Iniziato l’iter verso la canonizzazione dell’ultimo Re di Napoli
di Diego Torre
Per la storiografia dominante “Franceschiello” fu un re inetto e il suo esercito un’armata da burletta. Sono due clamorosi falsi costruiti da quei “poteri forti” che provvidero nel 1860 a detronizzare Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie per un anno e mezzo, corrompendone i generali ed arruolando Giuseppe Garibaldi per la sua impresa militare e politica.
La Chiesa sta rendendo in parte giustizia a questo sovrano, pio e caritatevole. La Conferenza episcopale della Campania ha dato il nullaosta all’avvio della causa di beatificazione per l’ultimo re delle Due Sicilie, ora Servo di Dio.
Non interessa in questa sede il valore politico del personaggio, ma le sue virtù cristiane, la cui luce resiste al tempo e va sempre più imponendosi. La madre, la beata Maria Cristina di Savoia, morì poco dopo la sua nascita e furono gli scolopi a educarlo alle virtù cristiane. Il suo fu un regno di mitezza e di amore. Allentò l’accentramento statale a favore delle autonomie locali, ridusse le tasse, soprattutto quella del macinato, migliorò le condizioni dei carcerati e giunse a fare acquistare grano all’estero per rivenderlo sottocosto ai poveri. Ebbe sempre ritrosia a impegnare battaglie sanguinose o a sostenere nel meridione d’Italia la guerriglia post unitaria, anche se da ciò poteva dipendere la salvezza del suo trono. Egli non ebbe difficoltà ad emanare il seguente proclama l’8 dicembre 1860: “Nel momento in cui era sicura la rovina dei miei nemici, ho fermato il braccio dei miei Generali per non consumare la distruzione di Palermo; ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona”.
Dopo la sua cacciata dal regno, nel 1862, da detronizzato, inviò denaro ai napoletani in difficoltà per una forte eruzione del Vesuvio. Fu spogliato di tutto da Garibaldi (che di queste cose se ne intendeva), e quando il Governo italiano propose la restituzione dei suoi beni purchè rinunciasse a ogni pretesa sul trono, egli rifiutò: “Il mio onore non è in vendita”.
Visse in sofferenza continuando ad amare il suo popolo e si spense ad Arco di Trento a 58 anni povero e sereno. Viveva in anonimato nelle città in cui visse esule e frequentava la chiesa ogni giorno. Il beato Pio IX, per le sofferenze patite lo chiamerà “il piccolo Giobbe”.
Una trentina d’anni dopo l’invasione del Regno, disse profeticamente: «Che non si illudano i Governi; la Religione è elemento di ordine e di forza; senza religione non v’ha progresso civile. I più vasti Imperi caddero allorché persero ogni credenza! L’impero dei Santi sopravvenne e la mollezza e la depravazione si diffusero. Corrompete i costumi e imperate fu la filosofia di quei tempi. Corrompete e imperate, pare fosse la filosofia del nostro progresso: le conseguenze potrebbero essere le stesse».
E’ un pensiero simile a quello espresso in un articolo del 1925 da san Massimiliano Kolbe: “Volgendo lo sguardo attorno a noi, notiamo la scomparsa, spaventosa, della moralità, soprattutto in mezzo alla gioventù; anzi, stanno sorgendo delle associazioni, veramente infernali, che hanno inserito nel loro programma il delitto e la dissolutezza … Il cinema, il teatro, la letteratura, l’arte, diretti in gran parte dalla mano invisibile della Massoneria, lavorano febbrilmente, in conformità alla risoluzione dei massoni: «Noi vinceremo la Chiesa cattolica non con il ragionamento, ma pervertendo i costumi!»”.
Così è andata, verso la “dittatura del relativismo”.
Mercoledì, 23 dicembre 2020