È di questi giorni di giugno del 2017 la notizia che Mosul, in Iraq, sta per essere riconquistata e sottratta alle forze dello Stato Islamico o Isis. Questo mi porta a pensare a ciò di cui Mosul è emblema, ovvero a una cristianità dimenticata, una volta fiorente: la cristianità orientale.
A Mosul, l’antica Ninive, capitale del regno assiro, il cristianesimo penetrò fin dal II secolo e divenne sede episcopale nestoriana nel VI secolo. Il cristianesimo si diffuse rapidamente in molti luoghi del Medio e dell’Estremo Oriente, dando inizio a fiorenti comunità, in molte delle quali si parlava l’aramaico, la lingua di Gesù. Gran parte del mondo musulmano di oggi era una volta cristiano. Esistevano chiese cristiane in Syria Palaestina, con capitale Antiochia — dove per la prima volta i discepoli di Gesù furono chiamati “cristiani” (cfr. Atti degli apostoli, 11, 26) —, in Egitto, nella Mesopotamia — la regione che grosso modo coincide con l’Iraq attuale —, in Persia, in Mongolia e perfino in India. Esistevano sedi episcopali negli odierni Yemen e Afghanistan, in Arabia vi erano quattro diocesi amministrate da altrettanti vescovi, nel 1050 l’Asia Minore aveva 373 sedi vescovili. «Fino al 1250 — scrive lo storico americano Philip Jenkins — si poteva pensare a un mondo cristiano che si estendeva ad est da Costantinopoli a Samarcanda, e a sud da Alessandria d’Egitto fin quasi all’equatore» (La storia perduta del Cristianesimo. Il millennio d’oro della Chiesa in Medio Oriente, Africa e Asia (V-XV secolo). Come è finita una civiltà, trad. it., EMI. Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2016).
Tanto per avere un’idea, alla fine dell’VIII secolo, il vescovo Timoteo I (780-823), catholicos, ovvero patriarca della nestoriana Chiesa d’Oriente, presiedeva a 19 metropoliti e 85 vescovi, mentre in Inghilterra la Chiesa aveva solo due metropoliti, a York e a Canterbury.
Il cristianesimo, nella sua versione nestoriana, fece il suo ingresso in Cina nella prima metà del secolo VII. Nei secoli XI e XII intere tribù mongole divennero nestoriane. Con la conquista mongola della Cina nel secolo XIII riprese l’attività missionaria nestoriana nel grande Paese asiatico, interrottasi nel secolo X, ed ebbe nuovo vigore a causa del favore dei mongoli verso questa religione (cfr. Guglielmo de Vries, S.J., Voce “Nestorio e Nestorianesimo”, in Enciclopedia Cattolica, 12 voll., Ente per l’Enciclopedia Cattolica e il Libro Cattolico, Città del Vaticano 1948-1954, vol. VIII, p. 1.782).
Nell’antica Persia il nestorianesimo si diffuse nel V secolo, quando Narsaj di ‘Ain Dulba (400 ca.-500 ca.), che insegnava alla scuola di Edessa, dove predominavano tendenze nestoriane, fu scacciato da questa città e fondò, nel 457, la scuola di Nisibi, allora in Persia — ora Nusaybin, nell’attuale Turchia sud-orientale —, che divenne il centro spirituale di quel Paese (cfr. ibid., p. 1.784).
Si discute se la Chiesa indiana sia una Chiesa nestoriana, ma la risposta non è scontata (cfr. Paolo Siniscalco, Le antiche chiese orientali. Storia e letteratura, Città Nuova, Roma 2005, p. 244). Il cristianesimo si propagò in India per opera dell’apostolo Tommaso, tanto che i cristiani indiani si denominavano e si denominano tuttora “cristiani di san Tommaso”. Secondo loro, san Tommaso sarebbe morto martire in quella terra e il suo corpo sarebbe stato sepolto a Mylapore, prima di essere traslato, più tardi, a Edessa in Siria. Questa tesi è però contestata da molti studiosi occidentali. Secondo Origene (185-254) il territorio di evangelizzazione dell’apostolo sarebbe stato la Parthia, intendendo con questo termine le terre comprese tra il fiume Tigri e il fiume Indo. Esiste comunque un innegabile legame fra le chiese indiane e quelle persiane. Per molti secoli vescovi provenienti dalla Mesopotamia furono a capo di diocesi dell’India meridionale.
