di Paolo Martinucci
Discendente di un’antichissima famiglia, residente nell’Alto Novarese, Giacomo Benedetto Mellerio nasce il 9 gennaio 1777, nella cittadina di Domodossola, appartenente allora al Regno di Sardegna, da Carlo Giuseppe Fedele Mellerio (1730-1779), un agiato notabile, funzionario statale. Questi discendeva da una antica famiglia di Malesco, in Val Vigezzo, mentre la madre, Rosa Sbaraglini (1745-1808), discendeva anch’essa da un antico casato di Oira, in Val d’Ossola.
- L’affidamento allo zio paterno
Morto il padre quando ha appena due anni, il piccolo Giacomo, assieme alla madre e alle due sorelle Francesca Maddalena (1778-1844) e Clara Marianna (1775-1790), trova ospitalità a Milano, presso uno zio, Giovanni Battista Francesco Giuseppe Mellerio (1725-1809), facoltoso banchiere e titolare dell’appalto generale delle imposte imperiali per la Lombardia, nobilitato nel 1744 con il titolo di conte di Albiate, in provincia di Milano. Di un fratello maschio, Giacomo Carlo Giuseppe, di quattro anni più anziano di lui, non si hanno notizie.
Nell’età scolare, mentre le sorelle sono affidate alle suore salesiane del collegio di Arona, sul Lago Maggiore, Giacomo viene avviato agli studi presso il Collegio Tolomei di Siena, gestito dai padri scolopi. All’età di diciotto anni, per completare la propria formazione con la padronanza del francese e del tedesco, spinto dallo zio, compie, com’era consuetudine presso le famiglie aristocratiche del tempo, il suo Grand Tour, all’incirca dal 1795 al 1803, visitando la Germania, la Francia, l’Austria, la Svizzera e le principali città italiane. Quale testimonianza di questa esperienza, rimangono le numerosissime lettere, inviate, dalle varie località visitate, alle persone a lui più care.
- Il matrimonio e le sventure famigliari
Nel 1803, Mellerio sposa la marchesa milanese Elisabetta di Castelbarco Visconti Simonetta (1784-1808). Il loro è un matrimonio segnato da prematuri eventi dolorosi: due figlie muoiono in tenerissima età; nel 1808, cessano di vivere l’amata consorte e, a soli diciassette anni, l’unica figlia sopravvissuta, “Giovannina” (1805-1822), affidata alle cure della propria sorella maggiore Francesca Maddalena.
I drammi famigliari non scalfiscono tuttavia la profonda religiosità, la fiducia nella Provvidenza e l’operosità caritativa del conte. Così, in una lettera alla sorella — inviata da Parigi, nel corso di un suo soggiorno dal 26 settembre al 18 ottobre 1810 —, pur provato per la dolorosa perdita di Giovanna, trova la forza per farle coraggio e, in una dell’11 marzo 1835, inviata all’amico ad Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), dichiara tutta la sua fiducia in Dio.
- Le prime attività politiche, amministrative, assistenziali e caritative
Alla morte dello zio Giovanni Battista, Mellerio, nominato unico erede, entra in possesso di un notevole patrimonio. Godendo pertanto di un’assoluta tranquillità economica, egli può dedicarsi maggiormente alle attività politiche, amministrative, culturali e caritative.
Durante il Regno d’Italia (1805-1814), creato da Napoleone Bonaparte (1769-1821) e governato dal viceré Eugéne de Beauharnais (1781-1824), figliastro dell’imperatore dei francesi, Mellerio è amministratore municipale nel 1806, componente del Consiglio Dipartimentale dell’Olona e del Magistrato Centrale di Sanità nel 1807, quindi consigliere comunale negli anni 1813 e 1814. Dal 1810, comincia a manifestare interesse e dedizione verso le opere assistenziali e caritative, diventando membro del Direttorio della Congregazione di Carità, che gestisce l’amministrazione degli enti assistenziali presenti in Milano, laicizzati dalla Rivoluzione.
Crollato il regime napoleonico, Mellerio, assieme al decurione Alfonso Castiglioni (1756-1834) — il patrizio milanese che, negli ultimi due decenni del Settecento, come deputato della Congregazione dello Stato a Vienna e regio consigliere, si era distinto per la sua critica alle riforme “illuminate” introdotte da Giuseppe II d’Asburgo-Lorena (1741-1790) —, entra a far parte del Governo Provvisorio, come uno dei sette reggenti; questi avrebbero dovuto assicurare un ritorno tranquillo dell’antico ducato nella sfera politica asburgica, con l’intenzione di assicurare alla nobiltà lombarda il un ruolo più ampio e maggiori autonomie nella nuova realtà istituzionale in gestazione, il Regno Lombardo-Veneto (1815-1859).
