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In morte di Silvio Berlusconi

12 Giugno 2023 - Autore: Oscar Sanguinetti

di Oscar Sanguinetti

Fra i tanti surrogati dell’uomo politico in questa epoca della tecnocrazia sta l’imprenditore “prestato alla politica”. Ma vi sono due specie di questo genere: l’imprenditore vero, quello che rischia del suo e guida — pallido barbaglio del cavaliere medioevale — l’impresa, quello contaminato dall’odore delle sue maestranze, quello che guadagna una fortuna ma la investe creando posti di lavoro; e poi vi è l’altra figura, quella del tecnico capitalista, banchiere o finanziere, che ha molte incarnazioni in Italia: Amato, Prodi, Ciampi, Monti e infine, il top: Mario Draghi. Cioè, chi ha sempre trafficato il denaro ma quasi mai il suo, bensì quello dei contribuenti. Quale sia da preferire — ovviamente se non si può scegliere un politico puro e di statura elevata — è facile dirlo: è il primo. In lui le virtù imprenditoriali forgiate e collaudate nell’agone della lotta economica sono più simili — anche se non uguali — alle virtù che il politico deve avere per svolgere al meglio il suo compito.

Silvio Berlusconi è appartenuto al primo tipo. Egli ha cercato di iniettare all’interno di una politica italiana stagnante e ripetitiva un pizzico di originalità e le ha impresso un impulso nuovo. Nato dal nulla, salito sino ai vertici dell’imprenditoria italiana, ha coltivato con passione le sue aziende — a loro volta non poco innovative nel panorama dell’industria italiana — immobiliari, mediatiche e calcistiche, ma ha anche avuto sempre un chiodo fisso: l’economia italiana dipendeva troppo dalla politica, troppo Stato invadeva l’economia, e troppa politica e troppo Stato significavano allora troppa sinistra. E Silvio Berlusconi capiva che l’economia del quarto Paese più industrializzato — all’epoca —, in una epoca di forti cambiamenti e di incipiente crisi del modello socialista ovunque nel mondo non poteva fare da sgabello alla sinistra. Così, vedrà sempre il suo successo come mattoni tolti da sotto i piedi del potere antifascista a dominante comunista instauratosi in Italia nel secondo dopoguerra. La sua discesa in politica nel 1994, quando lo strapotere delle sinistre, dopo Tangentopoli, concretizzava la prospettiva di un ingresso dei post-comunisti nel governo di Roma va letta anche in questa chiave.

Imprenditore geniale, cercherà di trasfondere un po’ dello stile del tycoon che era nelle aule parlamentari e nei corridoi del governo.

Il suo primo successo in politica sarà la creazione praticamente ex nihilo, attingendo ai quadri del suo già vasto impero industriale, di un partito politico a base nazionale: Forza Italia. Ricordo ancora le strade della mia Milano, prima del 1994, popolate da enormi cartelloni pubblicitari con lo slogan “Forza Italia!” e nulla più. Non si capiva che cosa volessero dire, ma oggi, con il senno di poi, sappiamo che era solo la preparazione del terreno, la pre-impollinazione di un elettorato che di lì a poco gli avrebbe garantito il successo. In pochi mesi, Silvio Berlusconi, spendendo del suo, mise su circoli, federazioni, direttivi, organi di comunicazione e, coadiuvato da pochi, preparò il personale — ovviamente non si trattò dell’equivalente di una scuola-quadri o di un analogo delle Frattocchie comuniste — per ricoprire cariche rappresentative e di governo a livello locale e nazionale. Ovviamente, la creatura non sarà un David di Donatello e sarà ricalcato sulla personalità e sulla centralità del promotore, ma riuscirà a decollare e a funzionare in misura sufficiente in un tempo inimmaginabile.

