Oggi l’islam si presenta diviso in due gruppi maggioritari, sunniti e sciti, e alcuni gruppi di frangia derivanti dei «kharijiti», nati nel VII secolo.
Il nucleo della fede è identico, mentre possono essere diversi alcuni aspetti della prassi religiosa, delle indicazioni morali — che trovano la fonte soprattutto nel diritto — e nell’organizzazione della comunità.
1. Il «credo»
Il «credo» islamico può essere riassunto in cinque capisaldi: a) Allah; b) il Corano; c) la missione profetica di Muhammad; d) la vita futura; ed e) gli angeli.
1.1 Allah
Punto essenziale del credo islamico è la professione di fede «Lā illāh illā Allah», «non vi è Dio se non il Dio», e «wa Muhammad rasūl Allah», «Muhammad è l’Inviato di Dio».
Questa frase indica l’unità-unicità di Dio e il termine «Allah» vuol dire semplicemente «Dio»: anche gli arabi cristiani o ebrei usano la stessa parola.
Dio è uno e unico, non sono applicabili a Lui «associati», come invece fanno i cristiani che gli attribuiscono un figlio e una moglie: per l’islam la Santissima Trinità, infatti, è formata da Padre, Figlio e Maria. Il Corano afferma: «Egli è Dio, l’Unico. Egli è l’Assoluto. Non ha generato, non è stato generato e nessuno è uguale a Lui» (Cor. CXII, 1-4).
Dio è l’Ineffabile e il credente è chiamato a rispettare assolutamente il mistero della sua essenza e trascendenza. Non rivela se stesso, ma solo alcuni attributi, per l’esattezza sette: la Vita, la Potenza, la Scienza, la Parola, l’Udito, la Vista e la Volontà: quindi Allah è Vita, è Potenza…, è Parola.
Fra questi, dopo la Parola, è molto importante la Volontà. Dio è l’eterno, ha creato il mondo e l’uomo e ha posto quest’ultimo nell’Eden, secondo un racconto molto simile a quello riportato nel Vecchio Testamento.
Dio è il Clemente e il Misericordioso e nel Corano, oltre agli attributi, si trovano novantanove nomi con cui è invocato dal fedele, che ne identificano tutta la grandezza e la sublimità.
1.2 Il Corano
Il Corano è la Parola di Allah, è la rivelazione che Dio ha donato all’uomo per indicargli la sua volontà e indicargli la via per la salvezza eterna.
La rivelazione è stata affidata a Muhammad tramite la voce dell’angelo Gabriele ed è durata ventidue anni circa, dal 610 — notte fra il 27 e il 28 del mese di ramadan, in cui per la prima volta il Profeta ha sentito la misteriosa voce — e il giugno del 632 quando è morto. Non è stata una rivelazione continuativa ma intervallata da lunghi periodi di silenzio. Non è mai stata scritta da Muhammad, ma semplicemente trasmessa a voce tramite la tecnica della memorizzazione, tipica dei popoli antichi. La stesura del testo è avvenuta decenni dopo la morte del Profeta per comando del califfo ‘Othman ibn ‘Affan (574-656) e affidata ad alcuni seguaci fedelissimi. Ancora oggi vi sono delle contestazioni: in particolare gli sciiti accusano i sunniti di avere omesso alcuni versetti a loro favore. Inoltre, la stesura iniziale era priva di molti elementi che furono inseriti più tardi nella grafia dell’arabo, quali le vocali e alcuni segni diacritici, per cui alcuni riconoscono l’esistenza di sette od otto (per altri, dodici) versioni leggermente differenti del medesimo testo sacro.
Fra le tante cose che si dovrebbero dire sul Corano due punti sono determinanti.
Primo, la sacralità del testo: il Corano è la Parola di Dio, il primo dei suoi attributi, ovvero è Dio stesso che si è manifestato. Nulla di paragonabile con la sacralità che il mondo cristiano attribuisce alla Bibbia, da tutti riconosciuta come scritta da uomini ispirati. Padre Samir Khalil S.J., grande studioso dell’islam, per fare comprendere la differenza, diceva che per il cristianesimo Dio si è fatto carne in Cristo, per l’islam si è fatto carta nel Corano. L’islam è stato attraversato per secoli dalla disputa se il Corano, nella sua dimensione materiale, fosse creato o increato.
Secondo, nel Corano si trovano indicazioni che riguardano la fede, la politica, la morale, l’arte bellica, l’antropologia, le relazioni umane, gli usi i costumi, l’alimentazione e così via, senza possibilità di gerarchizzare l’importanza delle diverse componenti per quanto detto sopra.
