La politica, ma anche la stessa vita sociale, è ridotta a “derby” perenne, in cui l’altro è il nemico da abbattere, perché si sono persi i riferimenti comuni, anzitutto quelli religiosi
di Renato Veneruso
Non è agevole commentare la tragedia della uccisione di un ragazzo di 31 anni senza farsi travolgere dal moto delle emozioni, specie se l’assassinato ha un grande rilievo pubblico, come certamente nel caso di Charlie Kirk, uno dei più noti esponenti del mondo conservatore USA e mondiale. La prima forma di rispetto dovutagli sta proprio nel sottrarlo alla strumentalizzazione politico-ideologica che si è scatenata, al fine di recuperare il senso autentico del suo martirio. E che Kirk sia stato un martire, secondo il valore semantico che la parola trae dal suo etimo greco-classico, di testimone, non può essere messo in dubbio.
Ma testimone di che cosa? Della Verità e della fede nei valori tradizionali, come affermato dai suoi sostenitori, ovvero dell’integralismo fascista, intollerante e violento, come contestato dai suoi detrattori? La risposta richiede necessario distacco e valutazione da un angolo prospettico differente, che consenta, appunto, di non cadere nella logica binaria della contrapposizione a prescindere, che, proprio in quanto pregiudiziale, finisce per negare la realtà della persona uccisa e del significato, possibilmente della lezione, che se ne deve trarre, allo scopo di dare l’estremo omaggio alla vittima e non farle ulteriore e definitivo oltraggio. Propongo di ricercare questo punto di osservazione – absit iniuria verbis – nel calcio, di cui si dice che riproduca, come specchio -spesso deformato e deformante -, la vita.
Chi scrive è nato, vissuto e vive a Napoli ed è identitariamente napoletano, ma non è per risentimento personale che segnalo la condizione in cui si ritrova a giocare la squadra di calcio della città quando gioca “fuori casa”: cori di scherno si accompagnano ad insulti “razzisti”, di discriminazione territoriale, del tutto sganciati dal fatto agonistico (sabato scorso, a Firenze, già culla del Rinascimento italiano, gli spettatori hanno continuato a gridare oscenità per l’intera partita, nonostante il risultato fosse già definito dopo un quarto d’ora). Il rilievo sociologico che se ne trae è che non solo la partecipazione al fatto sportivo non è ritenuta declinabile se non nella forma del ‘tifo’ esagitato, ma esso non è più indirizzato verso la squadra ‘del cuore’, quanto piuttosto – e sempre più spesso solo – contro l’avversario.
Questa propensione di molti tifosi esprime la cifra della condizione psicosociale della civiltà postmoderna, incapace di valutare l’altro se non in termini di amicus/nemicus: è lo stadio finale della ricostruzione di Karl Schmitt, per cui la società politica contemporanea si fonda sul riconoscimento del nemico come ragione di associazione contro di lui, come ragione fondativa, quindi, del decidere di organizzare lo stare insieme contro chi rimane al di fuori. In tale prospettiva si chiarisce la radice profonda della canea degli osceni commenti contro Kirk, «che se l’è cercata», «vittima della stessa violenza da lui invocata o suscitata»: non importa se di accademici matematici, di fantomatici scrittori, di politici interessati a rafforzare le proprie posizioni, ovvero di semplici ‘leoni da tastiera’ infoiati dai possibili like ai propri post provocatori.
La perdita del senso del sacro e l’espulsione di Dio dall’orizzonte pubblico consentono al Principe del mondo, menzognero ed omicida, di dilagare, promuovendo una società che, in quanto tematicamente contro Dio creatore, finisce per essere, da ultimo, contro l’uomo, Sua creatura. Alla preghiera ed alla meditazione silenziosa del cuore, quella di Maria che «meditava queste cose nel suo cuore», deve accompagnarsi il perdono, perché la civiltà dell’amore, secondo il piano di Dio, richiede non la mera contrapposizione, ma la capacità di superamento della violenza diabolica.
Ma perché il perdono non sia una vuota parola, occorre la purificazione della memoria, il cui organo non è la mente, ma il cuore (dal latino re-cordor, non dal greco mymnesko). Occorre che vi sia prima di tutto l’accertamento della verità ed il riconoscimento della colpa.
Allora, il ricordo di Charlie potrà essere veramente celebrativo del suo martirio, della testimonianza, che egli ha reso fino alla morte, ai valori in cui credeva, insistendo a cercare il confronto con coloro che non vi aderivano perché consapevole che la fede si trasmette per irradiazione missionaria e non per proselitismo e che la libertà è cifra irriducibile consustanziale all’uomo. Possa il suo esempio aiutare tutti a ritrovare la comune radice della dignità umana.
Venerdì, 19 settembre 2025
