Un intervento del card. Walter Brandmuller conferma la perfetta «continuità organica» del 21° concilio ecumenico e invita a non estrapolare i documenti ecclesiali dal contesto storico in cui furono scritti.
di Stefano Nitoglia
In questi giorni la pubblicazione di alcune lettere dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò sul blog di Sandro Magister, Settimo Cielo (30 giugno e 6 luglio 2020), ha rinfocolato la polemica sulla cosiddetta “riforma nella continuità”, esposta da Papa Benedetto XVI (2005-13) nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005.
Sul tema è intervenuto anche il card. Walter Brandmüller (uno dei principali sostenitori delle tesi di Papa Ratzinger), già presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, con una conferenza tenuta all’interno di un seminario di studi organizzato dalla Scuola Ecclesia Mater. Un intervento pubblicato nella sua versione integrale sul blog Stilum Curiae di Marco Tosatti il 24 giugno 2020 e il 6 luglio 2020 su Settimo Cielo di Magister, nel quale il novantunenne porporato tedesco dà una esatta lettura storico-teologica del Concilio Ecumenico Vaticano II e dei concili in generale.
Riportiamo di seguito un’ampia sintesi dell’intervento dell’illustre porporato, rimandando alle citate pubblicazioni per coloro che volessero leggere o ascoltarne il testo integrale.
L’interpretazione dei documenti conciliari«è e rimane un’impresa audace», ha esordito il card. Brandmüller, citando il famoso episodio raccontato da S. Agostino del bambino che voleva svuotare l’acqua del mare con un secchiello. Infatti «non si può mai cogliere la pienezza della verità divina”.
Il Vaticano II «ha dato forma ad un nuovo tipo di concilio»: un “concilio pastorale”, che non ha espresso condanne dottrinali, ma ha usato la medicina della misericordia, venendo incontro alle necessità del mondo moderno ed esponendo più chiaramente le verità di fede, invece che esprimere condanne.
Però, ha tenuto a precisare il porporato, a cinquant’anni dalla sua conclusione sappiamo che «il concilio avrebbe scritto una pagina più gloriosa se, sulle orme di Pio XII, avesse trovato il coraggio di una ripetuta ed espressa condanna del comunismo».
Il cardinale ha sostenuto, contro i teorici della “rottura”, l’esistenza di uno stretto rapporto tra Vaticano II e Tradizione. La costituzione Lumen gentium, ad esempio, contiene numerosi richiami ai concili e ai papi precedenti, come pure ai Padri e ai dottori della Chiesa.
Nella sua interpretazione non si può parlare di un “concilio-evento”, ma solo di documenti del concilio. Benedetto XVI ha messo in risalto lo stretto collegamento organico del Concilio Vaticano II con il resto della Tradizione. L’ermeneutica della rottura, teorizzata sia dai progressisti che da alcune correnti tradizionaliste, è sbagliata. Non è possibile parlare di rottura nell’insegnamento e nell’azione sacramentale della Chiesa e chi lo ritenesse sarebbe vittima del relativismo. Ogni concilio dà alla Tradizione il suo contenuto specifico, con un «processo di sviluppo, chiarimento, discernimento, e ciò con l’aiuto dello Spirito Santo, un processo che porta a far sì che ogni concilio, con le sue dichiarazioni dottrinali definitive, entri come parte integrante nella tradizione complessiva della Chiesa».
Da questo punto di vista, i concili sono sempre aperti in avanti, verso un annuncio dottrinale più completo, chiaro e attuale, mai verso l’indietro. Un concilio non potrà mai contraddire quelli che lo hanno preceduto, ma può integrare, precisare, proseguire. Il Vaticano II è un concilio «tra, accanto e dopo gli altri», né al di sopra né al di fuori. Il magistero postconciliare ha tolto le basi a qualsiasi interpretazione errata del Vaticano II, sia di quella progressista sia di quella sedicente tradizionalista. Tutti i testi conciliari nascono da una situazione particolare e sono determinati da essa. L’orizzonte ermeneutico si sposta in funzione della distanza dell’interprete attuale da quello di allora.