1.3 Muhammad
Abu l-Qasim Muḥammad ibn ʿAbd Allah ibn ʿAbd al-Muṭṭalib al-Hashimi(?570-632) è il «Messaggero di Allah», come attestato dalla professione di fede, è cioè colui che Dio ha scelto per donare la Rivelazione agli uomini, dopo che i precedenti Mosè e Cristo avevano fallito, perché traditi dai loro seguaci che ne avevano travisato la verità da loro rivelata.
Muhammad non è un uomo speciale: ha ricevuto la Parola di Allah e l’ha trasmessa fedelmente.
È vincolante credere nella missione profetica di Muhammad e portarne un assoluto rispetto, pena essere colpiti dall’accusa di apostasia.
1.4 La vita eterna
Nell’islam è molto forte la fede nella vita eterna. Vi sarà un giudizio subito dopo la morte, quando due angeli peseranno le azioni dell’uomo per valutare il suo comportamento, e un altro alla fine del mondo, quando ci sarà la ri-creazione di tutti da parte di Dio. In questa circostanza ognuno avrà il suo premio o la sua condanna eterna.
Lo attesta il Corano in più punti, per esempio in «Affrettatevi al perdono del vostro Signore e al Giardino vasto come il cielo e la terra, preparato per coloro che credono in Dio e nei suoi messaggeri» (Cor. LVII, 21) oppure: «E annuncia a coloro che credono e compiono il bene, che avranno i Giardini in cui scorrono ruscelli» (Cor. II, 25).
Il Paradiso è premio per i veri muslimun, cioè coloro che si sottomettono al volere di Allah. I racconti sui benefìci materiali del Paradiso sono molti — le acque fresche, le famose settantadue uri, le vergini, i prati verdeggianti —, ma oggi si tende a dare una interpretazione più spirituale della vita eterna.
Si è discusso se nel paradiso islamico possano entrare anche i giusti di altre fedi, ma la maggioranza lo nega con fermezza. Se al vero muslim è riservato il Paradiso, a coloro che si sono ribellati ad Allah o agli infedeli è riservato l’Inferno: «Quanto ai fedeli che muoiono nella miscredenza, quand’anche offrissero come riscatto tutto l’oro della terra, non sarà accettato. Avranno un castigo doloroso e nessuno li soccorrerà» (Cor. III, 91) o ancora: «Se li potessi vedere, quando saranno presentati al Fuoco diranno: “Piacesse al cielo che fossimo ricondotti sulla terra! Non smentiremmo più i segni del nostro Signore e saremmo credenti”» (Cor. VI, 27).
1.5 Gli angeli
Gli angeli sono i messaggeri di Allah, sono spiriti di «fiamma purissima», sono testimoni della grandezza di Dio. Quando Dio decise di creare l’uomo alcuni si permisero di obiettare: «Porrai forse là uno che vi spargerà la corruzione e il sangue, mentre noi cantiamo le Tue Lodi e proclamiamo la Tua Onnipotenza? E Dio a loro: In verità, io conosco cose che voi ignorate» (Cor. II, 32-34).
Il loro compito è la lode e l’adorazione di Dio, prendere nota delle sue volontà e comunicarle agli uomini.
Gli angeli vanno distinti dalle altre creature spirituali che sono i jinn (i geni) e gli shayatin (i demoni), il cui ruolo verso gli uomini è diverso: i geni hanno il compito di proteggere o di infestare luoghi e persone, possono favorire o anche ostacolare gli uomini nei loro compiti quotidiani, mentre i demoni sono sempre e solo ingannatori e seduttori.
2. La pratica religiosa
La pratica religiosa si basa per tutti, sunniti e sciiti, su cinque doveri, i cosiddetti “cinque pilastri della fede”: shahada, salat, zakat, sawm e hajj.
Nella storia l’islam ha sempre manifestato un’attenzione maggiore verso la ritualità rispetto alla riflessione filosofica-teologica. Il Corano afferma: «Questo è il Libro su cui non ci sono dubbi, una guida per i timorati, coloro che credono nell’invisibile, assolvono all’orazione e donano di ciò di cui Noi li abbiamo provvisti, coloro che credono in ciò che è stato fatto scendere su di te e in ciò che è stato fatto scendere prima di te e che credono fermamente all’altra vita. Quelli seguono la guida del loro Signore; quelli sono coloro che prospereranno» (Cor. II, 2-5).
Il Profeta, a una domanda di ʿOmar ibn al-Khaṭṭab (585 ca.-644), diventato poi il secondo califfo alla sua morte, rispose che l’islam «Consiste nel testimoniare che non c’è altra divinità al di fuori del Dio e che Muhammad è il suo Messaggero, compiere le preghiere, fare l’elemosina, digiunare il mese di ramadan, e compiere, se possibile, il pellegrinaggio alla sacra Casa».