Ciò che è accaduto nel 1994 è noto a tutti: la vittoria elettorale, propiziata dalla nuova legge elettorale entrata in vigore grazie a Mariotto Segni, un ex democristiano, la coalizione con la Lega Nord di Bossi e l’Alleanza Nazionale di Fini, i primi mesi di governo dove sferrerà i primi colpi — forse improvvidamente — al monopolio culturale demo-comunista, il divorzio dalla Lega — “mai al governo con i fascisti!” —, l’ostilità del Presidente Scalfaro, la crisi del primo governo non ciellenista — e del primo governo politico dopo due governi “tecnici” —, la prima eclisse. Cinque anni di astinenza e di governi di sinistra, poi la rinascita, con due esecutivi di fila a sua guida, dal 2001 al 2006. Ancora una legislatura “buca”, poi il trionfo del 2008, destinato a bloccarsi prematuramente nel 2011 con la sua “cacciata” da Palazzo Chigi, orchestrata dal Presidente Giorgio Napolitano e da Bruxelles.

Che dire dell’avventura del “Cavaliere”, dell’imprenditore “prestato alla politica”?

Come in tutte le vicende umane, luci e ombre: luci tante, ombre forse meno. Non ha invertito il trend verso la Repubblica universale “giacobina”, ma ha contribuito ad allontanare la figura sinistra di una Italia rossa. Non ha combattuto tutte le battaglie per la vita e per la famiglia, ma quanto meno non si è schierato dall’altra parte: quando ha potuto, forse incalzato ma generoso, si è reso disponibile a salvare il più debole, come nel caso di Eluana Englaro. Anche se non era un liberal, era un liberale e non un conservatore. Non era certo un uomo religioso ma, spesso tirando in ballo la zia suora, rispettava la religione cattolica e non favoriva nulla che la ledesse. Anzi, quando la Cei è stata guidata da mons. Camillo Ruini vi è stato parecchio terreno per un’azione comune sulle sempre più scottanti e centrali questioni bioetiche. L’odio denso e tenace — che invadeva ogni canale comunicativo dalla stampa al cabaret, dal cinema al gossip — che gli hanno riservato le sinistre politiche, giudiziarie e sociali funge per lui come una “cartina al tornasole” che diagnostica che la sua politica era considerata estremamente pericolosa dall’avversario. Un odio tenace ripagato però con altrettanta tenacia, con una serie inimmaginabile di risurrezioni e di ritorni sulla scena, dopo l’infinita serie di processi imbastiti contro di lui e contro le sue aziende dalla magistratura “rossa”, specialmente dopo la grave impasse seguita alla sua condanna definitiva al carcere, alla privazione dei diritti civili e dei titoli onorifici.

Certo, Silvio Berlusconi è stato un mattatore, ma anche un personaggio che ha vissuto la sfera pubblica come fosse quella privata, non ha avuto sconsideratamente la consapevolezza che ogni sua leggerezza si sarebbe ripercossa in termini negativi non solo su di lui — in buona parte garantito dal suo denaro — ma anche sul mondo che lo seguiva e che lui voleva difendere. Gli scandali a sfondo sessuale di cui è stato al centro, pur ingigantiti dall’iniziativa giudiziaria, hanno fatto emergere una immagine della sua moralità individuale veramente avvilente, anche, come detto, per la loro ripercussione politica.

In ultima analisi, a lui si deve — e questo è il bilancio in prospettiva conservatrice — se il processo rivoluzionario in Italia è proceduto meno spedito e ha trovato ostacoli, vischiosità e impasse. Non solo: grazie a lui è avvenuto anche il relativo sdoganamento della destra politica, che con i suoi governi è tornata, non dico al centro, ma nel novero delle forze politiche legittimate a governare. I governi di centro-destra da lui presieduti hanno cercato di rompere la gabbia “giacobino”-socialista che dai primi anni 1960 gravava sulla politica italiana, di ridare respiro all’iniziativa privata, di ridisegnare un ruolo di prestigio per l’Italia nello scenario delle nazioni e delle istanze sovra-nazionali. Certo, ci si aspettava di più e gli anni della sua impotenza sono coincisi con avanzate irrimediabili dell’ideologia che egli combatteva. Ma così è stato, la sua storia è ormai, appunto, storia.

L’auspicio — e la preghiera — è che il Signore “ricco di misercordia”, accolga la sua anima nel suo Regno: se ha fatto forse del male, ha fatto — lo scopriremo — anche del bene, e non poco.

Lunedì, 12 giugno 2023

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