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A proposito di Kazakistan

1 Ottobre 2022 - Autore: Silvia Scaranari

Kazakistan

Un paese di grande importanza geo-politica e geo-strategica, stretto tra Russia e Cina ma con un occhio interessante verso l’Europa

di Silvia Scaranari

Nelle ultime settimane si è parlato molto di Kazakistan (o Kazakhstan), soprattutto a causa del VII Congress of Leaders of World and Traditional Religions, che si è tenuto a Nur-Sultan (Astana) lo scorso 14-15 settembre, a cui ha partecipato anche il Santo Padre. Senza entrare nel merito dell’incontro, su cui già molto si è detto sui mass-media a proposito e a sproposito, proviamo a dare uno sguardo sintetico a questo immenso paese asiatico.

Territorio abitato fin dalla preistoria, ma senza documenti scritti fino al XIII secolo, quando viene unificato dalle orde mongole di Gengis Khan, assume una propria identità alla fine del 1500, quando le etnie presenti sul territorio fanno proprio il termine “kazako”, di origine turca, con il significato di “nomade”, “libero”, quindi “terra di gente libera”.

Da sempre area di transizione fra Asia e Europa, cade sotto i russi durante il processo di formazione dell’impero zarista nel XVIII sec. per diventare, nel XX sec., una delle tante Repubbliche socialiste sovietiche dell’URSS.

Nel 1991 il governo kazako dichiara la propria indipendenza da Mosca, diventa una repubblica democratica e nel 1995 si dota di una sua Costituzione, che sancisce la divisione dello Stato in 14 regioni e 3 città metropolitane. Presidente Nursultan Nazarbaev, che con successivi maneggi resta in carica fino al 20 marzo 2019 (30 anni di governo assoluto, con il potere legislativo nelle sue mani nonostante la presenza di un’assemblea rappresentativa, divisa tra Senato e Majilis). Lo stesso giorno la capitale Astana cambia nome in onore dell’ex-presidente e diventa Nur-Sultan. Nuovo presidente Qasym-Jomart Kemelūly Toqaev, “delfino” di Nazarbaev, confermato da elezioni fortemente criticate dall’opposizione. Già ministro degli esteri per 10 anni, eletto presidente del Consiglio dei ministri degli Affari Esteri della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) e, fra le tante altre cariche, professore onorario e dottore dell’Accademia diplomatica del Ministero degli Affari Esteri della Russia, Toqaev, diventato nuovo presidente del Kazakhstan, propone al suo predecessore di assumere il titolo di “Presidente onorario del Kazakistan” per il ruolo giocato in 30 anni di controllo del Paese. Il nuovo presidente, per parte sua, promette riforme che non si realizzano, anzi, il paese cade in una profonda crisi economica.

Nel gennaio del 2022 scoppia una rivolta popolare, che causa centinaia di morti. Dopo giorni di disordini, l’arcivescovo Tomasz Peta, vescovo cattolico della diocesi del Kazakistan settentrionale, con sede a Nur-Sultan, interviene sulla rete nazionale chiedendo a tutti i sacerdoti di celebrare una Santa Messa il 13 gennaio in suffragio di tutti i morti e invitando la popolazione ad una dimostrazione pacifica, sostenuto, nonostante il blocco delle comunicazioni, da mons. Adelio Dell’Oro, vescovo della diocesi di Karaganda, nel centro-est del paese.  Trattativa pacifica un po’ difficile, in un paese in cui il partito Nur-Oltan è al potere dal giorno della proclamata indipendenza e fenomeni di arresti, intimidazioni e, pare, torture sono stati più volte denunciati.

Il Kazakistan, regione importante per l’Asia centrale, ha aumentato il suo valore geo-politico e geo-strategico negli ultimi anni, tanto che il presidente cinese Xi Jinping, prima di incontrare Putin a Samarcanda per la riunione del CSO, Shanghai Cooperation Organization (organismo che riunisce Russia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizistan, Cina, India, Pakistan, Iran, Uzbekistan, osservatore la Turchia), è volato a Nur-Sultan per verificare la stabilità degli accordi presi, proseguendo nella politica iniziata nel 2013, quando, proprio da Astana, aveva presentato il grande progetto delle “Vie della Seta” (di cui ben tre passano per il Kazakistan).

