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Alberto de Mojana (1835-1909)

27 Ottobre 2018 - Autore: Marco Invernizzi

di Marco Invernizzi

 

Alberto de Mojana (1835-1909)

 

1. La vita e la carriera

Alberto de Mojana nasce a Milano il 2 dicembre 1835 dal conte Pietro Antonio (1800-1870) e dalla contessa Angela Clara Be­sozzi (1808-1882), consegue la maturità classica, con il ri­co­no­scimento del ti­tolo di principe degli studi, presso le scuole dei padri barnabiti di Milano e si laurea in legge all’università di Pa­via nel 1862. Successivamente si dedica alla vita forense e al­l’attività poli­tica: negli anni fra il 1882 e il 1893 si candida più volte ai consigli comunale e pro­vin­ciale di Milano ma è sem­pre sconfitto. Mi­li­tante nell’associazionismo cattolico dai primi anni 1880, è vice presidente del Co­mi­tato Dio­cesano del­l’O­pera dei Congressi e dei Comitati Cattolici  (1874-1903) dal 1888 al 1899 e ne di­venta presidente dal 1899 al 1901. Pre­sie­de il con­gresso dell’Opera a Fiesole nel 1896 ed è vice-pre­si­dente in quel­lo di Ferrara nel 1899; è vice-presidente del Comitato Regionale Lombardo dal 1893 al 1897 e quindi pre­si­dente dal 1897 al 1900; entra a far parte del Comitato Perma­nen­te del­l’O­pe­ra dei Con­gressi nel 1887 e vi ri­mane fino al 1900, quando sarà co­stret­to a dimettersi per gravi motivi di salute. Sarà soprattutto un con­fe­renziere infa­ti­ca­bile e un fecondo poeta. Sposato con Faustina dei marchesi Litta Modignani (1846-1880), avrà nove figli, due dei quali di­ven­te­ranno religiosi. Muore a Milano il 17 marzo del 1909.

2. L’apostolato e l’impegno politico

L’apostolato e l’impegno politico di de Mojana s’inseriscono in un contesto politico ancora segnato dalle vicende che avevano condotto all’unificazione d’Italia attraverso il Risorgimento e, in modo particolare, dal 1848, l’anno delle Cinque Giornate — dal 18 al 22 marzo — di Mi­lano. Queste ultime avevano visto la par­tecipazione di molti cat­tolici ai moti popolari, nell’ottica di ot­te­nere dall’impero a­sbur­gico le libertà per la Chiesa soffocate dal precedente giuri­sdi­zio­na­li­smo, cioè dalla dottrina politica e­laborata nei secoli XVII e XVIII che fa dello Stato l’arbitro nelle materie comuni fra Stato e Chiesa e gli consente un’ampia interferenza nella vita della Chiesa stessa. Ma il 1848 è anche l’anno della svolta del beato Pa­pa Pio IX (1846-1878), che ri­fiuta di dichiarare guerra al­l’im­pero asbur­gico: venuto meno l’appoggio della Chiesa al mo­vi­mento che chiedeva l’unità e l’indipendenza dell’Italia, comin­cia il lun­go conflitto fra le varie forze rivoluzionarie e la stessa Chiesa cattolica. Il 1848 segna anche il fallimento della missione pro­mossa dal go­verno del Regno di Sardegna per son­dare la di­spo­nibilità del Pontefice a partecipare alla guerra contro l’impero a­sburgico, missione affidata al sacerdote tren­ti­no beato An­to­nio Ro­smi­ni Serbati (1797-1855), con la con­se­guente al­leanza della Santa Sede, ispirata dal segretario di Stato card. Gia­como Antonelli (1806-1876), con l’Impero.

Si apre il «caso di coscienza dei cattolici» di fronte alla Questione Ita­lia­na. Ma è anche l’inizio di un penoso conflitto, par­ti­co­lar­mente evidente nella diocesi ambrosiana, fra cattolici intran­si­genti e cattolici transigenti o conciliatoristi, che s’accu­sa­no re­ci­proca­men­te di es­sere austriacanti e liberali, anche se non tutti gli in­tran­si­genti erano austriacanti e non tutti i conciliatoristi erano libe­ra­li.