La verità della rivelazione è certamente eterna e immutabile, ma è altrettanto vero che il processo del riconoscere questa verità da parte dell’uomo è soggetto al cambiamento, come l’uomo lo è: nasce bambino e diventa adulto, ma è sempre lo stesso. La comprensione più profonda si ha nel tempo. Non si può interpretare il Vaticano II come se fossimo nel 1965. Nostra aetate e Unitatis redintegratio, criticate da alcuni sedicenti tradizionalisti, nascono dall’esperienza del totalitarismo del XX secolo e della persecuzione degli ebrei: vanno letti in quel contesto. Dominus Iesus ha tolto ogni possibilità di errore in merito, indicando in modo inequivocabile Gesù Cristo come unica via per la salvezza eterna e la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica di Gesù Cristo come unica comunità di salvezza per ogni uomo.
Il card. Brandmuller ha poi voluto offrire alcune delucidazioni sul “famoso” «subsistit in»: «se nel discorso ecumenico c’erano state affermazioni che potevano suscitare l’impressione che la Chiesa cattolica fosse solo uno tra i molteplici aspetti della Chiesa di Gesù Cristo, l’interpretazione di “subsistit in”, anch’essa confermata da Dominus Jesus, ha eliminato ogni malinteso».
A proposito delle accuse di coloro che vedono una contraddizione tra il Sillabo e Dignitatis humanae, lo storico della Chiesa ha ricordato che i due documenti sono nati in un contesto storico diverso e dovevano rispondere a situazioni differenti. La verità non è a-storica. Bisogna contemplare i documenti conciliari nel loro contesto storico, ricercando le intenzioni di coloro che li hanno fatti e, quindi, interpretarli alla luce del magistero successivo. In sintesi: il Syllabus difendeva la verità, il Vaticano II la libertà della persona.
Brandmüller accenna, infine, «all’ottimismo mondano, evidentemente un po’ ingenuo, che aveva animato i padri conciliari durante la redazione di Gaudium et spes». Appena terminato il Concilio divenne sempre più evidente, però, che il “mondo” stava subendo un processo di secolarizzazione sempre più rapido. dal processo di secolarizzazione. «Bisognava pertanto ridefinire il rapporto tra la Chiesa e “questo mondo” », come lo chiama l’apostolo san Giovanni, «e completare, interpretare, il testo conciliare, per esempio nel senso dei discorsi di Benedetto XVI durante la sua visita in Germania».
Occorre leggere i testi conciliari alla luce di tutto il magistero postconciliare. Non si tratta della consegna di un pacchetto ben sigillato, ma di un processo organico, come quello di un bambino che diventa uomo.
«Bisogna andarci piano, dunque», ed è l’esortazione finale del cardinale, «anche nel dibattito sul Vaticano II e la sua interpretazione, che deve a sua volta avvenire sullo sfondo della situazione mutata nel tempo. A tale riguardo il magistero dei Papi postconciliari ha dato contributi importanti, di cui però non si è tenuto sufficientemente conto, mentre bisognerebbe prenderne atto proprio nel dibattito attuale. […] Poi, in questa discussione, è bene ricordare il monito alla pazienza e alla modestia di san Paolo a Timoteo (2 Tim 4,1s). […] Purtroppo, tali confronti continuano ad assumere forme che mal si accordano con l’amore fraterno. Dovrebbe essere possibile conciliare lo zelo per la verità con la correttezza e l’amore del prossimo. In particolare, sarebbe opportuno evitare quella “ermeneutica del sospetto” che accusa in partenza l’interlocutore di concezioni eretiche».
«In sintesi», conclude il porporato, «le difficoltà nell’interpretazione dei testi conciliari non derivano soltanto dal loro contenuto. Bisognerebbe tenere in considerazione sempre più il modo in cui si svolgono le nostre discussioni a riguardo».
Mercoledì, 15 luglio 2020