L’importanza del paese non sfugge neanche a Putin, con cui è in vigore un patto di cooperazione e aiuto economico e militare. Le proteste di gennaio hanno spinto la Russia ad inviare un contingente di 2000 uomini, mentre per simili sommosse in altri paesi confinanti non si era mossa una foglia. Questo dimostra quanto interesse abbia la Russia a tenere sotto il suo grande cappello il Kazakistan, un paese enorme – equivalente a tutta l’Europa occidentale, ma con solo 18 milioni di abitanti – con cui spartisce ben 6800 km di confine (il più lungo di tutta l’Asia).

Il nostro ambasciatore, Mario Alberti, intervistato da Piero Vietti per Tempi, sottolinea l’importanza politica anche del Congresso mondiale dei leader religiosi, poiché «in Kazakistan coesistono 140 etnie e oltre 18 confessioni. Dialogo e tolleranza religiosa sono alla base, o meglio all’origine, della convivenza civile di un Paese da sempre ostile al fondamentalismo. Il governo ha ribadito la volontà di essere punto di riferimento nella dinamica del dialogo, posta alla base delle riforme politico-istituzionali avviate dal Paese, ma anche del suo nuovo posizionamento internazionale. I richiami fatti dal Presidente Tokayev alla pace sono stati molti, in questi giorni, ma anche nei mesi scorsi».

Ma questo enorme Paese, tanto interessante per Russia e Cina, è veramente un paese di stampo europeo come vorrebbe presentarsi? Al suo interno è veramente democratico?

Secondo alcuni non si potrebbe sperare di meglio, ma secondo altri osservatori c’è ancora molto lavoro da fare. Per la settima volta, dal 2003, organizza il Congresso mondiale dei capi di tutte le religioni e la sua Costituzione riconosce la libertà di professare qualsiasi credo, ma come vivono veramente le religioni diverse dall’islam?

Il Kazakistan ha circa il 70% di abitanti musulmani, contro un 26% di cristiani, nella stragrande maggioranza ortodossi discendenti da popolazioni russe stanziate nella regione durante il periodo sovietico. I cattolici sono poco più dell’1,5%. L’islam ufficiale è quello sunnita hanafita e spesso le comunità appartenenti a scuole diverse lamentano forti restrizioni e discriminazioni. Soprattutto dopo il 2001, con la motivazione ufficiale dell’antiterrorismo, tutti i musulmani che si allontanano dal rigido protocollo hanafita vengono monitorati con rigore.

Secondo la Costituzione (art. 5 par. 5) lo Stato considera religioni nazionali l’islam hanafita e l’ortodossia russa, mentre le comunità religiose che dipendono da chiese straniere (tra questi anche i cattolici) devono sottoporre le proprie attività alle autorità kazake e tutti devono seguire la “Legge sulla religione” del 2011, modificata nel 2017 e già sanzionata dall’OSCE, che vieta ogni manifestazione religiosa non preventivamente definita. Anche se nel 2020 il Governo ha promesso di attenuare i controlli e diminuire le sanzioni, queste riguardano fenomeni che da noi sarebbero impensabili: multe per aver festeggiato un compleanno con canti religiosi, o aver tenuto un incontro nella propria sede, regolarmente registrata, ma senza il preventivo permesso dei vicini. Atteggiamenti chiaramente vessatori verso realtà non allineate al Governo in carica. Altro caso ha toccato un musulmano multato per aver concluso la preghiera del venerdì con un “Amin” troppo deciso, a voce troppo alta. Diverse comunità protestanti lamentano, secondo ACS, di aver subito il sequestro di materiale religioso perché non conforme alle regole della censura, mentre comunità islamiche di scuola salafita denunciano l’arresto e il carcere per loro fedeli che hanno scambiato messaggi WhatsApp ritenuti troppo “integralisti”.

Di fronte a questo enorme paese, qual è il ruolo dell’Italia? Sempre l’ambasciatore Alberti ricorda che «il primo investitore nel paese è l’UE, non altri. E il Kazakistan lo sa. Per questo, ha voluto e sottoscritto lo European Union-Kazakhstan Enhanced Partnership and Cooperation Agreement [….] A livello economico-commerciale, nonostante il Covid-19, restiamo il 2° importatore di beni kazaki e l’8° fornitore, con l’obiettivo, ambizioso ma possibile, di riportare presto l’intercambio ai valori pre-pandemia. Al momento, operano 250 aziende a capitale italiano, di cui 170 joint-venture, nei settori energia, tradizionale e rinnovabile, petrolchimico e agro-alimentare [….] Per questo riserva ai principali membri UE, fra cui l’Italia, grande attenzione, che ora spetta a noi tradurre in partnership strategica» e, forse, non solo commerciale.

Sabato, primo ottobre 2022

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