2.1 La shahada
La shahada, o attestazione di fede, è la testimonianza resa con la parola a Dio unico e a Muhammad come suo Inviato. Essa costituisce la chiave di volta dell’islam. È costituita da due fasi: a) «ashhadu an lā ilāha illā Allāh» («attesto che non vi è Dio se non Iddio»); e «wa Muhammad rasūl Allāh» («e che Muhammad è l’Inviato di Dio»).
Scrive l’islamista Paolo Branca: «Pur tra le dispute relative alla necessità che l’adesione all’islam non si fermi all’espressione verbale, ma venga accompagnata dalle opere, la proclamazione del proprio credo attraverso la shahada conserva la sua priorità. Poco propensa a investigare nell’intimo delle coscienze, la giurisprudenza islamica, per distinguere il credente dall’infedele, preferisce attenersi a tale dichiarazione e all’obbedienza alle pratiche formali del culto»[1]. È la frase che il ragazzino fra i nove e i dodici anni o l’adulto recitano davanti a due testimoni per entrare nella umma, la comunità islamica. La stessa frase ricorre spesso nei momenti di difficoltà ed è raccomanda in punto di morte.
2.2 La salat
Salat, o preghiera, è l’obbligo principale del musulmano perché Dio deve essere adorato ed è sempre pronto a rispondere all’uomo che ha bisogno di Lui.
La preghiera rituale è richiesta ufficialmente dal Corano, è doverosa per tutti i fedeli sani di mente che abbiano raggiunto la pubertà — è comunque buona cosa che i bambini si abituino a pregare dai sette anni in poi. Le donne devono e possono pregare in un luogo separato dagli uomini e solo se sono prive di mestruazioni o perdite post-partum, perché il sangue rende loro impossibile lo stato di purità legale.
La preghiera deve essere compiuta a ore determinate con gesti e parole ben stabilite che risalgono alla rivelazione dell’angelo Gabriele a Muhammad.
Poiché l’orario — o tempo di elezione — della preghiera si regola secondo il sole, comincia in diversi momenti del giorno a seconda della stagione ed è di varia durata. Le cinque preghiere giornaliere devono essere compiute al mattino, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e in tarda serata.
Poiché «tutta la terra è una moschea» si può pregare all’ora giusta in qualsiasi luogo ci si trovi purché questo sia puro e, per indicare il distacco dalla corruzione del mondo, si usi il tipico tappetino. Prima di pregare occorre porsi in una condizione di «purità legale» attraverso gesti obbligati che comportano il lavaggio delle mani, del viso, dei piedi, del collo, preceduti dalla dichiarazione dell’intenzione di compiere un atto sacro. Per questo nelle moschee e nelle sale di preghiera vi sono le fontanelle con l’acqua corrente. Nel compiere la preghiera il fedele deve indossare abiti decorosi ed essere rivolto alla Mecca.
È buona consuetudine, ma non un obbligo, recarsi alla preghiera comunitaria guidata da un imam, in moschea, il venerdì a mezzogiorno.
2.3 La zakat
La zakat è l’elemosina o decima. All’origine era una tassa stabilita per legge e destinata alle vedove, agli orfani, ai poveri. «O voi che credete, elargite di quello che vi abbiamo concesso, prima che venga il Giorno in cui non ci saranno più commerci, amicizie e intercessioni. I negatori sono coloro che prevaricano» (Cor. II, 254) oppure «Quelli che con i loro beni sono generosi per la causa di Allah sono come un seme da cui nascono sette spighe e in ogni spiga ci sono cento chicchi. Allah moltiplica il merito di chi vuole Lui. Allah è immenso, sapiente» (Cor. II, 261).
Anche se oggi non esiste più una legislazione ufficiale per il versamento dell’«elemosina» negli Stati moderni, i musulmani devoti non si sentono esentati da questo dovere verso i poveri. Infatti, il sistema fiscale degli Stati musulmani, laicizzato o in via di laicizzazione, tende ad avvicinarsi a quello degli Stati europei. La zakat, in quanto imposta religiosa, è in pratica soppressa, ma resta in vigore, a titolo privato, per i musulmani che vogliono essere coerenti. In questo modo la zakat viene oggi quasi a identificarsi con la sadaqa che invece è l’offerta libera espressamente indicata anche dal Corano.
2.4 Il sawm
Il sawm o digiuno legale, dura un intero mese, il mese di ramadan, ed è prescritto dal sorgere del sole al tramonto: i più rigoristi affermano secondo il Corano che il sorgere del sole inizia quando un filo bianco può essere distinto da un filo nero e così pure il tramonto inizia quando i due fili non sono più distinguibili. Nei Paesi islamici l’inizio del digiuno è annunciato dal muezzin o dallo sparo di un cannone.
