di Francesco Pappalardo
1. La vita e le opere
Frate Toribio nasce a Benavente, nel regno iberico di León, verso il 1490. Non si conosce nulla di preciso sulla sua giovinezza, sugli studi compiuti, sullammissione allordine dei Frati Minori, sullordinazione sacerdotale, avvenuta intorno al 1516. È certo che poco dopo si stabilisce nella provincia francescana di San Gabriele, in Estremadura, dove soggiorna per circa sei anni, stringendo stretti rapporti con il provinciale, padre Martín de Valencia (1474 ca.-1534), noto per la vita austera e per il fervore religioso. Quando, con la bolla Alias felicis, del 25 giugno 1521, Papa Leone X (1513-1521) autorizza lordine serafico a iniziare lopera di evangelizzazione nella Nuova Spagna, lodierno Messico, padre Martín viene scelto per guidare la missione nel Nuovo Mondo e frate Toribio, nonostante la giovane età, è annoverato fra i primi dodici francescani, “predicatori e confessori devoti”, noti anche come i dodici apostoli, che sbarcano in Messico il 13 maggio 1524.
Nellantica capitale azteca, Tenochtitlán, la futura Città di Messico, sono accolti dal conquistador Hernán Cortés (1485-1547), governatore della Nuova Spagna, che va loro incontro a capo scoperto e in ginocchio, imitato dai suoi luogotenenti e dai più illustri capi indiani. Il 2 luglio i missionari riuniscono il loro primo Capitolo, che decide la fondazione della Custodia del Santo Vangelo, affidata a padre Martín, e la ripartizione dei territori da evangelizzare sulla base delle quattro maggiori città del paese. Frate Toribio che aveva assunto lappellativo di “Motolinía”, cioè “povero” in náhuatl, la lingua degli aztechi, intendendo ribadire in tal modo la scelta di povertà radicale ha la responsabilità di Città di Messico ed è nominato guardiano, cioè superiore, dellerigendo monastero di San Francesco.
Nei trentanni seguenti è guardiano dei principali conventi del Messico centrale, inquisitore a Città di Messico, quindi ispiratore e protagonista del tentativo di allargare il raggio di azione della missione in direzione del Guatemala e del Nicaragua, dove si reca tre volte, soggiornandovi per alcuni anni. Nel 1546, dopo la morte improvvisa del vicario provinciale, Motolinía è posto provvisoriamente alla guida dellOrdine in Messico, finché il Capitolo del 1548 conferma tale scelta, eleggendolo ministro provinciale per tre anni.
In ogni occasione rifulgono in lui lentusiasmo, limpegno, le capacità organizzative del missionario, che personalmente battezza e istruisce nella fede decine di migliaia di indios. Grazie alla sua vasta esperienza e alla conoscenza delle lingue e dei costumi dei nativi, nel 1536 riceve dai superiori lincarico di proseguire lindagine etnografica sulle società precolombiane iniziata tre anni prima dal francescano Andrés de Olmos (1480 ca.-1570) e di aggiungervi la storia dellattività missionaria svolta fino a quel momento. Lo studio, che per umiltà Motolinía vuole lasciare anonimo, rimane inedito fino al 1848, quando viene pubblicato a Londra con il titolo di Historia de los Indios de la Nueva España. Compone anche una Doctrina Cristiana en lengua mexicana, un Tratado del Camino del Espíritu, e alcuni auto, od opere di teatro edificanti, in lingua náhuatl, fatti rappresentare a Tlaxcala in occasione del Corpus Domini del 1538 e delle feste di Pasqua del 1539.
La sua attività sintreccia con gli avvenimenti più significativi della storia spirituale del Messico. Nel 1531 assiste al trasporto dellimmagine miracolosa della Vergine di Guadalupe dal colle del Tepeyac a Città di Messico e, nel 1539, svolge unindagine sulla vicenda dei tre piccoli martiri di Tlaxcala, tre bambini tlaxcaltechi assassinati fra il 1527 e il 1529 dagli indios rimasti fedeli ai culti precolombiani. Nel 1555 indirizza una lunga lettera allimperatore Carlo V dAsburgo (1500-1558) che come re di Castiglia e di León aveva giurisdizione sulle Indie, le province ispaniche doltremare , tracciando un bilancio positivo della conquista e della prima evangelizzazione delle Americhe, in polemica con alcuni scritti del domenicano Bartolomé de Las Casas (1474-1566), ferocemente critico verso la colonizzazione spagnola.