Cinquant’anni dopo, il 30 gennaio 1896, in una conferenza te­nuta a Milano da­vanti ai militanti cattolici della città, de Mojana rifiuterà l’accusa rivolta agli intran­si­genti di essere austriacanti, aggiungendo però che essi non pote­vano accettare il linciaggio di un governo legittimo, qual era quello imperiale. Inoltre ricorderà come ai cattolici am­brosiani, nel 1848, si presen­tassero quattro alternative poli­ti­che: la prima, di mantenersi fedeli sic et simpli­ci­ter con l’impero asburgico; la seconda, di allearsi a quest’ultimo nella prospettiva di fare dello Stato di Milano uno Stato vassal­lo ma caratterizzato da larghe autonomie, come si cercherà di fare — trop­po tardi, secondo de Mojana — nel 1857 con la creazione del Regno Lombardo-Veneto affidato all’ar­ci­duca Massimiliano d’Asburgo (1832-1867), fra­tello del­l’im­pe­ra­tore Fran­cesco Giuseppe (1830-1916); la terza, di costituire un regno «ita­lico» sotto la guida di Eugène de Be­auharnais (1781-1824), figliastro di Napoleone Bonaparte (1769-1821); infine, l’indipendenza — che dopo i fatti del 1848, secondo de Mojana, sarebbe stata l’unica praticabile —, una scelta a sua volta di­vi­sa fra la pro­spettiva monarchica e «legale», portata avanti da re Carlo Al­berto di Savoia (1798-1849) e poi da Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), che aveva nel Re­gno di Sardegna il prin­ci­pale punto d’appoggio per i rivo­lu­zio­na­ri, e quella repubblicana, animata da Giuseppe Mazzini (1805-1872) e carat­te­rizzata dal metodo cospirativo e insurrezionale.

Secondo de Mojana, i veri cattolici del­l’e­poca, soprattutto quelli più sensibili ai gravi mu­tamenti politici e culturali in corso, erano quelli as­so­ciati a Milano nella Pia Unione di Carità e di Beneficenza, che il poeta satirico dialettale Carlo Porta (1775-1821) aveva definito sarcasticamente — per dire  il meno —come la società «delle dame del biscottino», dai biscotti che i soci usavano donare agli ammalati che visitavano. Afferma de Mojana: «Si era rifugiata […] in quel­la società umile, derisa, pia e caritatevole, la vera idea reli­gio­sa. E poiché era l’idea vera religiosa, era anche l’i­dea del dirit­to. Pertanto era tutt’altro che l’idea rivo­lu­zio­na­ria: ne era il ro­ve­scio, l’opposto. Era l’idea del diritto divino, non come l’in­ten­de­vano il Cesarismo di Luigi XIV [1638-1715] e di Giuseppe II [1741-1790], e di Na­po­leo­ne I, ma co­me l’intende il vero legittimo cristiano, che riconosce l’au­to­ri­tà in Dio, e di Dio, conferita da Dio ai reggitori delle na­zioni, per soddisfare la vera democrazia cristiana, cioè quel di­ritto che ha il popolo di essere ben governato, sia da Re, sia da consoli. — Omnis po­te­stas a Deo. Di qui è che, rispettando l’au­torità co­stituita, ella non si ribellava all’Austria; e di qui è che la mon­da­nità, che l’aveva in uggia come bigotta, si accordava colla rivo­luzione coll’accusarla di austriacante.

