di Oscar Sanguinetti
Le premesse
La Polonia è una nazione dalle antiche radici e dalla storia millenaria, ma solo a tratti ha goduto anche dell’indipendenza politica. Posta fra i tre colossi asburgico, germanico e russo, ha risentito perennemente delle politiche espansionistiche delle tre potenze fra le quali è stata spartita ben tre volte, nel 1772, nel 1793 e nel 1795, senza contare la bipartizione fra il Terzo Reich — che includeva l’Austria — e l’Unione Sovietica staliniana del 1939-1944.
Per ben 123 anni, salva la breve parentesi del Granducato di Varsavia (1807-1815) creato da Napoleone Bonaparte (1769-1821), la parte meridionale delle terre di lingua e cultura polacca — la Galizia — ha fatto parte dell’impero asburgico, vaste zone orientali — parte della Lituania allora polacca, Curlandia e parte dell’Ucraina — di quello zarista e i territori occidentali — assai vasti — del neonato impero germanico-prussiano. Ciononostante e nonostante la pressione snazionalizzatrice — in verità addolcita nel caso di imperi plurinazionali — esercitata dagli occupanti, la nazione polacca con la sua cultura e la sua fede cristiano-cattolica secolare sopravvivrà.
Mentre nell’Ottocento tanti popoli europei costruiscono un organismo politico moderno più o meno perfettamente coincidente con l’estensione della nazione, la Polonia rimane una nazione «culturale», viva e vivace, ma priva di Stato. Solo al termine del primo conflitto mondiale (1914-1918), quando i tre imperi occupanti crollano tutti simultaneamente, il Congresso di Versailles (Parigi) del 1919 — assente però la Russia — finalmente restituisce ai polacchi l’indipendenza — per vero, un simulacro di unità e libertà, in funzione anti-russa, è stato loro concesso nel 1916 dagl’Imperi Centrali — e possono anch’essi vivere all’interno di uno Stato-nazione, sebbene esso si trovi a incorporare numerose minoranze allogene. Nel 1922 conta circa 27,2 milioni di abitanti, un terzo dei quali appartenenti a minoranze etnico-nazionali: 16% di ucraini e bielorussi, 9% di ebrei, 2% di tedeschi e 2% di lituani, cechi e altri popoli. Anche l’esercito, prima diviso tra le forze armate imperial-regie — delle quali fa parte il padre di san Giovanni Paolo II (1978-2005), Karol Wojtyła senior (1879-1941) —, tedesche e russe, viene ricostituito. I confini del nuovo Stato, però, sono disegnati a tavolino, e in maniera punitiva per la Germania, che vede la Prussia Orientale separata dal resto del territorio nazionale dal cosiddetto «corridoio di Danzica», una propaggine della Polonia che si spinge sino al Mar Baltico, per offrire uno sbocco al mare al nuovo Stato.
Appena ricostituita, però, la Polonia deve fare i conti con il fatto che a oriente, nell’ex impero zarista è salito al potere il partito comunista bolscevico, che ha creato un nuovo Stato plurinazionale in forma di repubblica federativa. Nella prospettiva leninista di Stato e Rivoluzione, diversa da quella «evolutiva» di Marx, il nuovo Stato è concepito come l’acceleratore, sotto la guida del partito, della Rivoluzione comunista mondiale, come la piattaforma da cui la Rivoluzione comunista internazionale si sarebbe slanciata sui Paesi capitalisti occidentali per imporvi il socialismo.
Lenin costruisce a poco a poco un nuovo impero, imponendo il potere bolscevico sui popoli non russi, scatenando fin da subito la reazione delle potenze alleate, che sostengono le armate contro-rivoluzionarie «bianche» nel conflitto civile immediatamente apertosi dopo il 1917 e, rincrudito dopo il barbaro eccidio della famiglia imperiale, il 17 luglio 1918.
Già nel 1919 la centrale moscovita accende moti rivoluzionari a Monaco di Baviera, a Vienna, a Berlino e in diverse città operaie europee. Per reprimere i moti bolscevichi i governi dei Paesi europei armano diversi «corpi franchi», costituiti da ex combattenti volontari, particolarmente agguerriti in Germania dove Freikorps riportano successi importanti e giocano un ruolo importante nell’ascesa al potere di Adolf Hitler (1889-1945).
