di Don Giovanni Poggiali O.M.M.E.
“Agostinismo” è il termine che indica l’insegnamento filosofico e teologico di sant’Agostino d’Ippona (354-430), sia per quanto riguarda le dottrine da lui elaborate, sia per le tendenze e le scuole di pensiero sviluppatesi successivamente e che hanno da lui origine. In particolare, per quanto riguarda la teologia, la dottrina del peccato originale con la confutazione del pensiero pelagiano — da Pelagio Britannico (360-420 ca.) —, il quale negava il peccato originale e sosteneva che l’uomo poteva vivere con le sue sole forze senza la grazia divina; quindi, la lotta ai donatisti — da Donato di Case Nere (270-355 ca.) —, i quali sostenevano che la validità dei sacramenti dipendeva dalla santità personale del ministro e non erano efficaci di per sé (ex opere operato); il contrasto con i manichei — dal predicatore iranico Mani (216-277): lo stesso Agostino fu manicheo per diversi anni —, i quali contrapponevano due principi, il bene e il male, perennemente in lotta fra loro, negando l’unico Dio creatore e considerando la materia come malvagia.
Queste controversie sono solo alcune delle strade prese dall’Ipponate per delineare la sua dottrina e il suo insegnamento è stato anche la base e la conferma del depositum fidei della Chiesa Cattolica, come ripeteva Papa san Paolo VI (1963-1978): «Si può dire che tutto il pensiero dell’antichità confluisca nella sua opera e da essa derivino correnti di pensiero che pervadono tutta la tradizione dottrinale dei secoli successivi»[1].
Il numero delle opere del Dottore e Padre della Chiesa d’Occidente è sconfinato e spazia dall’esegesi biblica alla spiegazione della retta dottrina, dalla lotta alle eresie alle questioni morali e sacramentarie, dalla spiegazione delle virtù al combattimento spirituale.
I diversi temi agostiniani
Dopo la sua conversione, avvenuta il 15 agosto 386 e il cui cammino apprendiamo dalle sue stesse opere, in particolare dalle celebri Confessioni, in cui emergono il desiderio e l’amore per la ricerca della verità che lo ha mosso per tutta la vita, Agostino provò a risolvere diversi dei problemi che lo attanagliavano. Anzitutto il rapporto tra fede e ragione, che è «il tema determinante per la biografia di sant’Agostino»[2]. Sono celebri le due formule con cui il Dottore ipponense univa le due forze che ci portano a conoscere Dio: «crede ut intelligas» («credi per comprendere») — il credere apre la strada che porta a varcare la porta della verità —, ma anche, e inseparabilmente, «intellige ut credas» («comprendi per credere») —, scruta la verità per poter trovare Dio e credere» (idem).
Un altro grande binomio che Agostino approfondì alacremente è la relazione fra Dio e l’uomo: l’uomo non si comprende se non in ordine a Dio, il quale è presente in noi fin nelle profondità dell’anima. In tale rapporto, centrale è il ruolo di Cristo, unico Redentore e Mediatore fra Dio e gli uomini peccatori, che, insieme alla Chiesa corpo mistico di Cristo, forma una sola persona, cioè quello che Agostino chiama il Cristo totale (Christus totus), perché Cristo e la Chiesa sono inseparabili. Infatti, Cristo e la Chiesa sono «il fulcro del pensiero teologico del Vescovo d’Ippona, anzi, si potrebbe aggiungere, della sua stessa filosofia»[3]. La Chiesa, vivificata dallo Spirito di Cristo — lo spirito Santo, che è principio di unione di amore tra i fedeli e nella Trinità —, è vista da Agostino come comunione, concetto e nozione sviluppato nel Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) come uno dei temi ecclesiologici più importanti. La Chiesa è «mater et magistra», madre e maestra, non è separabile od opponibile a Cristo, come qualcuno aveva fatto pensare e credere al Dottore della Chiesa, ma è manifestazione di Cristo e garante della verità rivelata.
Grazia e libertà
Uno dei contributi più importanti del vescovo di Ippona è quello riguardante la dottrina della grazia, per cui Agostino è definito Doctor gratiae. Confutando le correnti pelagiane — con i loro vari rappresentanti: oltre a Pelagio, anche Celestio (375 ca.-431) e Giuliano d’Eclano (385 ca.-455 ca.) — e manichee soprattutto riguardo il peccato originale[4], Agostino sistematizzava in Occidente il rapporto fra grazia divina e libertà dell’uomo, questione misteriosa e complessa, legata anche alla sua conversione, nella quale maturò la convinzione della necessità della grazia dell’unico Mediatore per giungere alla salvezza dal peccato ed essere veramente liberi.
