
di Ignazio Cantoni
1. Contenuti
Dio è l’origine e il senso di quanto è e accade; nella storia, pertanto, la relazione del creato con Dio si origina, si modifica e giunge al suo compimento, ritmata in passaggi i principali dei quali sono riassunti nel Credo: creazione, peccato, redenzione, tempo fra la prima e la seconda venuta di Cristo, fine del mondo. Questa dimensione è l’oggetto della teologia della storia.
Intessute a questa trama, si muovono le storie dei singoli e delle società, che al disegno di Dio sono invitati ad aderire. Si ha così, correlata alla teologia della storia, la filosofia della storia, tentativo razionale di decifrare linee, direzioni, cause, effetti, movimenti e finalità all’interno delle vicende delle società e dell’umanità nel suo complesso.
Tale attenzione nasce con la filosofia stessa, perché almeno in Platone (428/427-348/347 a.C.) e in Aristotele (384/383-322 a.C.) si scorgono tentativi in tal senso; tuttavia, essa aveva acquistato già consapevolezza con lo storico greco Tucidide (460 ca.-395 ca. a.C.), il quale rivendica l’utilità dello studio della storia perché i protagonisti di essa, cioè gli uomini, sono gli stessi in ogni epoca ed è pertanto possibile estrapolarne insegnamenti che sono «un possesso per sempre» (Storie, I, 22).
Il greco Polibio (206 ca.-124 a.C.) nelle sue Storie presenta una celebre classificazione delle forme di governo, che — in forza della coincidenza pagana fra polis, società e dèi — sono anche forme sociali e culturali: «Si deve quindi affermare che esistono sei forme di governo: le tre di cui si è già detto [regno, aristocrazia e democrazia] […], ed altre tre che sono naturalmente collegate con queste, cioè: la tirannide, l’oligarchia e l’oclocrazia. Ora, di queste, la prima che si stabilisce in modo naturale e spontaneo è la monarchia, dalla quale poi […] si origina il regno. Quando quest’ultimo, nel suo naturale declino, arriva allo stadio di corruzione che gli è proprio, cioè la tirannide, allora, dal disfacimento di queste due forme si genera l’aristocrazia. Una volta poi che questa, come le è connaturale, sia degenerata in oligarchia e la moltitudine dei comuni cittadini, indignata, si sia vendicata dei soprusi commessi dai capi, nasce la democrazia. Infine, a seguito delle violenze ed illegalità in cui, col tempo, anche questa forma di governo degenera, subentra l’oclocrazia» (l. VI, 4). Da quest’ultima il cerchio si chiude e, ritornata allo stato selvaggio, la società si riaffida a un monarca. Tale chiusura del ciclo viene chiamata ἀνακύκλωσις (anakyklosis) (l. VI, 9), termine atto a designare anche la rivoluzione astrale.
Se nel Medioevo si prediligerà la teologia della storia, per esempio con sant’Agostino (354-430), san Beda il Venerabile (672/673-735) e il servo di Dio Gioacchino da Fiore (1130 ca.-1202), Niccolò Machiavelli (1469-1527) e, soprattutto, Giambattista Vico (1668-1744) rilanceranno la riflessione filosofica; l’Illuminismo, il Romanticismo idealistico e positivista e il marxismo offriranno contributi importanti per la storia del pensiero, mentre, all’inverso, la filosofia del XX secolo favorirà l’abbandono della ricerca di una logica della storia e, conseguentemente, spegnerà l’interesse verso essa.
2. Modelli interpretativi
Poiché le società umane sono le protagoniste della storia, la sua filosofia si intreccia necessariamente con l’antropologia e con tutte le discipline afferenti: ricerca storica, sociologia, politica, arte e metafisica si illuminano a vicenda, in un costante richiamo fra esperienza e riflessione, fra filologia e filosofia, nel linguaggio di Vico.