- Rappresentante del patriziato lombardo a Vienna
Verso la fine dell’agosto 1814, Mellerio e Castiglioni sono nominati deputati per la città di Milano in seno alla Commissione Aulica Centrale di Organizzazione degli Affari Italiani con sede in Vienna.
Mellerio, dal 15 settembre 1814, si trasferisce nella capitale imperiale, dove soggiorna molte volte e a lungo, svolgendo con passione e responsabilità, che sente molto alta, l’incarico della ricerca di un nuovo e migliore assetto politico dei territori lombardi. Qui ha rapporti diretti con i maggiori esponenti del governo asburgico, fra cui il cancelliere principe Klemens Wenzel Lothar von Metternich (1773-1859), il conte Franz Josef Graf von Saurau (1760-1831), futuro governatore di Milano e poi della Lombardia negli anni tra il 1815 e il 1818, il feldmaresciallo conte Heinrich de Bellegarde (1756-1845), e Prokop Lazansky von Bukowa (1771-1824).
Mellerio e la delegazione milanese vogliono recuperare il governo al ceto patrizio e assicurare la libertas Ecclesiae, fortemente limitata sia dalle riforme giuseppine, sia dai regimi napoleonici. In particolare, egli tratta con la Cancelleria viennese il mantenimento a Milano del Supremo Tribunale di Giustizia; lo smantellamento di una serie di istituti gravosi, quali, ad esempio, la leva obbligatoria; la sorte del dicastero di Polizia; nonché l’assegnazione dei relativi fondi alla diretta gestione della municipalità.
Non è comunque una negoziazione facile, perché egli ha di fronte come interlocutori esponenti di una monarchia imperiale, amministrativa e burocratica, non immune da tendenze regalistiche e giurisdizionalistiche. Alla corte di Vienna, infatti, come negli altri Stati della Penisola, si voleva — oltre alla restaurazione dei troni legittimi — mantenere l’accentramento delle funzioni sociali nell’apparato burocratico statale, esautorando di fatto i ceti più rappresentativi, in particolare quello aristocratico; tale centralizzazione del potere, infatti, aveva caratterizzato sia l’opera dei despoti “illuminati”, sia quella dei governi dei periodi rivoluzionario e napoleonico. Mellerio, invece, vuole ridimensionare l’invadenza dello Stato e contrastare lo statalismo monarchico, anche se formalmente si presenta rispettoso del cattolicesimo.
- La rinuncia al mandato di negoziatore
Apprezzato per le sue doti di mediatore e per le grandi capacità nell’intrecciare relazioni con i maggiori esponenti politici presenti in Vienna, nel 1816, Mellerio viene nominato vice-presidente del Governo Imperiale di Milano e Consigliere Intimo di Stato. L’anno successivo, l’imperatore Francesco I (1768-1835) gli conferisce l’incarico di cancelliere per il Regno Lombardo-Veneto presso la Cancelleria aulica centrale, che si riunisce a Vienna.
In questa veste, auspica e sostiene la necessità di una transizione ad un assetto politico che rinneghi totalmente quanto la rivoluzione ha introdotto nelle istituzioni. Tuttavia, a malincuore, deve prendere atto che il nuovo centralismo voluto dalla Cancelleria austriaca è peggiore di quello sperimentato nel passato. Mellerio è quindi del parere che la costituzione teresiana settecentesca, con alcune modifiche a vantaggio del potere sovrano, sia più accettabile dell’accentramento amministrativo attuato dai regimi napoleonici, perché garantirebbe al Milanese un’autonomia amministrativa migliore di quella che Vienna, in quel momento, sembra disposta a concedere.
Dopo due mesi di permanenza nella capitale austriaca — da lui vissuta come uno stato di prigionia, sebbene condivida con «[…] il cognato Cavazzi della Somaglia [Gian Luca (1762-1838)] un signorile appartamento» —, Mellerio si rende definitivamente conto che gli interessi del territorio da lui rappresentato coincidono solo parzialmente con quelli della monarchia asburgica. Nonostante ciò, egli gode dell’apprezzamento della corte di Vienna; così, un decreto dell’imperatore, datato 20 settembre 1817, gli conferisce il titolo di conte imperiale.
Pertanto, non riuscendo a convincere la cancelleria viennese della necessità di abrogare gli istituti nati nel periodo rivoluzionario e in quello napoleonico, nel dicembre 1818, presenta all’Imperatore le proprie dimissioni, che vengono accolte il 5 febbraio dell’anno successivo.