Dopo il periodo di consolidamento del regime — i bolscevichi, grazie a Lev Trockij (1879-1940), hanno riorganizzato l’esercito zarista sbandato, rendendolo una macchina potente in grado di combattere i «bianchi» — che segue la conquista del potere, approfittando della crisi sociale che colpisce più o meno tutti i Paesi occidentali e del momento di debolezza delle armi polacche sul fronte orientale, la Rivoluzione comunista tenta di espandersi verso ovest sia in nome di ragioni ideologiche, sia di pura Realpoltik.
La frizione con l’adiacente e neonata Repubblica polacca s’intensifica e lo scontro si profila come inevitabile.
I fatti
I confini polacchi fissati dai trattati parigini, volendo conciliare all’estremo il principio di nazionalità con gl’interessi strategici del nuovo Stato, lasciano in realtà aperti non pochi focolai di «irredentismo». La nuova repubblica, che esibisce sulla sua bandiera l’aquila monocipite, è contaminata anch’essa ben presto dal rapace nazionalismo del tempo — tutt’altro che domo, nonostante il torrente di sangue, ancora caldo, che ha fatto scorrere —, una patologia che inverte e offusca l’immagine di nazione-martire che la Polonia ha presentato per decenni prima dell’unità, e inizia a rivendicare territori di cultura e tradizione polacca entro i confini lituano, bielorusso e ucraino, un tempo parte della Confederazione Polacco-Lituana.
Nella primavera del 1920 i toni della rivendicazione s’innalzano e le sciabole iniziano a tintinnare.
L’esercito polacco, unitosi alle truppe ucraine anti-comuniste capeggiate da Symon Vasylyovych Petliura (1879-1926), il 20 aprile 1920 invade l’Ucraina — che ha ottenuto l’indipendenza nazionale nel 1918 dai tedeschi, ma l’ha ripersa quasi subito — sovietizzata, spingendosi il 6 maggio fino a Kiev.
Ma Varsavia rivendica altresì territori già suoi e a maggioranza polacca che ora sono parte della Repubblica Federativa Russa e tenta di ricuperarli.
Dopo qualche scaramuccia di confine fra i due Stati, nel 1920 l’Unione Sovietica decide di contrattaccare e lancia una forte offensiva verso Occidente con l’obiettivo di punire la neonata repubblica, ma anche con l’intento di scavalcarla per penetrare in territorio tedesco e portare la Rivoluzione nel Reich industrializzato, ma prostrato e in fermento.
L’esercito polacco, impaziente di rivincita, preda del mito del ritorno della Grande Polonia, ma ancora in via di formazione e di consolidamento, si trova così a combattere contro un’Armata Rossa potente, formata in larga misura da veterani e animata da una volontà fanatica di imporre l’ordine sovietico all’opulenta Europa liberale.
Così, dopo i primi scontri i soldati polacchi subiscono sonore sconfitte su tre fronti a opera della cavalleria «rossa» comandata dal generale Semyon Mikhailovich Budyonny (1883-1973) e devono ripiegare in tutta fretta, arretrando di circa 500 chilometri sino alle porte di Varsavia, che il 13 agosto viene circondata e posta sotto assedio, mentre i russi, fra giugno e luglio del 1920, occupano le principali città e piazzeforti polacche. Lo Stato polacco appena nato sembra dover crollare da un momento all’altro e la via per la rivoluzione bolscevica in Europa spalancata.
In quel drammatico frangente prende la guida delle armate polacche il generale Józef Klemens Piłsudski (1867-1935), già rivoluzionario socialista, ufficiale delle truppe polacche al servizio degli Asburgo e del Kaiser, contro i quali si è ribellato nel 1917, finendo incarcerato. Eletto presidente della Repubblica, riorganizza l’esercito, incorporandovi 160.000 volontari, e infondendovi una nuova determinazione a combattere. Piłsudski si avvale della consulenza di una folta missione militare francese composta di ufficiali reduci del conflitto mondiale — di esso fanno parte il generale Maxime Weygand (1867-1965), già membro di rilievo dello Stato Maggiore supremo francese, e il giovane capitano Charles de Gaulle (1890-1970) — e quella di una analoga missione britannica, che giocheranno un qualche ruolo nella vittoriosa strategia polacca.
