà è che una legge del genere non serve agli omosessuali. Serve per mettere il sigillo della norma (cioè della normalità) ad una nuova antropologia e mettere fuori gioco ogni diversa visione dell’uomo, criminalizzandone i sostenitori. Serve per legittimare la rieducazione di Stato degli ostinati. Serve per imporre la nuova morale sociale, attraverso l’elaborazione del Piano Triennale per la prevenzione ed il contrasto del dissenso, in ogni ambito, sia pubblico che privato. Serve per monitorare gli “atteggiamenti della popolazione”, cioè quel che residua della vecchia mentalità nei comportamenti, nei modi di pensare e di essere. Serve per introdurre la liturgia pubblica dell’omo novo, attraverso l’istituzione della “Giornata Nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la trans fobia”, approdo di Stato del gay pride.
“Avanti così. Finiremo tutte in carcere”; è stato il commento di Monica Ricci Sargentini, firma femminista del Corriere della Sera; subito bollata come omofoba, a riprova (ovemai ve ne fosse ancora bisogno) di quale sarà l’uso che verrà fatto dello stigma dell’omofobia e di chi saranno i destinatari della sanzione penale.
Che fare?
Va senza dubbio compiuto ogni sforzo perché non passi una legge del genere, che rappresenterebbe un salto qualitativo non di poco conto nella demolizione di quel che resta di un ordine fondato su una legge scritta nel cuore dell’uomo e resa visibile dal suo corpo; e, soprattutto, un passo decisivo nel processo di folle edificazione di un mondo partorito da uno sbaglio della mente umana (Papa Francesco).
E certamente vanno difesi tutti i residui spazi di libertà, perché questi sono la condizione di sopravvivenza per chi non è disposto a piegarsi.
E tuttavia non va smarrito l’essenziale.
Non bisogna dimenticare, cioè, che, oltre alla libertà “da”, alla libertà dal ricatto dei nuovi oppressori in camicia arcobaleno, è fondamentale essere liberi “per”, liberi per ricostruire, partendo dalle macerie umane e sociali che quel processo di demolizione –di cui l’omofobia è una delle ultime tappe- ha lasciato attorno a noi.
Per far questo servono sguardo lungimirante e cuore grande.
Occorre non perdere di vista il quadro grande, non farsi abbagliare dagli obiettivi immediati perdendo di vista quelli che sono viceversa decisivi per porre le basi per una salutare e definitiva reconquista; ed occorre, a tal fine, non perdere i contatti con tutti quegli ambienti e quelle realtà che possono cooperare alla vittoria finale.
E serve il cuore: non servono intellettuali ombelico-centrici né caricature di cavalieri in cerca del beau geste; servono uomini capaci “di incarnare umilmente e pazientemente la verità umana, di darle un corpo e una realtà nella vita di ciascuno e nella vita di tutti”, come ha ammonito Gustave Thibon.
Per il momento, comunque, serve rimanere liberi; liberi per poter riedificare una nuova civiltà a misura d’uomo e secondo il piano di Dio.
Lunedì, 6 luglio 2020