«Noi clericali milanesi usciamo dalle file della Società del Bi­scottino, o signori. Ed oggi siamo qui. E non siamo né galli­ciz­zanti, né spagnolisti, né austriacanti, noi: ma siamo italiani, noi che non vogliamo né gallicanismo, né giansenismo, né giusep­pi­nismo, ma siamo cattolici che vogliamo Fede cattolica, moralità cattolica e buona amministrazione nazionale e comunale e buo­na economia cristiana cattolica, nell’istruzione e nell’e­duca­zio­ne, come pure nella produzione, distribuzione, circolazione e consumazione delle ricchezze». Accanto alla società «del biscot­tino», nota de Mojana, negli anni del passaggio dal governo a­sburgico a quello sabaudo, vi era il buon popolo cattolico con il suo clero, cioè una comunità cristiana fedele al Pontefice e ostile sia alle i­dee dell’olandese Giansenio (Cornelis Jansen, 1585-1638) — sostenitore di una dottrina della grazia che, in­ve­ce di animare alla speranza, portava alla disperazione o, per con­trasto, al disimpegno —, sia alle concezioni giurisdizionalistiche. Diffuse in Lombardia nel Settecento soprattutto attraverso il seminario e l’uni­versità di Pavia, queste idee daranno vita negli anni successivi ad associazioni come La Società Ecclesiastica (1860-1863) e a gior­nali come Il Conciliatore (1863-1875) e Il Carroccio (1863-1864), espres­sioni del mondo cattolico-liberale ostile all’Opera dei Congressi.

Il governo asburgico guiderà il Lombardo-Veneto ancora per un decennio, fino al 1859, attenuando — grazie al Concordato firmato il 18 agosto 1855 fra la Santa Sede e l’Impero — il giu­ri­sdizionalismo dell’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780) e, soprattutto, del figlio Giuseppe II (1741-1790).

In questo decennio prenderà corpo la divisione interna al mon­do cattolico ambrosiano, particolarmente visibile nella ristrut­tu­razione dei seminari diocesani voluta dall’arcivescovo Carlo Bartolomeo Romilli (1795-1859) a partire dall’anno scolastico 1853-1854. I sa­cerdoti così detti rosminiani, che occupavano posi­zioni di rilievo nei seminari, con decreto arci­ve­scovile del 25 lu­glio 1853 vengono restituiti alla cura d’anime e sostituiti con membri del­la Congregazione degli Oblati Missionari di Rho (Milano), fe­deli al Papa e all’arcivescovo e si­curamente anti-liberali. Pren­de­va così corpo quella divisione che accompagnerà il mondo cat­tolico almeno fi­no al 1898 e che avrà in don Davide Alber­ta­rio (1846-1902) la figura più rappresentativa fra gli intransigenti mi­lanesi, mentre i con­ci­liatoristi verranno troppo sbrigati­va­men­te definiti come rosmi­niani o cattolici-liberali. Infatti, il beato sacer­do­te roveretano, scomparso nel 1855, lasciava un seguito in­tel­let­tuale e spirituale e an­che un esempio di fedeltà al Papa molto di­verso da quello dei cattolici-liberali e pure diverso dalla corren­te de­mocratico-cristiana nata, dopo il 1898, anche dal­l’am­biente in­transigente che aveva in don Albertario il proprio ri­fe­rimento.

Quando il conte de Mojana entra a far parte dell’Opera dei Congressi, nei primi anni 1880, in Lombardia quest’ultima stava conoscendo un significativo incremento di Comitati Parroc­chia­li, in contro-tendenza rispetto al periodo di decadenza che attra­ver­sava a livello nazionale. Nel 1897, quando de Mojana è vice pre­sidente del Comitato Diocesano, l’Opera dei Congressi conta 15.319 iscritti nella sola diocesi di Milano e otto Comitati Dio­ce­sani operativi sulle nove diocesi lombarde.

Proprio in quest’anno si celebra a Milano il XV Congresso del­l’Opera, che segna l’apogeo dell’intransigentismo e, in partico­la­re, del pre­si­den­te Giambattista Paganuzzi (1841-1923), ma, co­me spesso accade nelle vicende umane, l’apogeo precede una grave crisi, quella del 1898, determinata dalle rivolte verificatesi nello stesso anno, soprattutto a Milano, per il rincaro del prezzo del pane, che isolano ulteriormente le forze governative e por­ta­no a un significativo mutamento della strategia del movi­mento cattolico. Quest’ultimo infatti, in seguito al­l’a­van­zata del mov­i­mento socialista, comin­cia a stipulare alleanze con i liberali mo­derati, che culmineranno nel Patto Gen­ti­lo­ni, nel 1913, e con l’e­lezione di 228 deputati moderati grazie al voto dell’elettorato cattolico.