Libertà e grazia, libertà e prescienza di Dio non sono inconciliabili. Famoso è un detto agostiniano che spiega questa relazione: «Chi ti ha creato senza di te, non ti giustifica senza di te. Dunque, ha creato chi non sapeva, non giustifica chi non vuole»[5]. Agostino afferma che è essenziale tenere insieme queste due verità che provengono dalla divina Rivelazione, esse sono conciliabili anche se per molti questo è difficile da capire e accettare. La necessità della grazia implica anche la necessità della preghiera, un tema su cui egli ha costantemente insistito.
San Giovanni Paolo II ricorda, a proposito del binomio in oggetto, i tre beni fondamentali sui quali il Vescovo ipponense ha insistito: «Non sarà inutile ricordare che la difesa della necessità della grazia è per Agostino la difesa della libertà cristiana. Partendo dalle parole di Cristo: se il Figlio vi libererà, allora sarete veramente liberi (Gv 8, 36), egli si fece difensore e cantore di questa libertà ch’è inseparabile dalla verità e dall’amore. Verità, amore, libertà, i tre grandi beni che appassionarono l’animo di Agostino e ne esercitarono il genio. Su di essi gettò molta luce di intellegibilità»[6]. Il concetto di libertà è esaminato da Agostino in profondità e in tutte le sue forme: libertà dal peccato grazie alla giustificazione, dalle passioni disordinate per opera della grazia che illumina l’intelletto e la volontà, dallo scorrere del tempo che ci divora, con l’amore che ci permette di vivere legati all’eternità.
La questione pelagiana
Tornando a Pelagio, il cuore della sua dottrina è certamente la questione del libero arbitrio come esaltazione di sé e della propria volontà. Il monaco britannico, secondo Agostino, svuotava la grazia di Dio del suo vero contenuto, ma è proprio il dono di Dio che in verità ci libera. In un suo testo Agostino afferma, citando san Paolo, che Dio suscita il volere e l’operare e noi non abbiamo nostri meriti se non nell’assecondare ciò che viene dall’alto, perché tutto viene da Dio. Ovviamente, il Doctor gratiae, non negava la libertà dell’uomo ma affermava che, insieme a essa, va considerato sempre l’aiuto di Dio, mentre i pelagiani affermavano che l’uomo può osservare tutti i divini comandamenti senza la grazia di Cristo. Da questa esaltazione della libertà individuale, a scapito della corretta comprensione dell’azione della grazia di Dio, derivano per i pelagiani almeno tre conseguenze: la prima è l’impeccantia, cioè l’uomo può non peccare con la sola sua forza di volontà; un secondo effetto è che la grazia di Cristo è un aiuto esterno — come la Legge o il buon esempio di Gesù — e non un dono interiore che cambia e trasforma il cuore; essa viene data in base ai nostri meriti, mentre Agostino ribadiva che la loro causa è la grazia; infine, Pelagio, non operava la distinzione fra natura integra e natura decaduta nell’uomo dopo il peccato. Questa controversia fu decisiva anche per la teologia successiva ed è stato uno dei contributi determinanti del santo vescovo alla forma futura della fede cattolica.
La deificazione
Un altro tema, che può rientrare nell’ambito dell’agostinismo, anche se meno dibattuto e sviluppato solo negli ultimi decenni, riguarda la deificazione dell’uomo. Il sacramento del Battesimo, o rigenerazione, è come l’alveo in cui l’Ipponate pone l’inizio della divinizzazione dell’uomo e considera la nuova rigenerazione dell’uomo nell’amore, sino alla risurrezione della carne, il compimento di questo itinerario. La deificazione, quindi, è come lo sviluppo progressivo e ultimativo dell’aspetto sacramentale nella vita del fedele cristiano. Agostino non lega esplicitamente la rigenerazione-battesimo con la terminologia specifica e particolare della deificatio, ma certamente il legame si ricava da tutta la sua produzione letteraria. Il battesimo è la rimozione del peccato originale che si attua nel sacramento ma, rigenerato a vita nuova, l’uomo cresce nella speranza, nella carità e nella fede in Dio Trinità, cioè nelle virtù teologali, e, nutrito dall’eucaristia, giunge alla beatitudine dell’amore di Dio riversato nei cuori grazie allo Spirito Santo[7]. La grazia della deificazione si compie nell’eternità e non in questa vita, si compie per grazia e non per natura: in terra c’è l’inizio ma non il compimento che sarà solo alla risurrezione della carne per la vita eterna, donata gratuitamente da Dio. Egli solo è Dio per natura, noi saremo “dèi” per grazia e tale deificazione è di tutto l’uomo, corpo e anima: totus homo deificatus.
