Pubblichiamo, come richiesto, la nota dell’Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian presso la Santa Sede S.E Sig. Ilgar Mukhtarov, relativa alla pubblicazione del 10 gennaio 2024 dal titolo “Opus iustitiae pax” a firma di Stefano Nitoglia (vedi link). A seguire, la risposta che Stefano Nitoglia ha inviato all’Ambasciatore.
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Ref: 006/24
1O gennaio 2024
A.e.a Redazione Alleanza Cattolica
info@alleanzacattolica.org
Spett.le Redazione,
Viviamo un momento internazionale molto delicato, e abbiamo apprezzato molto le parole del Pontefice in occasione dell’udienza al Corpo Diplomatico per la presentazione degli Auguri per il Nuovo Anno, 18 gennaio 2024. Il Santo Padre ha fatto riferimento alla situazione nel Caucaso meridionale e alla necessità di “favorire il ritorno degli sfollati alle proprie case in legalità e sicurezza e rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose ivi presenti. Tali passi potranno contribuire alla creazione di un clima di fiducia tra i due Paesi in vista della tanto desiderata pace.”
É molto importante che questo messaggio non venga strumentalizzato, e a tal fine ci spiace che il vostro articolo “Opus iustitiae pax“, a firma di Stefano Nitoglia, offra al lettore una visione della situazione nel Caucaso Meridionale contraria alla realtà. Come sottolineato infatti recentemente dal Segretario della Santa Sede per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, Sua Eminenza l’Arcivescovo Paul Richard Gallagher, quello tra Armenia ed Azerbaigian “non è un conflitto religioso”. Quindi è fuori luogo fare una distinzione tra azerbaigiani musulmani e armeni cristiani.
Il Pontefice ha fatto un giusto appello generico al rispetto dei luoghi di culto, che noi, che abbiamo sofferto per oltre 30 anni di occupazione delle nostre terre, e della distruzione del nostro patrimonio culturale e religioso, con le nostre moschee ridotte a stalle per maiali e i nostri cimiteri profanati, non possiamo che condividere.
A tal proposito, ricordiamo il dolore dei 250.000 azerbaigiani rifugiati dall’Armenia e dei circa 750.000 azerbaigiani, sfollati interni dal Garabagh, costretti a vivere lontano dalle loro case a seguito della pulizia etnica effettuata dagli armeni. A differenza di quanto avvenuto contro gli azerbaigiani, i residenti armeni hanno scelto volontariamente di trasferirsi dal Garabagh, e possono far ritorno in qualsiasi momento lo desidereranno.
A loro sono garantiti i medesimi diritti di tutti i cittadini azerbaigiani, ed è stato improntato un piano di reintegro che spazia dalla tutela economica, a quella culturale e religiosa. Al contrario, il maggior ostacolo ancora oggi al ritorno degli azerbaigiani nelle proprie abitazioni, in sicurezza, è la presenza delle mine antiuomo disseminate dagli occupanti durante i tre decenni.
Apprezziamo molto l’aiuto della comunità internazionale e di quanti ci supportino nella bonifica dei territori liberati, permettendo di pianificare una nuova vita di pace e convivenza al nostro popolo. Vorrei inoltre sottolineare che l’Azerbaigian è inserito nella lista degli stati più tolleranti al mondo dal punto di vista religioso, dove si è formato un modello esemplare di multiculturalismo e di dialogo interreligioso, e non si registrano casi di antisemitismo o discriminazione religiosa. Nel nostro Paese, insieme alle moschee, le chiese cattoliche e ortodosse, tra cui la Chiesa armena, e le sinagoghe ebraiche fungono da luoghi di culto per i credenti. A tutte le religioni sono riconosciuti medesimi diritti, ed è massimo l’impegno per la conservazione del patrimonio di tutte le fedi. Ci auguriamo che un accordo di pace tra Azerbaigian ed Armenia possa essere firmato al più presto, e che tutte le vie di comunicazione tra i due paesi possano essere
aperte, così da permettere il ritorno dei rifugiati..