La crisi del 1898 contribuisce a cambiare la situazione ita­liana in modo considerevole, in modo particolare a Milano, dove la protesta ha una maggiore caratterizzazione politica e dove il mo­vimento cattolico intransigente viene colpito con l’arresto e la condanna a tre anni di prigione di don Albertario. Dopo lo scio­glimento di diversi organismi cattolici, in seguito alla cir­colare emanata dal governo il 26 maggio 1898 e fatta applicare dalla Questura milanese, l’attività del mondo cattolico organiz­zato ri­mane para­lizzata per parecchi mesi, nell’incertezza fra il ti­more di venire confuso con le forze rivoluzionarie e la neces­si­tà di protestare contro tali provvedimenti liberticidi. Sarà proprio de Mojana a guidare il Comitato Diocesano del­l’Opera dei Con­gressi, rista­bi­lito il 28 maggio 1899, affrontando il profondo smar­ri­mento dei cattolici, così descritto in una sua breve rela­zio­ne al Comitato Permanente dell’Opera: «La situazione nuova e dolorosa la­scia­ta in Milano e nella Diocesi dallo stato d’assedio aveva reso troppo difficile l’immediata ripresa dei lavori con quella intensa attività con la quale si erano compiuti avanti tale epoca; e troppi timori, troppe titubanze erano entrate nel nostro campo, per non esigere un lungo periodo di modesta, ma con­ti­nua propaganda intesa a ri­a­nimare gli spiriti, ad illuminare le menti, sgom­bran­dole da tutti quei dubbi che potevano essere sorti a rendere me­no chiara la comprensione dei nostri doveri moltiplicatisi dopo i fatti avve­nu­ti». E la pa­ziente opera di ri­co­struzione dedicata ai cattolici am­brosiani, colpiti dal dubbio e dalla persecuzione go­vernativa, sa­rà l’ultimo servizio reso da de Mojana ai propri con­fratelli e concittadini.

Marco Invernizzi
26 ottobre 2018

 

Per approfondire: di Alberto de Mojana, vedi Le conferenze. Raccolta completa ordinata e data per la prima volta alle stam­pe dal sac. Giacomo Pastori, 6 voll., Casa Editrice Benedetto Bacchini, Milano 1903-1904; le poesie e, in genere, il fondo presso la Biblioteca Ambrosiana. Su de Mo­ja­na, vedi il mio Al­berto de Moja­na e il movimento cattolico am­brosiano dal 1848 al 1898, in Rosanna Pavoni e Cesare Mozzarelli (1947-2004) (a cura di), Mi­lano 1848-1898. Ascesa e tra­sformazione della capitale mo­rale. Tra un regno e l’altro. Il governo di Mi­la­no. La società mi­la­ne­se, Marsilio-Mu­seo Bagatti Valsecchi, Ve­ne­zia-Milano 2000, pp. 137-149; Gior­gio Rumi (1938-2006), voce De Mo­ja­na, in Dizio­na­rio della Chiesa am­bro­siana, vol. II, NED. Nuove Edizioni Duomo, Milano 1988, p. 1028; e Silvia Piz­zetti, voce De Mojana, in Dizionario storico del movimento cattolico in Ita­lia 1860-1980, 3 voll. in 5 tomi, Ma­riet­ti, Ca­sale Monferrato (Ales­san­dria) 1984, vol. III, tomo 1, Le figure rappre­sen­ta­ti­ve, p. 305; vedi an­che Ma­ria Clara Albertalli, Due lom­bardi nell’Opera dei Con­gressi: Al­ber­to de Mojana e Giuseppe di Belgiojoso, tesi di lau­rea, a. a. 1981-1982, Uni­versità degli Studi di Mi­la­no, rela­to­re G. Rumi.

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