I modelli interpretativi si possono suddividere, anzitutto, in filosofie trascendenti e secolari. Le prime tentano di coniugare tali riflessioni appoggiandole sul fondamento di Dio e della sua relazione con gli uomini, come magistralmente descritto da Platone: «A quei tempi gli dèi si erano divisi a sorte, paese per paese, tutta quanta la terra […]. Dopo di che, come fa il pastore coi suoi armenti, così anch’essi allevarono noi uomini che eravamo per loro possesso e gregge. Con una differenza, però: che gli dèi non usavano corpi per costringere altri corpi, nel modo che i pastori usano per il gregge, cioè a suon di bastonate, ma come per lo più si condurrebbe un animale domestico: cioè guidandolo da tergo. Così appunto gli dèi conducevano e dirigevano la stirpe umana: secondo il loro disegno, con la forza della persuasione ne tenevano l’animo quasi ne reggessero il timone» (Crizia, 109b-d). In tale prospettiva la relazione con gli dèi è il fondamento e la misura degli eventi storici.
Alle seconde appartengono per esempio la filosofia della storia illuministica, quella positivistica di Auguste Comte (1798-1857), l’idealistica di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) e quella materialistica di Karl Marx (1818-1883). Nelle loro pur significative differenze, tutte costituiscono il tentativo di spiegare l’uomo con la sola dimensione sensibile: si hanno così i tentativi di esaurire il senso della storia nel cammino ora della ragione, ora della libertà, ora della cultura, ora della tecnica, ora di tutte queste dimensioni prese insieme. Tali prospettive, in sé legittime, acquistano una tonalità ideologica, cioè in certo modo religiosa, quando si fanno totalizzanti ed escludono qualsiasi altra dimensione, soprattutto la trascendenza. Di tale riduzionismo il marxismo è culmine e insieme crisi: la storia è lotta fra le classi sociali, fondamento di tutte le altre espressioni culturali («struttura» e «sovrastruttura»), religione compresa, ed è totalmente esauribile nell’insieme dei rapporti socio-economici.
Le filosofie della storia secolari possono essere suddivise in moderne e post-moderne.
Quelle moderne interpretano la storia prevalentemente come la progressiva emancipazione dell’umanità dalle «catene» mitiche e religiose, ritenute lesive della sua dignità e, al più, una inutile proiezione esterna delle sue indefinite potenzialità. Così assumono una rilevanza particolare i termini «evoluzione», «riforma», «cambiamento» e «progresso», nonché il binomio «vecchio/nuovo», rivestiti di un significato sostanzialmente positivo perché descrivono la progressiva liberazione degli uomini dalla religione e dalla morale. In tale prospettiva la storia mondiale moderna, a trazione prevalentemente europea, è giudicata positivamente.
Le filosofie della storia secolari post-moderne, anticipate da Friedrich Nietzsche (1844-1900), ma passate attraverso l’epoca dei totalitarismi e delle due guerre mondiali (1914-1918 e 1939-1945), sconvolte dall’Olocausto e dalla «banalità del male», intrise di relativismo e di assurdo, ritengono, pur con varie tonalità, che le aspettative della modernità siano naufragate, e che la speranza in uomini e società giuste e solidali sia definitivamente fallita. La storia diviene un coacervo di espressioni irrazionali e violente.
3. Il tipo di movimento
Se il binomio «trascendente/secolare» definisce la direzione, intersecato con esso, è possibile definire il tipo di movimento che le società compiono.
I movimenti identificati dai filosofi della storia sono di due tipi: lineari o circolari. Nel primo caso si ha un progresso tout-court con il semplice passare del tempo, mentre nel secondo la storia si presenta come un itinerario dove la fine di un ciclo coincide con l’inizio di uno nuovo. Al primo tipo si riconducono, per esempio, Nicolas de Condorcet (1714-1780) e il suo Abbozzo di un ritratto storico dei progressi dello spirito umano, del 1795, e, più in generale, le filosofie moderne del «progresso»; al secondo, per esempio, il pensiero stoico, quello nietzscheano e quello di Oswald Spengler (1880-1936).
Approccio ibrido fra i due, presente per esempio in Vico ed Hegel, è quello a spirale: per esso effettivamente l’umanità progredisce secondo linee di forza, ma seguendo un andamento circolare che delinea corsi e ricorsi storici. Giudizio diffuso in alcuni difensori di tale approccio è riconoscere che specialmente l’avvento del cristianesimo ha prodotto un autentico salto di qualità, portando l’umanità intera — anche le civiltà non cristiane, per l’interazione prodotta progressivamente dalla globalizzazione — a un livello superiore di consapevolezza ed etica.