- Operatore di carità
Nell’animo del Conte, è ancora vivo il desiderio di dedicarsi alle opere caritative. Così, quando, nel 1825, la Congregazione di Carità viene sciolta, egli non si sottrae al nuovo compito della direzione dei Luoghi Pii Elemosinieri, impegno che onorerà per tutta la vita.
Grazie agli ingenti beni avuti in eredità e attentamente amministrati, lasciato l’impegno politico, si dedica interamente all’attività benefica verso i meno abbienti, le vedove, gli orfani, le famiglie povere, i seminaristi, le congregazioni caritative, gli ordini religiosi, i monasteri, gli asili, gli ospedali, le colonie, le missioni; nominato presidente della Commissione Centrale di Beneficenza, dispone di elargire fondi agli ospedali e alle scuole per fanciulli e fanciulle poveri, soprattutto nella sua città natia, Domodossola.
Alle suore Marcelline e alle Canossiane, operanti in Milano, fa dono degli edifici che ancor oggi queste congregazioni religiose utilizzano, beneficia pure le Figlie di Maria e le suore del Buon Pastore, non fa mancare il soccorso alle opere degli oblati della città e del santuario di Rho, contribuisce, infine, alla creazione dei primi oratori milanesi, offrendo gli edifici per quelli di Santa Maria degli Angeli, di San Luigi e di San Carlo.
La sua generosità non conosce solo i ristretti limiti geografici del Milanese e dell’Alto Novarese: elargisce contributi ad istituti educativi e formativi di Venezia — sovvenziona, infatti, le Scuole di Carità, fondate dai fratelli sacerdoti, venerabili Marcantonio (1774-1853) e Anton Angelo (1772-1858) Cavanis —, di Vienna e delle Americhe, e fa dispone lasciti in denaro a sacerdoti e missionari stranieri. È pure l’ispiratore della Pia Unione di Carità e di Beneficenza, chiamata anche ironicamente, “Società del Biscottino” — dall’uso delle dame di portare ai poveri e ai malati cestini di dolci —, costituita nello spirito delle Amicizie Cristiane fondate dal venerabile padre Pio Brunone Lanteri O.M.V. (1759-1830).
Mellerio dà inoltre un fattivosostegnoal ripristino delle congregazioni soppresse, segnalandosi per l’intransigenza del proprio antigiurisdizionalismo, per il convinto contrastoal rigorismo giansenista, e per la marcata condivisione delle istanze dell’ultramontanesimo.
- La collaborazione con le Amicizie
Fondamentale, nella sua formazione e per lo zelo profuso nelle opere caritative, è il legame con numerosi esponenti della Amicizia Cristiana e successivamente dell’Amicizia Cattolica.
Mellerio collabora e ha rapporti epistolari e frequentazioni personali con numerosi membri dell’Amicizia milanese — in particolare con il suo direttore, don Carlo Riva Palazzi (†1815), e con il conte Francesco Pertusati (1741-1823), letterato, autore di libri apologetici e di spiritualità, poeta dialettale, animatore di gruppi contro-rivoluzionari — e di quella torinese, fra i quali il marchese Gian Carlo Brignole (1761-1849) — che pare sia stato uno dei capi degli insorgenti toscani dei “Viva Maria” (1799) —, il conte Joseph de Maistre (1753-1821) e suo figlio Rodolphe (1789-1866), il conte Luigi Provana di Collegno (1786-1861), futuro ministro di Stato e senatore del Regno di Sardegna.
A Torino, fra il 1827 e il 1829, incontra più volte Costanza de Maistre (1793-1882), figlia del conte savoiardo; nel 1840, per interessamento del ministro degli Affari Esteri Clemente Solaro della Margarita (1792-1869), è ricevuto dal re Carlo Alberto di Savoia (1798-1849).
Pur non essendovi certezza di una sua effettiva iscrizione all’Amicizia, Mellerio conosce Lanteri e viene effettivamente coinvolto nel suo precipuo percorso spirituale: la pratica degli esercizi spirituali, le “buone” letture e la divulgazione di libri edificanti e apologetici. Contando la sua biblioteca oltre diecimila volumi, il Conte è premuroso nel segnalare le migliori opere a conoscenti o a tutti coloro che ne chiedono semplici informazioni.
