Le Olimpiadi di Tokyo vittime del moralismo pedante e implacabile della nostra epoca. Ma per fortuna, ed è proprio il caso di dirlo, c’è Paola Egonu
di Diego Torre
Il regista Kentaro Kobayashi pretendeva di dirigere la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Tokyo dopo due anni di intenso lavoro, ma è stato licenziato alla vigilia dell’accensione del braciere olimpico a causa di una battutaccia sull’Olocausto, pronunciata maldestramente 23 anni prima, nonostante il suo dichiarato pentimento. Anche il compositore delle musiche della medesima cerimonia d’apertura, Keigo Oyamada, aveva uno scheletro nell’armadio che gli è costato il posto di lavoro: 26 anni prima, a scuola, era un autentico bullo!
Yoshiro Mori, capo del comitato organizzativo delle Olimpiadi, era stato in passato anche primo ministro del Giappone, ma anche lui si è rivelato imperdonabile! Si è permesso di ironizzare sull’eventualità di estendere le nomine nel consiglio dei Giochi a un maggior numero di donne: «le riunioni a cui partecipano troppe donne in genere vanno avanti più del necessario». In un’epoca di femminismo aggressivo e privo del benché minimo senso dell’umorismo, anche questa battuta, molto più innocente di quella di Kobayashi (che ha scherzato davvero con il fuoco ed è stato colpito dal ritorno di fiamma), è stata censurata e il suo autore costretto a dimettersi già a febbraio.
Ciò che colpisce di queste vicende è sia la lontananza nel tempo degli episodi contestati, sia la loro scarsa attinenza con i compiti rivestiti dalle persone “incriminate” nelle circostanze attuali. Tutto viene letto in maniera molto semplicistica, dimenticando la complessità degli esseri umani. Gli anni passano per tutti e ognuno di noi ha avuto il tempo di maturare, ma nel clima culturale della nostra epoca non esiste il perdono e non c’è possibilità di espiazione.
Il CONI, ovvero il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, non è stato da meno:oltre ad aderire all’imposizionedi un doppio portabandiera, di sesso opposto(il che, in tempi di ideologia LGBT imperante, non è del tutto un male, dato che implica il riconoscimento della complementarietà e, soprattutto, della diversità dei sessi biologici), per la bandiera nazionale, ha indicato come candidata a sorreggere la bandiera con i 5 cerchi la pallavolista Paola Egonu, facendo leva unicamente sul colore della pelle e sulla presunta bisessualità dell’atleta.
Egonu, però, si è rivelata molto più intelligente dei suoi laudatores interessati: intervistata dal Corriere della Sera, diventato ultimamente il paladino del politicamente corretto, ha risposto che «non ho niente da nascondere, però di base sono fatti miei. Quello che deve interessare è se gioco bene a volley, non con chi dormo». Una puntualizzazione di assoluto buon senso. La mitologia costruita attorno all’atleta è definitivamente crollata quando, durante la partita contro la Russia, Paola si è lasciata sfuggire un popolarissimo sfogo, che risuona abitualmente in ogni competizione agonistica, dai campi di calcetto alle piscine dei 400 stile libero, ma che al giorno d’oggi sarebbe considerato un insulto chiaramente omofobo. Sia davvero lode alla “mitica” Paola, che con molta semplicità ha dimostrato ancora una volta come la realtà sia molto più complessa degli schematismi in cui le vestali del politicamente corretto vorrebbero ingabbiarla.
Giovedì, 29 luglio 2021