Muore il 10 agosto 1569 a Città di Messico.
2. Il dibattito sulla Conquista
La regina Isabella di Castiglia (1451-1504) e il consorte Ferdinando dAragona (1452-1516), prima ancora della scoperta di nuove terre, avevano stabilito che lobbiettivo principale della spedizione di Cristoforo Colombo (1451 ca.-1506) dovesse essere la diffusione del messaggio di Cristo. Questo proposito viene ribadito nelle Instrucciones al governatore Nicolás de Ovando (1460 ca.-1518), del 1501, che incoraggiavano, fra laltro, il matrimonio fra spagnoli e indigeni, ponendo fin dallora le basi del meticciato fisico e spirituale delle nazioni iberoamericane. Le denunce dei domenicani di Santo Domingo fra cui lomelia di padre Antonio de Montesinos (m. 1545), pronunciata nella quarta domenica di Avvento del 1511 e tramandata da Las Casas, che tuttavia non era presente allavvenimento sui maltrattamenti inflitti agli indios inducono re Ferdinando, reggente degli affari di Castiglia dopo la scomparsa della moglie Isabella, a convocare a Burgos, allora sede della corte itinerante, una giunta di teologi, di giuristi e di rappresentanti dei coloni per conoscere le modalità di governo dei popoli appena scoperti. La giunta, dopo unampia discussione, riconosce che i nativi sono sudditi liberi di Castiglia; pertanto, devono essere istruiti nella fede e possono essere obbligati a rendere determinati servigi materiali per ripagare listruzione e i servigi spirituali resi loro dalla Corona e dai coloni. Su questa base sono emanate, il 27 dicembre 1512, le cosiddette Leggi di Burgos, che costituiscono il primo testo legislativo organico a favore degli indios.
Il 2 giugno 1537, su sollecitazione dei presuli dAmerica, che chiedono una pronuncia del Magistero sulla capacità dei nativi di ricevere il Vangelo, Papa Paolo III (1534-1549) promulga la bolla Sublimis Deus, con cui riafferma la dignità degli indigeni e il loro diritto alla libertà, condannando ogni forma di schiavitù. Nel 1541 limperatore Carlo V, rientrato in Spagna dopo una lunga permanenza in Germania, decide di procedere a una revisione generale della politica verso le Indie e convoca una nuova giunta a Valladolid. Las Casas vi partecipa con un ampio intervento, condensato poco dopo nella Brevísima relación de la destruición de las Indias, che sarà inviata al sovrano sotto forma di lettera privata. Sbocco normativo dei lavori della giunta è la formulazione del corpus giuridico delle Leyes Nuevas, promulgate nel novembre del 1542 e nel giugno del 1543. Queste disposizioni, che accentuano il carattere missionario della Conquista, ormai molto avanzata in tutto il continente, sono il frutto non solo dellinflusso di Las Casas e della scuola domenicana nel suo complesso, ma anche di un vasto dibattito teologico, filosofico e giuridico intorno ai temi della guerra giusta, del diritto naturale e dei doveri di un governo cristiano, che fa onore alla cultura ispanica del secolo XVI.
Gli spagnoli, infatti, grazie allazione civilizzatrice svolta insieme alla Chiesa, liberano gli indigeni dalla tirannia dei loro governanti e, ponendo laccento sulla dignità della persona umana, propugnano labolizione della schiavitù, un principio inizialmente discusso nella teoria e violato nella pratica, che però alla fine prevale in tutti i territori posti sotto la loro giurisdizione.
3. La lettera a Carlo V e la polemica con Las Casas
Una diffusa letteratura anticattolica e antispagnola ha utilizzato e strumentalizzato lopera di Las Casas pubblicata a Siviglia nel 1552 , le cui denunce, impressionanti e unilaterali, si sono rivelate presto eccessive e inaffidabili, così da non poter essere utilizzate come fonti storiche esclusive e attendibili. Lo storico e ispanista Aldo Albònico osserva che “[…] lo scritto in questione è un pamphlet e, come tutti i libelli, impiega artifici retorici e gonfia i dati reali”, ipotizzando “[…] che il suo autore fosse conscio di mentire”, sia pure “a fin di bene”.