In sintesi, questa deificazione è l’amore di Dio, è possedere e unirsi a quest’amore ed esserne trasformati. Tale, in fondo, insieme alla grazia, è il centro della teologia agostiniana ed è lo scopo della nostra vita. Nella teologia dell’Oriente cristiano è stato molto sviluppato il tema della divinizzazione, in cui viene sottolineato l’aspetto trasformante dell’essere dell’uomo al livello divino. I cristiani orientali hanno considerato l’anima umana a immagine del Logos, facendo così del cristiano un figlio adottivo. L’essenza stessa dell’anima, la conformazione misteriosa al Verbo divino, non è semplicemente di ordine morale ma fisica, una vera partecipazione della natura e della vita divina. Certamente, per l’Oriente, la divinizzazione del cristiano non è una identificazione con Dio, essa è più un’assimilazione, una restaurazione della somiglianza divina primitiva. In Occidente, tutte le potenzialità che la deificatio esprime in Agostino e in altri autori, non sono state pienamente sviluppate. Il Vescovo d’Ippona non riflette tanto sul cambiamento ontologico della persona umana attraverso la divinizzazione ma sul rinnovamento della natura grazie all’amore che, non solo come via o virtù rende simili a Dio, ma come atto, come operazione di rigenerazione nell’uomo facendolo andare oltre la sua natura fino alle altezze di Dio, rigenerandolo profondamente nell’amore divino. È una trasformazione per conoscenza d’amore. Tutto questo avviene per grazia, per illuminazione dello Spirito Santo, come dono gratuito di Dio che ci adotta come suoi figli e divinizza tutto l’uomo.
Questa prerogativa, per Agostino, presuppone la creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, immagine offuscata dal peccato e ridonataci per mezzo dell’Incarnazione e della Redenzione. La deificazione, come narra la Scrittura, è partecipazione alla natura divina[8] e trova il proprio fondamento nell’Incarnazione del Verbo[9], raggiungendo il suo culmine nella carità di Dio, quindi nella stessa vita trinitaria.
Conclusione
«Quando leggo gli scritti di sant’Agostino non ho l’impressione che sia un uomo morto più o meno milleseicento anni fa, ma lo sento come un uomo di oggi: un amico, un contemporaneo che parla a me, parla a noi con la sua fede fresca e attuale. In sant’Agostino che parla a noi, parla a me nei suoi scritti, vediamo l’attualità permanente della sua fede; della fede che viene da Cristo, Verbo eterno incarnato, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. E possiamo vedere che questa fede non è di ieri, anche se predicata ieri; è sempre di oggi, perché realmente Cristo è ieri, oggi e per sempre. Egli è la Via, la Verità e la Vita. Così sant’Agostino ci incoraggia ad affidarci a questo Cristo sempre vivo e a trovare in tal modo la strada della vita vera»[10].
Mercoledì, 27 agosto 2025
Per approfondire
AGOSTINO TRAPÈ, S. Agostino: Introduzione alla dottrina della grazia, I. Natura e Grazia, Città Nuova, Roma 1987.
Idem, S. Agostino: Introduzione alla dottrina della grazia, II. Grazia e Libertà, Città Nuova, Roma 1990.
HENRI-IRÈNÈE MARROU, Agostino e l’Agostinismo, Queriniana, Brescia 1990.
Giovanni Poggiali, La divinizzazione dell’uomo in Sant’Agostino. Dalla rigenerazione all’amore di Dio, D’Ettoris Editori, Crotone 2017.
[1] Cit. in Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Augustinum hipponensem” [AH], del 28 agosto 1986, n. 1.
[2] Benedetto XVI [2005-2013], Discorso all’udienza generale, del 30 gennaio 2008.
[3] AH, 19.
[4] Cfr. la voce “peccato originale” in questo medesimo Dizionario del Pensiero Forte.
[5] Cit. in AH,24.
[6] AH, 25.
[7] Cfr. Rm 5,5.
[8] Cfr. 2Pt 1,4.
[9] Cfr. Gv 1,14.
[10] Benedetto XVI, Discorso all’udienza generale, del 16 gennaio 2008.