Altre comunità cristiane esistevano a Rai, vicino l’attuale Teheran, sulle coste persiane del Mar Caspio, nell’odierno Iran, a Nishapur e a Tus, nella regione del Khorasan, nel nord-est della Persia, a Merv e a Herat, rispettivamente negli attuali Turkmenistan e Afghanistan.
In Egitto, in Siria e in Armenia si diffuse, invece, a partire dalla prima metà del secolo VI, il cristianesimo nella sua versione monofisita, che sosteneva che Gesù avesse solo natura divina.
Si trattava, per lo più, nel Medio e Estremo oriente, di comunità che si erano staccate dalla Chiesa cattolica di Roma. Nel 431, al Concilio di Efeso, Nestorio (381 ca.-451) sostenne, contro Ario (256-336), che parlava della sola natura umana di Gesù Cristo, l’esistenza di una duplice natura in Cristo, divina e umana ma, contrariamente all’ortodossia nicena, sosteneva che le due nature erano divise e non unite tra loro nel vincolo ipostatico. Da lì ebbe origine la Chiesa nestoriana. Nel 451, al Concilio di Calcedonia, nei pressi di Bisanzio, i monofisiti andarono oltre, sostenendo che la natura divina di Gesù annientava quella umana. Nel VI secolo Giacomo Baradeo (490 ca.-578), sacerdote siriano monofisita, organizzò una chiesa parallela clandestina, che da lui prese il nome di giacobita.
Al momento della morte di Maometto (570 ca.-632) e della successiva conquista arabo-musulmana, la maggior parte dei cristiani della grande Siria era giacobita, mentre i nestoriani erano diffusi più a oriente, negli attuali Iraq e Iran. Vi erano sedi metropolitane nestoriane a Tangut, in Tibet, a Patna, lungo le rive del Gange e perfino a Khanbalik, l’attuale Pechino.
Molti storici sostengono che la fulminea conquista musulmana di tanti territori che avevano visto la nascita del cristianesimo fu dovuta anche alla scarsa resistenza che queste comunità cristiane eterodosse opposero al nascente islam, nella cui teologia vedevano alcuni punti di contatto con la loro, e anche alla mal riposta speranza che i nuovi padroni fossero meno duri dell’impero di Bisanzio. A molti cristiani orientali — nestoriani, giacobiti e altri — non dispiaceva assistere alla caduta delle autorità bizantine che li avevano perseguitati per decenni. I seguaci del profeta arabo non sembravano avere la mano più pesante come governanti, sostiene Jenkins (cfr. op. cit., p. 133). «Nei primi anni i vincitori si limitarono a occupare militarmente il territorio e a riscuotere i tributi. Essi trovarono nel paese due partiti cristiani contrapposti, i calcedoniani o melkiti e gli anticalcedoniani o giacobiti. I primi condividevano la fede degli imperatori bizantini, gli altri no; i primi erano visti con maggiore diffidenza dai musulmani perché ritenuti più dipendenti da un potere straniero. Forse per questo non si consentì per lungo tempo ai melkiti di scegliere liberamente i propri patriarchi. Tra questi ultimi alcuni collaborarono con i musulmani e altri, specialmente nelle campagne, vi si opposero con le armi» (P. Siniscalco, op. cit., p. 172).
Sia come sia, pur costrette negli angusti limiti del patto di dhimma — il “patto di protezione” contratto fra non musulmani e un’autorità di governo musulmana —, queste comunità cristiane convissero bene o male con l’islam fino al XV secolo nella vasta area dell’Oriente che va dall’odierna Turchia fino ai confini dell’India e della Cina.
Nel 1050, l’Asia Minore aveva, come detto, 373 sedi episcopali e la popolazione era per la grande maggioranza cristiana. Nel XV secolo ebbe inizio il lento ma inesorabile declino della presenza cristiana in Oriente. All’epoca della conquista ottomana di Costantinopoli (1453), la percentuale della popolazione cristiana nella regione, da maggioranza che era, era scesa al 10-15% e le sedi episcopali erano scese a tre. Tra il 1200 e il 1500 il numero dei cristiani asiatici scese da 21 a 3,4 milioni (cfr. Speros Vyrionis, The decline of Medieval Hellenism in Asia Minor, University of California, Press, Berkeley 1971).