«O voi che credete, vi è prescritto il digiuno, come era stato prescritto a coloro che vi hanno preceduto. Forse diventerete timorati, [digiunerete] per un determinato numero di giorni. […] È nel mese di Ramadan che abbiamo fatto scendere il Corano, guida per gli uomini e prova di retta direzione e distinzione. Chi di voi ne testimoni [l’inizio] digiuni. E chiunque è malato o in viaggio assolva [in seguito] altrettanti giorni» (Cor. II, 183-185).
L’anno islamico è lunare, non solare, quindi nel corso degli anni i mesi cambiano la loro posizione quindi anche il mese di ramadan può cadere in inverno, in primavera, in estate…
Durante l’anno sono consigliati altri momenti di digiuno, che tuttavia non assumono il valore di quello rituale. Fra questi il digiuno nel nono giorno del mese del pellegrinaggio, dhu-l-hija, ma solo per coloro che non stanno compiendo il pellegrinaggio alla Mecca, il giorno di ashura, che per gli sciiti assume particolare significato in quanto ricorda la morte del nipote del Profeta, Al-Ḥusayn ibn ʿAli ibn Abi Ṭalib (626-680); sei giorni durante il mese di shawal e quindici giorni durante il mese di shabane, poiché Aʾisha bint Abi Bakr (613/614-678/679) ha tramandato che il Profeta era solito fare tale penitenza, i giorni di plenilunio e, volendo, il lunedì e il giovedì. Il digiuno serve a ricordare che i beni materiali non sono importanti e che sono un dono di Dio, serve a fortificare la volontà, per questo è consigliato ai giovani che non possono sposarsi in quanto smorza la passione sessuale, e ad aumentare la sensibilità verso i poveri.
2.5 Il hajj
Il pellegrinaggio alla Mecca, o hajj, deve essere compiuto almeno una volta durante la vita da ogni musulmano adulto e sano che ne abbia la possibilità. Impedimenti possono essere la giovane età, la povertà, la malattia, per le donne la mancanza di un uomo accompagnatore, o lo stato di guerra.
Il pellegrinaggio alla Mecca si distingue dal piccolo pellegrinaggio o visita alla città santa, che può essere fatto in qualsiasi momento dell’anno, poiché deve essere compiuto secondo le norme rituali e in uno speciale momento dell’anno, nel mese dhu-’l-hijja, secondo l’ordine perentorio: «Assolvete, per Allah, al pellegrinaggio e alla visita» (Cor. II, 196).
Il pellegrinaggio, come la preghiera, deve essere svolto secondo un preciso rituale scandito giorno per giorno.
2.6 Il jihad
Alcuni aggiungono un nuovo, sesto, pilastro dell’islam. Si tratta della guerra contro gli infedeli (jihad). Mentre i precedenti cinque pilastri della fede sono, secondo il diritto musulmano, «fard ‘ayn», ovvero obblighi del singolo, il jihad è «fard kifaya», ovvero è un dovere obbligatorio solo collettivamente. È sufficiente che un gruppo, anche esiguo, vi ottemperi perché tutti ne siano esonerati. Secondo alcune interpretazioni, è sufficiente che uno Stato organizzi bene il proprio esercito come difesa del territorio islamico perché sia assolto il dovere del jihad. L’argomento, molto vasto, necessiterebbe tuttavia di una trattazione a latere.
Giovedì, 18 luglio 2024
Per approfondire
Silvia Scaranari, Storia dell’islam, dal sito di Alleanza Cattolica
Silvia Scaranari, L’islam nella storia, dal sito di Alleanza Cattolica
Il Corano, traduzione di Roberto Hamza Piccardo.
Maria Luisa Albano e Marcello Stanzione, Gli angeli nell’islam, Sugarco, Milano 2019.
Robert Caspar, Traité de théologie musulmane, PISAI. Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Roma 1996.
Marco Demichelis, Etica islamica. Religione e responsabilità, Edizioni Paoline, Milano 2016.
Ignazio De Francesco, Il lato segreto delle azioni. La dottrina dell’intenzione nella formazione dell’Islam come sistema di religione, etica, diritto, Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica, Roma 2014.
Yahya Pallavicini, I cinque pilastri. Fondamenti del culto musulmano, Edizioni Paoline, Milano 2019.
Centro Federico Peirone (a cura di), Islam. Storia, dottrina, rapporti con il cristianesimo, Elledici, Leumann (Torino) 2004.
Fazlur Ramadan, La religione del Corano. Le radici spirituali di una grande civiltà, Il Saggiatore, Milano 2003.
Giuseppe Scattolin, Spiritualità nell’islam, EMI. Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2004.
Christian Snouck Hurgronje, Il pellegrinaggio alla Mecca, Einaudi, Torino 1989.
[1] Paolo Branca, Introduzione all’islam, San Paolo Edizioni, Milano 2011, p. 207.