Cordialmente,
Ambasciatore
llgar Mukhtarov
Roma 24 gennaio 2024
A S.E.
il Sig. Dott. Ilgar Mukhtarov
Ambasciatore della Repubblica
dell’Azerbaidjan presso la Santa Sede
Eccellenza,
mi riferisco alla Sua cortese comunicazione del 10 gennaio 2024, Ref: 006/24, inviata alla redazione del sito “alleanzacattolica.org” circa l’articolo “Opus iustitiae pax”, a mia firma, pubblicato sul detto sito il 10 gennaio scorso, che, secondo Lei, offrirebbe “al lettore una visione della situazione nel Caucaso Meridionale contraria alla realtà” e nel quale si sarebbe fatta “una distinzione tra azerbaigiani musulmani e armeni cristiani”, secondo Lei “fuori luogo”.
Alleanza Cattolica aderisce volentieri alla gentile richiesta di pubblicazione avanzata dalla responsabile del Vs. ufficio stampa, Dott.ssa Barbara Cassiani, accompagnandola con questa mia precisazione, nella quale desidero, innanzitutto, assicurarLe che il mio intento non era assolutamente quello di fare una discriminazione religiosa nei confronti dei musulmani azerbaigiani ma, soltanto, nell’esercizio della libertà di espressione del proprio pensiero, garantito dall’art. 21 della Costituzione italiana, di descrivere la realtà delle cose hic et nunc e senza rivangare il passato. E la realtà attuale delle cose è che dall’inizio di dicembre 2022 l’Azerbaidjan ha bloccato il passaggio di mezzi e persone lungo il corridoio di Lachin, unico collegamento tra il Nagorno-Karabakh e l’Armenia, che si era impegnato a tenere aperto nel trattato di pace del 2020, la quale cosa ha reso progressivamente la vita nella regione più ardua; e che tra il 12 e il 14 del mese di settembre 2023, in quella che viene definita la terza guerra del Nagorno-Karabakh, l’esercito azero ha violato il confine internazionale tra Armenia e Azerbaidjan, occupando alcune zone strategiche in territorio armeno. Durante l’occupazione “circa 7.600 civili armeni rimasero sfollati” (cfr. “Rivista il Mulino”, 28 settembre 2023, consultabile QUI ). Evento che ha suscitato le preoccupazioni del Patriarca armeno cattolico Raphaël Bedros XXI Minassian, che, in occasione dell’attacco, ha dichiarato ad “AsiaNews”, agenzia di stampa promossa dai missionari del Pime, Pontificio Istituto Missioni Estere: “Non sono contrario al dialogo e alla pace, ma quando sono sottoposto ad aggressioni di questa portata, mi impediscono di impegnarmi nel dialogo. La comunità internazionale e gli azeri devono capire che questi metodi non incoraggiano il dialogo e la riconciliazione” (cfr. “AsiaNews”, Armenian Primate: a “raw nerve” between Yerevan and Baku, trust and will are needed, 15 settembre 2022, consultabile QUI).
Quanto alla Sua affermazione, senza citazione della fonte, circa il fatto che l’Azerbaidjan “è inserito nella lista degli Stati più tolleranti al mondo dal punto di vista religioso”, vorrei rappresentarLe che dal XVI Rapporto 2023 sulla libertà religiosa nel mondo della Fondazione di diritto Pontificio “Aiuto alla Chiesa che Soffre ACS”, la realtà sembra apparire un po’ diversa. Le riporto di seguito qualche estratto del Rapporto, nella parte che riguarda la libertà religiosa in Azerbaidjan e il Nagorno-Karabach: “L’articolo 18 della Costituzione dell’Azerbaidjan stabilisce la separazione tra religione e Stato, mentre l’articolo 48 tutela la libertà di coscienza, riconoscendo a tutti il diritto di esprimere le proprie convinzioni e pratiche religiose, a patto che queste non violino l’ordine pubblico o la morale. All’atto pratico, l’attività religiosa è strettamente regolata dalla Legge sulla libertà di credo religioso del 2009, che impone un rigido controllo del governo sui gruppi religiosi. Questi ultimi sono tenuti a registrarsi presso il Comitato di Stato per il lavoro con le associazioni religiose (SCWRA), che esamina tutto il materiale religioso importato, venduto e distribuito nel