Frate Toribio è fra i primi a smentire le affermazioni del domenicano con una serie di lettere alle autorità locali e allimperatore. Partendo dalla sua vasta esperienza di missionario e dalla profonda conoscenza degli indios, delle loro lingue e delle loro culture, innanzitutto imputa a Las Casas lignoranza del mondo indigeno, di cui non imparò neanche gli idiomi, la scarsa solerzia missionaria, labbandono senza licenza reale della sede episcopale a lui affidata nelle Indie e la manifesta prevenzione nei confronti degli spagnoli, di cui il domenicano nega sistematicamente la buona fede. Alla martellante polemica di Las Casas contro gli amministratori delle cose terrene e di quelle spirituali nelle colonie, Motolinía replica con la difesa energica delle buone disposizioni della stragrande maggioranza dei civili e con lesaltazione della santità dei religiosi inviati in America. Denuncia quindi la faziosità e le cifre iperboliche contenute nella Brevísima relación de la destruición de las Indias, dove si sostiene la tesi del genocidio degli indiani da parte dei nuovi arrivati, e ha buon gioco nello screditare limprecisione dellavversario con i dati desunti dallesperienza sua e dei più autorevoli testimoni dei fatti. La catastrofe demografica dei popoli amerindi ha la sua causa nelle grandi epidemie provocate dal contatto fra due realtà biologiche estranee e non in una presunta politica razzista e di sterminio messa in atto dagli spagnoli, i quali, invece, hanno tutto linteresse a garantire la sopravvivenza dei nativi e a favorire la fusione fra vincitori e vinti.
Motolinía contesta al domenicano anche lillustrazione idilliaca della natura del Nuovo Mondo e la descrizione angelica dei suoi abitanti, ricordando la natura tirannica dei regni precolombiani, costruiti a prezzo di guerre sanguinosissime e fondati sulloppressione di gran parte della popolazione, sulla schiavitù e sulla pratica dei sacrifici umani. La descrizione raccapricciante dei templi e degli altari grondanti sangue contrasta drammaticamente con i tentativi di Las Casas di rendere più accettabile ai lettori il cannibalismo e di difendere la pratica del sacrificio umano, fino al punto di mettere in dubbio che questultima contrasti con la legge naturale. Il tragico fallimento di quasi tutti i tentativi di colonizzazione pacifica levangelizzazione fu ordinariamente segnata dal sangue in assenza di protezione militare e non ci fu missione disarmata che non contasse dei martiri conferma agli occhi di frate Toribio e della maggior parte degli spagnoli presenti in America la necessità di far precedere la missione religiosa dalla conquista armata.
Motolinía sottolinea inoltre il ruolo positivo dellistituto della encomienda, una signoria limitata, revocabile dal sovrano e non trasferibile ad altri, le cui forme giuridiche non prevedevano lespropriazione della proprietà indigena e miravano, insieme alla ricompensa dei conquistadores, alla protezione dei diritti dei nativi. In polemica con Las Casas, che aveva denunciato il carattere oppressivo dellistituto, abusivamente connesso alla presunta riduzione in schiavitù degli indios, difende lencomienda con una serie di motivazioni che vanno dal necessario radicamento degli spagnoli nelle nuove terre al miglioramento delle condizioni di vita e dei costumi degli indigeni, fino allintegrazione pacifica fra le due etnie. La conclusione della lettera, che rievoca un intervento miracoloso della Vergine Maria in favore di spagnoli e di indios, allude appunto alla nascita di una nuova e originale civiltà prefigurata nel volto meticcio della Vergine di Guadalupe , esito non di una violenta sovrapposizione ma di una felice sintesi culturale, che si realizza sotto il segno del cattolicesimo.
Per approfondire: Pierluigi Crovetto, I segni del diavolo e i segni di Dio. La Carta al Emperador Carlos V (2 gennaio 1555) di fray Toribio Motolinía, Bulzoni, Roma 1992; Georges Baudot, Utopia e storia in Messico. I primi cronisti della civiltà messicana (1520-1569), trad. it., Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 1991, specialmente pp. 221-343; Jean Dumont, Il Vangelo nelle Americhe. Dalla barbarie alla civiltà. Con unappendice sul processo di beatificazione della regina Isabella la Cattolica, trad. it., con una prefazione di Marco Tangheroni, Effedieffe, Milano 1992; e Silvio Zavala, Il pensiero politico nella Conquista, con una prefazione di Cesare Vasoli, Ponte alle Grazie, Firenze 1991.