Costantinopoli nel 1920 contava più di quattrocentomila cristiani, oggi ne ha appena quattromila. Nel 1914 il patriarcato armeno di Costantinopoli era proprietario di 2.549 edifici ecclesiastici, fra i quali 210 monasteri: nel 1974 ne possedeva soltanto 913. A partire dagli anni 1990 la situazione si è andata progressivamente deteriorando. All’inizio del Novecento i cristiani siriaci della Mesopotamia erano circa duecentomila: nel 1920 si erano ridotti a settantamila e nel 1990 ad appena quattromila. Nel 1914 i cristiani costituivano il 10% della popolazione del Medio Oriente, dall’Egitto alla Persia: ora vantano una consistente presenza nel solo Egitto, dove costituiscono il 15% della popolazione, in continua decrescita, però.
A proposito di quest’ultimo Paese, l’islamizzazione della società egiziana è iniziata all’epoca della presidenza del generale Gamal Abdel Nasser (1918-1970) ed è stata incoraggiata dal successore di questi, Anwar al-Sadat (1918-1981) — che, però, ne divenne la prima vittima —, e provocò una forte emigrazione dei cristiani copti soprattutto verso gli Stati Uniti, dove, nel 2013 la loro chiesa contava circa un milione di fedeli, con cinque vescovi e duecento parrocchie (cfr. Marco Hamam, I copti si aprono al nuovo Egitto, in limes. Rivista italiana di geopolitica, anno XX, n. 1, 1° febbraio 2013, pp. 43-53).
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale (1914-1918), le comunità armena e greca dell’Anatolia, l’attuale Turchia, furono massacrate e sterminate: fra il 1915 e il 1922 più di due milioni di cristiani perirono.
I due grandi centri cristiani del Medio Oriente, l’Egitto copto e le vicine terre della Siria, dell’Iraq e del Libano, sono ora oggetto dei violenti attacchi dei movimenti islamisti radicali, fra i quali il movimento jihadista dello Stato islamico, o Isis, fondato a Mosul nel 2014. I cristiani sono costretti a scegliere tra fuggire o perire. Alcuni, coraggiosamente, scelgono la via del martirio, ma la maggioranza abbandona le terre degli albori del cristianesimo.
Contemporaneamente all’inizio del declino della cristianità orientale a partire dal XV secolo, si verificano tre avvenimenti che sposteranno l’asse del cristianesimo verso Occidente: la resistenza della cristianità occidentale nei confronti dell’islam, in particolare di quello dell’Impero ottomano, con le vittorie di Lepanto (1571), di Budapest (1683), di Vienna (1686) e di Belgrado (1717); il completamento della Reconquista spagnola (1492) e la contemporanea scoperta del Nuovo Mondo.
La riconquista di Mosul potrebbe essere l’inizio di una inversione di tendenza? Lo ignoro e, comunque, ne dubito fortemente.
Anche la cristianità occidentale, seppure ancora nominalmente cristiana, soffre una grave crisi. Per ridare respiro ai “due polmoni” della Chiesa, quello orientale e quello occidentale, come amava dire san Giovanni Paolo II (1978-2005), ci vuole ben altro. La speranza cristiana, fondata sulle promesse evangeliche, sostenute da quelle di Fatima, non ci deve abbandonare. Da una parte il radicalismo islamico, dall’altra il relativismo del pensiero moderno, minano le due cristianità e la battaglia sembra perduta. Ma, «l’arco dei forti s’è spezzato, e i deboli si sono rivestiti di vigore» (I Sam. 2, 4).
Per approfondire
Nicholas Zernov, Il cristianesimo orientale, Mondadori, Milano 1990.
Vittorio Peri, Orientalis varietas. Roma e le Chiese d’Oriente. Storia e diritto canonico, Kanonika, Pontificio Istituto Orientale, Roma 1994.
Peter Kawerau, Il cristianesimo d’Oriente, Jaca Book, Milano 1983.
3/7/2017