Paese. L’educazione religiosa è severamente limitata e regolamentata, e i cittadini stranieri non possono effettuare attività di proselitismo. La legge sulla libertà di credo religioso del 2009 è stata emendata due volte negli ultimi anni. Tuttavia, invece di ridurre gli ostacoli posti dalla burocrazia alla pratica religiosa, le modifiche hanno portato restrizioni più severe al culto e ad altre attività religiose. I primi emendamenti alla legge sulla religione e al Codice Amministrativo sono stati elaborati senza alcun contributo esterno e sono stati adottati rapidamente, entrando in vigore il 16 giugno 2021. Una delle nuove restrizioni stabilisce che i leader religiosi non islamici siano preventivamente approvati dal Comitato di Stato per il lavoro con le associazioni religiose. Non è ancora chiaro se e come questo si applicherà alla Chiesa Cattolica Romana in Azerbaidjan (…). Secondo le nuove regole, i gruppi religiosi che non hanno un membro del clero nominato dal governo devono cessare le proprie attività. Solo le comunità che hanno un ‘centro religioso’ registrato possono godere di molti dei benefici concessi dalla legge, per esempio avere cittadini stranieri come leader religiosi, fondare istituzioni educative religiose o organizzare visite a santuari e siti religiosi. Pur riconoscendo che i genitori e i tutori possono educare i figli in base alle loro credenze e opinioni religiose, i nuovi emendamenti vietano di obbligare ‘i bambini a credere nella religione’. L’educazione religiosa dei bambini non deve influire negativamente sulla loro salute fisica e mentale. Particolarmente preoccupante è l’emendamento che richiede l’autorizzazione del Comitato di Stato per il lavoro con le associazioni religiose per poter organizzare eventi religiosi di massa al di fuori dei luoghi di culto approvati dallo Stato. Tale disposizione, notano gli osservatori internazionali, potrebbe essere usata contro le persone che tengono riunioni religiose nelle case o in altri luoghi privati, dal momento che non viene definito il numero di partecipanti necessario affinché una riunione sia considerata un evento di massa.
L’11 marzo 2022 sono entrate in vigore ulteriori modifiche, che conferiscono alle autorità un controllo ancora maggiore sulle attività religiose. Le nuove disposizioni hanno stabilito che, ogni cinque anni, debba essere il Comitato di Stato per il lavoro con le associazioni religiose, e non il Consiglio musulmano caucasico, a decidere la nomina dei leader che guidano la preghiera nelle moschee, e a disporne eventualmente la riconferma o il licenziamento. È stato inoltre prescritto che i gruppi non islamici non possano più avere un ‘centro religioso’. (…). Nell’aprile 2022, il Comitato di Stato per il lavoro con le associazioni religiose ha approvato nuove regole per la nomina e il licenziamento dei membri del clero, che tuttavia risultano estremamente vaghe e pertanto si prestano ad un’ampia discrezionalità in fase di giudizio (…). Le prospettive per il futuro della libertà religiosa in Azerbaidjan sono contrastanti. Storicamente, l’Azerbaidjan ha cercato di presentarsi come un Paese fondato sul multiculturalismo e sul rispetto per tutti i gruppi etnici e le religioni. I dati indicano tuttavia che il governo azero – al pari di altri nella regione, presumibilmente per motivi di sicurezza – sta operando una crescente distinzione di trattamento tra le organizzazioni religiose registrate e quelle non registrate. Ciò si evince anche dai recenti emendamenti alla legge sulla religione del 2009, che introducono maggiori restrizioni al culto e alle altre attività religiose, inasprendo il già forte controllo del governo sulla vita delle organizzazioni religiose, in contrasto con la disposizione costituzionale che separa religione e Stato. Le prospettive per la libertà religiosa, pertanto, rimangono negative”.