- Conoscenze e rapporti epistolari con le “brave” e “sante” persone
Il patrizio milanese coltiva i rapporti, spesso epistolari, con molte persone dedite all’apostolato, con illustri personaggi, italiani e stranieri: con il card. John Henry Newman C.O. (1801-1890), con il card. Nicholas Wiseman (1802-1865) e con numerose persone in seguito proclamate sante o che, oggi, sono sulla via della canonizzazione: il vescovo di Marsiglia Carlo Eugenio de Mazenod (1782-1861), fondatore degli Oblati di Maria Immacolata; Maddalena di Canossa (1774-1835), fondatrice delle Figlie e dei Figli della Carità; i coniugi Carlo Tancredi Faletti di Barolo (venerabile; 1782-1838) e Giulia Vittorina Francesca Colbert di Maulévrier (anch’ella venerabile; 1786-1864), fondatori delle Suore di Sant’Anna. Oltre alla grande ammirazione nutrita verso queste persone, il Conte mantiene contatti con vari personaggi dotati di particolari carismi, quali la stigmatizzata tirolese Marie Therese von Mörl (1812-1868) e il principe, e poi vescovo, Alexander Leopold Hohenlohe-Waldenburg-Schillingfürst (1794-1849).
In Italia, Mellerio stringe amicizia con Alessandro Manzoni (1785-1873), con il card. Angelo Mai S.J. (1782-1854), prefetto della Biblioteca Ambrosiana e con il beato Antonio Rosmini Serbati, che diventa in seguito suo maestro di vita e consigliere per le opere caritative. Con il sacerdote roveretano, collabora nella realizzazione dell’Istituto della Carità di Domodossola, gestito dai padri rosminiani, e ha corrispondenze epistolari molto frequenti.
Nel testamento redatto nell’ottobre 1847 — circa due mesi prima della sua morte, che avviene in Milano il 10 dicembre —, Mellerio lascia erede Giacomo Cavazzi della Somaglia (1837-1859), figlio della sorella Francesca Maddalena, morta tre anni prima: con lui la dinastia dei Mellerio si estingue. Nelle sue ultime volontà non dimentica le persone più indigenti e i sofferenti nel corpo e nello spirito, disponendo dei lasciti per oltre due milioni di lire, a favore di opere assistenziali milanesi: l’Ospedale Maggiore, la Fabbrica del Duomo e i Luoghi Pii ed Elemosinieri; altre somme destina al sostegno dell’attività missionaria, ai monaci certosini di Pavia, alle suore canossiane di Brescia e di Venezia e alle Scuole della Carità dei fratelli Cavanis.
Mellerio non scrive opere organiche o saggi. È essenzialmente un uomo di fede, fervoroso nell’apostolato e nella pratica della carità, incline alla concretezza dell’azione politica, cioè un contemplativo in azione; e proprio nel campo della beneficenza e della promozione culturale — cose che significativamente porta avanti di pari passo, anche se la fama gli deriva più per le prime —, lascia un’impronta significativa a Milano e in Lombardia.
Per questi motivi la sua figura e la sua esistenza non possono essere relegate nell’angusto ambito della sua posizione politica, che la storiografia risorgimentale ritiene reazionaria e filo-austriaca. Né tantomeno possono essere condivise le sarcastiche e, a volte, calunniose definizioni che di lui taluni danno. Infatti, secondo il poeta dialettale Carlo Porta (1775-1821), di idee progressiste, Mellerio pratica una carità “biscottinista”; Vincenzo Gioberti (1801-1852) lo paragona a un cacciatore di eredità; per Cesare Correnti (1815-1888), esponente della sinistra, è uomo di scarsissimo genio e Massimo Taparelli d’Azeglio (1798-866), liberale, lo liquida come homme de paille dei gesuiti.
Certo egli appartiene al mondo lombardo cattolico e legittimista, ma in lui ciò non è disgiunto dal profondo sentire e vivere da credente, essendo un politico, animatore e generoso sostenitore dell’azione caritativa milanese e lombarda, un mecenate e uno dei primi organizzatori di cultura cattolica. Un modo “alternativo” ma genuino di fare la Contro-Rivoluzione.
Letture consigliate
Arianna Arisi Rota, Mellerio, Giacomo, in Dizionario biografico degli italiani, consultabile nel sito web <http://www.treccani.it/enciclopedia/giacomo-mellerio_(Dizionario-Biografico)/>.
Robertino Ghiringhelli e Oscar Sanguinetti (a cura di), Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione francese Impero e Unità. Atti del convegno Un cattolico fra due Imperi: il conte Giacomo Mellerio (1777-1847), Milano 3-4 ottobre 2003, ESA. Edizioni Scientifiche Abruzzesi, Pescara 2006, pp. 67-97.
Marco Meriggi, Il Regno Lombardo-Veneto, UTET Libreria, Torino 1987, pp. 14-31.
Pietro Lorenzetti, Catene d’oro e libertas Ecclesiae, prefazione di Giorgio Rumi, Jaca Book, Milano 1992.