La Lettera apostolica di Leone XIV che ricorda l’importanza e l’attualità del Concilio di Nicea
di Daniele Fazio
Nella solennità di Cristo Re dell’Universo e alla vigilia del suo viaggio apostolico in Turchia e in Libano, Leone XIV ha annunciato la pubblicazione della Lettera Apostolica In Unitate fidei,che ricorda il 1700° anniversario della celebrazione del Concilio di Nicea.
Il testo intreccia almeno quattro dimensioni: teologico-dottrinale, storico-culturale, spirituale ed ecclesiale. Ricordare il primo evento ecumenico della storia della Chiesa richiama la centralità della fede in Gesù Cristo che «merita di essere confessata ed approfondita in maniera sempre nuova e attuale» (n.1). I padri conciliari di Nicea, restando fedeli all’insegnamento biblico e al realismo dell’Incarnazione, confessarono che Dio non è lontano da noi, ma si è fatto vicino grazie all’Incarnazione di Gesù Cristo, suo Figlio, vero Dio e vero uomo. Dio è luce e il Figlio di Dio è il riflesso di questa Luce e l’immagine del suo Essere. Egli parla e agisce nella storia, tanto che il Figlio del Dio vivente da Dio che era divenne uomo, e non viceversa, per salvarci. Nessun uomo può compiere la salvezza se non Dio stesso, che sceglie la via dell’abbassamento, dello “svuotamento”, assumendo la condizione di servo, affinché, tramite la redenzione, elevasse l’uomo fino a Dio: «La divinizzazione è quindi la vera umanizzazione» (n.7).
Questa professione di fede dovette essere formulata in maniera chiara per ribadire ciò che la comunità apostolica sin dalla Resurrezione e dalla Pentecoste aveva creduto indefettibilmente, essendo messa in discussione dall’eresia propinata da un presbitero di Alessandria d’Egitto, Ario (256-336). Egli sosteneva che Gesù Cristo non è veramente Dio e neanche semplice creatura ma un essere intermedio. Nonostante la condanna delle tesi ariane, da parte di un sinodo convocato dal vescovo Alessandro di Alessandria (250-326) che inviò anche in Occidente l’esito, soprattutto al vescovo Osio di Cordova (257-357) che si era distinto come confessore della fede, gli ariani si compattarono e ne nacquero delle controversie in tutto l’Impero
I cristiani avevano ottenuto da poco, con l’Editto di Milano (313), la libertà di culto, e l’imperatore Costantino si rese conto che con l’unità della Chiesa fosse anche in pericolo l’unità dell’Impero, ragion per cui convocò tutti i vescovi a Nicea per un Concilio universale per stabilire la verità (325). I Padri non ebbero dubbi a confessare la fede presente nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, approfondendo ed esplicitando la professione di fede del Credo degli Apostoli, in uso nella Chiesa di Roma e spiegarono tale mistero usando i termini ousia (sostanza) e homooúsios (della stessa sostanza). Ciò non ellenizzò la rivelazione biblica, ma elevò gli stessi termini per esprimere il mistero del Figlio di Dio. Non un’opera di razionalizzazione del mistero, cosa fatta da Ario, ma una spiegazione necessaria attraverso una trans-significazione degli stessi termini greci.
Tuttavia, gli ariani non solo continuarono a diffondere le loro dottrine, ma esse trovarono anche sostegno nella corte imperiale. Il post-concilio di Nicea fu un momento molto turbolento, tanto da essere definito da san Basilio di Cesarea (330-379) come una battaglia navale notturna in una violenta tempesta. Il grande difensore della fede nicena fu il vescovo Atanasio (m. 373), che succedette ad Alessandro. Più volte esiliato dalla sede episcopale, non cedette al compromesso e guidò i suoi fedeli nella vera fede. Grazie all’impegno di sant’Atanasio poté nascere una generazione nuova di cristiani, sia in Oriente che in Occidente, che diffusero e approfondirono la fede cristologica e anche il dogma della Trinità, fino al compimento di questo cammino nel Concilio di Costantinopoli. Il Credo niceno-costantinopolitano è riconosciuto oggi dalla Chiesa Cattolica, da quella Ortodossa e anche dalle comunità ecclesiali nate dalla Riforma del XVI secolo come la base comune della fede cristiana.
Che cosa se ne ricava da questa storia di fede per i credenti e la Chiesa di oggi? Innanzitutto dobbiamo ricordare che la liturgia e la vita cristiana sono strettamente ancorate alle verità di fede del Concilio di Nicea, ma ancora di più che Gesù è il Signore della nostra vita, il Redentore, e che seguirlo significa impegnare i nostri passi sulla via della croce. Sperimentando l’amore e la misericordia di Dio siamo capaci di donarli al prossimo e al mondo, «dobbiamo quindi chiederci: che ne è della ricezione interiore del Credo oggi? Sentiamo che riguarda anche la nostra situazione odierna? Comprendiamo e viviamo ciò che diciamo ogni domenica, e che cosa significa ciò che diciamo per la nostra vita? […] Che cosa significa Dio per me e come testimonio la fede in Lui? L’unico e solo Dio è davvero il Signore della vita, oppure ci sono idoli più importanti di Dio e dei suoi comandamenti? Dio è per me il Dio vivente, vicino in ogni situazione, il Padre a cui mi rivolgo con fiducia filiale? È il Creatore a cui devo tutto ciò che sono e che ho, le cui tracce posso trovare in ogni creatura? Sono disposto a condividere i beni della terra, che appartengono a tutti, in modo giusto ed equo? Come tratto il creato, che è opera delle sue mani? Ne faccio uso con riverenza e gratitudine, oppure lo sfrutto, lo distruggo, invece di custodirlo e coltivarlo come casa comune dell’umanità?» (nn.9-10).
Per la Chiesa, il Concilio di Nicea è attuale per il suo valore ecumenico e ciò lo lega anche al Concilio Vaticano II (1962-1965), che ha focalizzato in maniera speciale l’attenzione sull’unità dei cristiani, tematizzata anche trent’anni orsono nell’Enciclica Ut unum sint di san Giovanni Paolo II (1978-2005). Su questa via, avviata già da sessant’anni, è stato fatto un percorso di riconoscimento reciproco, si condivide la memoria dei tanti martiri e, proprio grazie alla base comune della fede, quella espressa dal Credo niceno, lo Spirito spinge a continuare il cammino, perché alla luce della Trinità si giunga all’unità nella legittima diversità: «Questo non significa un ecumenismo di ritorno allo stato precedente le divisioni, né un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali. Il ristabilimento dell’unità tra i cristiani non ci rende più poveri, anzi, ci arricchisce» (n.12).
Venerdì, 28 novembre 2025