Inoltre, secondo “Index democracy 2022”, pubblicato dal settimanale “The Economist”, che esamina lo stato della democrazia in 167 paesi, consultato oggi 23 gennaio 2024 il sito, gli indici delle libertà civili in Azerbaidjan sono pari a 2,6 punti su una scala da 0 a 10 e quelli della libertà di espressione sono pari a 2 su una scala da 1 a 10. “Freedom house 2023”, consultato oggi 23 gennaio 2024 il sito, organizzazione non governativa internazionale, con sede a Washington, D.C., che conduce attività di ricerca e sensibilizzazione su democrazia, libertà politiche e diritti umani, assegna all’ Azerbaidjan 9 punti su 100 (si consideri che la Russia, il che è tutto dire, ha 16 punti).
Infine, anche se potrei continuare ancora per molto, Padre Tirayr Hakobyan, Archimandrita della Chiesa Apostolica Armena in Europa Occidentale, durante un incontro organizzato dalla associazione “Iscom” di Roma, ha rilasciato una intervista, pubblicata sul sito “Rai News.it” del 22 gennaio 2024, nella quale fa le seguenti affermazioni circa la situazione attuale in Armenia: “È molto preoccupante, anche per le dichiarazioni che rilascia il presidente dell’Azerbaigian ai mezzi di comunicazione. Il presidente afferma che l’Armenia non esiste, che fa parte dell’Occidente del loro paese. Inoltre dicono che la nostra cultura è la loro cultura. Stanno falsificando la nostra storia; dichiara che le nostre chiese sono chiese appartenenti all’Albania del Caucaso e quindi fanno parte della storia dell’Azerbaigian, per cui sono autorizzati a prendersi la nostra terra. Vedo un tentativo di assorbimento del nostro paese e questo è pericoloso, anche perché potrebbe sfociare in un’ennesima guerra dalle conseguenze terribili per il nostro paese già martoriato.”
Nella sua lettera Lei scrive: “A differenza di quanto avvenuto contro gli azerbaigiani, i residenti armeni hanno scelto volontariamente di trasferirsi nel Garabagh, e possono far ritorno in qualsiasi momento lo desidereranno”. A tale proposito mi domando come possa un’intera popolazione di decine di migliaia di persone lasciare spontaneamente le proprie case e la propria patria senza una grave ragione esterna che giustifichi questo enorme sacrificio. A questo risponde l’Archimandrita Hakobyan nella intervista citata: “Attualmente nel Nagorno Karabach non ci sono più armeni. I 120 mila abitanti sono fuggiti verso l’Armenia, per paura e mancanza di fiducia nel governo dell’Azerbaigian, nonostante questi avessero assicurato protezione. C’è un odio evidente da parte degli azeri verso la cultura e la popolazione armena. (…) Le condizioni da parte del governo dell’Azerbaigian per coloro che volevano rimanere nel Karabakh erano improponibili. Volevano costringere la popolazione armena ad accettare la dipendenza dal punto di vista culturale, politico e sociale del paese per così rimanere sotto il controllo del regime azero. (…) Vediamo che l’Azerbaigian vuole riscrivere la nostra storia, togliendo gli scritti (sulle chiese, ndr), graffiando frasi millenarie impresse nei nostri monumenti, che confermano l’autenticità e la presenza del nostro popolo. Vogliono dimostrare davanti agli occhi di tutto il mondo che i monumenti storici appartengono a loro. Inoltre la Chiesa apostolica armena nel Nagorno Karabakh ha un patrimonio molto vasto. Erano presenti molte chiese armene risalenti al V e VI secolo, ma sono state completamente distrutte. (…) Da parte degli armeni c’è l’intenzione di raggiungere la pace, ma devo dire che sono poco fiduciosi. La pace si realizza quando entrambe le parti la desiderano e si concretizza con un accordo firmato. Il problema è che l’Azerbaigian non vuole gli armeni. Agli azeri serve la terra senza che gli armeni siano d’impiccio. Ecco perché non vediamo la luce”.
Eccellenza, questi sono fatti incontrovertibili, citati sulla base di fonti certe e documentate e senza animosità, ma solo per amore della verità. Anche io, come Lei, mi auguro che un accordo di pace tra Azerbaidjan e Armenia possa essere firmato al più presto, nel rispetto della giustizia e della verità, auspicando che gli armeni sfollati possano fare ritorno al più presto nella loro Patria e nelle loro case.
In questa speranza, La saluto cordialmente
Stefano Nitoglia