Dal 13 al 15 agosto 1920, sulle rive del fiume Vistola, alle porte della capitale — per cui la battaglia passerà alla storia come «Battaglia di Varsavia» —, avverrà lo scontro decisivo. Grazie al talento tattico di Piłsudski, gli eserciti polacchi — sei armate più un’armata di ucraini anti-comunisti — riescono a sud a chiudere i russi — quattro armate di fanteria più un corpo di cavalleria — del generale Michail Nikolaevič Tuchačevskij (1893-1937) in una morsa a tenaglia e ad annientarli, costringendoli a riattraversare il fiume Neumonas, rovesciando così le sorti della guerra.
In quel drammatico periodo è importante il ruolo svolto dal nunzio apostolico a Varsavia, mons. Achille Ratti, il futuro Pio XI (1922-1939), nominato nel 1919 da Papa Benedetto XV (1903-1922). Nell’estate del 1920, durante l’assedio bolscevico, mons. Ratti rimane nella sede della nunziatura, unico diplomatico a non lasciare la capitale: qui partecipa attivamente alle preghiere collettive organizzate durante la battaglia sulla Vistola e fa un gesto coraggioso e simbolico, che solleva il morale dei combattenti: si reca a Radzymin, sulla linea del fronte, mentre la battaglia infuria, per far sentire la vicinanza della Chiesa e del Papa ai soldati. Egli sa, come dirà, che «un angelo delle tenebre sta conducendo una gigantesca battaglia con l’angelo della luce».
La guerra si protrae, con duri scontri ancora fra agosto e ottobre, fino al 18 marzo del 1921, quando, dopo lunghissime trattative con la scaltra diplomazia sovietica, viene siglata la Pace di Riga (Lettonia) e l’Unione Sovietica riconosce come confine la linea di armistizio, linea che sarà violata nel 1939, quando la Polonia viene smembrata fra il Terzo Reich e l’Unione Sovietica staliniana. Le perdite fra i bolscevichi nella guerra con la Polonia ammontano a circa 10.000 morti, 500 dispersi, 10.000 feriti e 66.000 prigionieri, contro i 4.500 morti, 10.000 dispersi e 22.000 feriti dei polacchi.
Il «miracolo della Vistola»
La vittoria polacca, visto il disordine della ritirata verso ovest che precede la vittoria e la disparità di forze, giunge del tutto inattesa, sì che si tenderà a parlare di «Cud nad Wisłą», «miracolo della Vistola» anche perché i polacchi, molto religiosi, tenderanno ad attribuirla al sostegno della Vergine, regina della Polonia, di cui il 15 agosto in Polonia si festeggiava la sua Assunzione al cielo.
Il generale polacco barone Józef Haller von Hallemburg (1873-1960), prima della controffensiva da lui guidata, ordina un ottavario di preghiere alla Madonna Nera di Częstochowa. L’episcopato polacco, a sua volta, riunito a Jasna Góra, il 27 luglio rinnova la consacrazione della Polonia alla Vergine. Il 20 maggio precedente è nato a Cracovia Karol Woytjła: reca il nome del beato imperatore, comandante di suo padre e ultimo sovrano del regno danubiano. In una intervista del 1978 dirà: «Sono nato nel 1920, nel mese di maggio, quando i bolscevichi accerchiavano Varsavia. Per questo, fin dalla nascita, mi sento particolarmente debitore verso coloro che lottarono per la libertà ottenendo una vittoria insperata. Posso dire che la mia vita ha avuto inizio nel segno del miracolo della Vistola».
Non è azzardato comparare la vittoria polacca sulla Vistola a quella della cristianità contro l’impero ottomano nel 1571 nelle acque di Lepanto: allora fu interrotta per almeno un secolo — ma forse definitivamente — l’espansione nei Balcani dell’islam turco, nel 1920 per almeno un ventennio l’espansione sovietica nell’Europa centrale.
Martedì, 25 ottobre 2024
Per approfondire
— Voce Guerra sovietico-polacca, in Wikipedia, nel sito web <https://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_sovietico-polacca>.
— Adam Zamoyski, 16 agosto 1920. La battaglia di Varsavia, Corbaccio, Milano 2009.
— Giovanni Cantoni (1938-2020), Cosi la Polonia cristiana fermò Lenin, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLI V, n. 188, Roma 13-8-1995, pp. 18-19.