Al termine di ogni spira le società ritornano in un certo senso al punto di partenza, ma questo è analogo, non identico, cioè si trova a un livello intellettuale differente rispetto al precedente. Di tale avviso è anche il beato Antonio Rosmini (1797-1855): «La mia opinione dunque è, che l’umana società sostenuta dal Cristianesimo si muova, quanto agli sviluppi intellettivi e agli ordini sociali, “per una spirale, le cui rivoluzioni sempre più s’allarghino, di maniera che il suo movimento cominci vicino al centro, e si continui in ispire del continuo maggiori, senza potersi assegnare al loro ampliamento alcun limite necessario”» (La società ed il suo fine, l. IV, cap. XVII).
Per il sacerdote roveretano — in queste riflessioni uno dei culmini del pensiero classico e moderno — le società percorrono ciclicamente quattro fasi: «Prima età sociale. Ella è quella nella quale trattasi di dare esistenza alla società, e perciò si pensa unicamente alla sostanza […]. Seconda età sociale. Ella è l’età fiorente, nella quale essendo già l’esistenza della società rassicurata, si trapassa dalla considerazione della sostanza alla considerazione degli accidenti, senza tuttavia ancor perdersi di vista la sostanza. In questo tempo, dopo essersi resa grande la nazione, questa fa pompa della sua grandezza; la si arricchisce di adornamenti d’ogni maniera; ella brilla di tutto lo splendore agli occhi dello straniero, ed ai propri. Terza età sociale. Alla seconda età succede la terza, nella quale, abbagliati gli uomini della pompa esteriore, e da quanto rende la nazione adorna e invidiata anziché forte, vanno perdendo di vista tutto quello che è sostanziale: allora si manifesta nello spirito pubblico un tono di leggerezza e di confidenza, e già è l’epoca della decadenza, e della corruzione della società. Quarta età sociale. Venendo per tal modo applicati i membri componenti il corpo sociale a frivoli oggetti; si vanno guastando i solidi fondamenti su cui era stato appoggiato l’edificio da’ primi autori, fino a che si fa luogo al quarto accidente a cui soggiace lo stato, cioè a quel periodo, nel quale ricevendo delle scosse o da’ nemici esterni o da interne turbolenze, pericola la sua stessa esistenza» (Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società, cap. VII).
In questo alveo si situa anche il pensiero di alcuni esponenti della scuola cattolica contro-rivoluzionaria, quali per esempio Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) e Gonzague de Reynold (1880-1970); quest’ultimo, per esempio, legge la «Rivoluzione» — termine, come visto, già presente nella riflessione di Polibio — come ciclo storico dove, dopo le fasi di ascesa e di apogeo, la civiltà occidentale e cristiana è precipitata nuovamente nella barbarie, «periodo vuoto» da cui sorgeranno nuove civiltà.
Mercoledì, 18 giugno 2025
Per approfondire
Antonio Rosmini, Filosofia della politica, a cura di Mario d’Addio (1923-2017), vol. XXXIII di Idem, Opere edite ed inedite, edizione nazionale promossa da Enrico Castelli (1900-1977), edizione critica promossa da Michele Federico Sciacca (1908-1975), a cura dell’Istituto di Studi Filosofici di Roma e del Centro Internazionale di Studi Rosminiani di Stresa, Città Nuova, Roma 1997; Giambattista Vico, Princìpi di Scienza nuova 1744, a cura di Paolo Cristofolini e Manuela Sanna, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2013; Giuseppe Bedeschi, Declino e tramonto della civiltà occidentale. Studi sulla caduta dell’idea di progresso nella cultura europea, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2019; Karl Löwith (1897-1973), Significato e fine della storia. I presupposti teologici della filosofia della storia, tr. it., il Saggiatore, Milano 2010; Aurelio Rizzacasa, Filosofia della storia. Temi, problemi, prospettive, Borla, Roma 1993.