Achille Lauro canta la disperazione di una vita svuotata di senso. Attorno a lui ragliano gli esaltatori della banalità del nulla.
di Domenico Airoma
Ci risiamo. C’è cascato di nuovo. Questa volta non è solo il ritornello di una sua canzone, ma un modo di essere, prima ancora che di cantare. Forse è la denuncia di un mal-essere, cioè di una persona che vive male; forse è solo banale ricerca di visibilità. Fatto è che più che Achille Lauro che si auto-battezza sul palco dell’Ariston, colpiscono le reazioni di coloro che vogliono trovare a tutti i costi un significato profondo, una giustificazione artistica, una dignità ideale.
La realtà e che siamo dinanzi all’ennesima, eclatante, manifestazione della banalità del nulla. E quel che non si coglie è che la prima vittima di questa assenza assordante di senso del vivere è proprio chi ha bisogno di mettere in scena il simbolo della nascita a nuova vita, inconsciamente consapevole dell’insensatezza di quella vissuta.
Più che imbarazzare i credenti, Achille Lauro dovrebbe creare più di un imbarazzo ai cultori della nostra modernità affrancata da regole e principi, ai cantori della libertà senza limiti, ai sacerdoti della dissacrazione acida. Di chi è infatti figlio ed erede il cantante “anabattista” se non di questa epoca? Quale aria ha respirato, in quale ambiente è cresciuto, se non in un contesto imbevuto di ostile avversione verso tutto ciò che richiamasse una dimensione verticale dell’esistenza? Ed ora restituisce ciò che ha ricevuto: una banalità disperata.
Giacché se per lui e per quanti lo hanno acclamato quel gesto non è simbolo di altro, non è segno dell’Altro, allora è evidente che ci troviamo al cospetto di un uomo che si è versato in testa dell’acqua, cantando dinanzi a migliaia di persone; il che non è esattamente la stessa cosa di chi canta sotto la doccia del proprio bagno.
I cristiani sanno di dover mettere in conto offese e gesti irridenti: Cristo ci ha ammoniti adeguatamente sul punto.
I maître à penser di questo nostro tempo, però, non cantino vittoria. Achille è per loro lo sberleffo e l’atto di accusa. Non ha solo messo in scena un gesto vuoto di senso; ha mostrato quanto quella vita sia banale senza che qualcuno o qualcosa gli dia senso. Senza che egli stesso ne fosse consapevole: in modo naturalmente ridicolo.
Il problema non è quel suo canto disperato, ma il raglio stonato delle tante comparse di un palcoscenico senza futuro.
Giovedì, 3 febbraio 2022