1. L’Arabia pre-islamica
Contrariamente a quanto si crede, la penisola arabica era un territorio ricco di significati. Solcata da sud a nord e da est a ovest da una rete di piste, fra cui la «via dell’incenso», quotidianamente percorse da carovane di cammelli carichi delle preziose merci provenienti da Oriente e dirette in tutto il Mediterraneo, era caratterizzata a sud, come pure nei regni dei Nabatei e di Palmira, distrutti dalle conquiste romane del II-III sec. d.C., una forma di governo di tipo monarchico dinastico.
La zona centro-settentrionale della penisola, in gran parte desertica, era abitata da popolazioni beduine, nelle quali prevaleva la logica della tribù sull’individuo, con una struttura sociale semplice: lo sceicco, schaykh, era un primus inter pares, eletto dai più anziani fra i capi-clan, che si consultava con il majlis, un consiglio dei capi delle famiglie. La vita tribale era regolata dalla consuetudine, la sunna, o «prassi degli antenati». L’unico vincolo o codice etico era la solidarietà tribale, con i doveri di responsabilità collettiva, di protezione del cliente e dell’ospite, di vendetta. Infrangere la solidarietà della tribù, senza inserirsi per affiliamento in un’altra, era sicura fonte di morte.
Nella lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza, la legge riconosciuta fra le tribù era la razzia, con le connesse scaramucce che la tradizione allarga talora a epiche battaglie. L’individuo non è mai solo semplicemente perché ciò gli impedirebbe di sopravvivere, ma contemporaneamente evita ogni organizzazione sociale che superi l’ambito del proprio gruppo tribale.
Fra il III e il VI secolo d.C., in quest’area prevale il nomadismo, che spesso insidia i confini dell’impero bizantino e di quello persiano. I due imperi favorirono il formarsi, fra gli arabi stessi, di Stati-cuscinetto: lo Stato dei semi-nomadi Ghassanidi, vassalli di Bisanzio, e quello dei Lakhmidi, stanziati a Hira sul fiume Eufrate, tributari del gran re di Ctesifonte. Entrambi i piccoli Stati erano cristiani, in religione monofisiti gli uni, nestoriani gli altri.
Oltre a questi vi erano colonie di ebrei e di cristiani. Il più importante centro cristiano dell’Arabia meridionale era Nagran, mentre gli ebrei — spesso arabi convertiti all’ebraismo — erano numerosi a Yathrib, la futura Medina. Erano prevalentemente agricoltori e artigiani.
Il contesto religioso arabo era caratterizzato da un polidemonismo estremamente variegato. Ogni tribù aveva credenze e devozioni proprie: meteoriti, piante, acque correnti e stagnanti divinizzate, oltre al culto delle pietre sacre o «betili», che si dividevano in mobili — quelle di dimensioni tali da risultare trasportabili — e immobili fra le quali la Ka’ba della Mecca. I betili mobili seguivano le tribù nei loro spostamenti nel deserto: venivano posti in ricchi tabernacoli, rivestiti di stoffe preziose, collocati su lettighe trasportate da cammelli. A officiare i riti del santuario erano i kahin, che potremmo tradurre come «auguri» o «indovini». Essi erano affiancati da donne che svolgevano la funzione di negromanti oppure che si dedicavano alla danza orgiastica con la quale incitavano i guerrieri alla battaglia.
Al di sotto di questa dimensione comunitaria vi era la devozione che ogni famiglia riponeva nei propri amuleti (tama’in), piccole figure intagliate nel legno a cui si faceva ricorso contro la malasorte.
Sopra tutte queste divinità, vi erano tre esseri la cui autorità trascendeva i limiti del culto puramente tribale: Manat (simile al Fato), ’Uzza (la Forza) e Allat (la Signora Bianca) citata anche da Erodoto, (484-425 ca. a.C.), quando narra degli arabi nelle sue Storie (cfr. III, 8).
Queste tre divinità sono chiamate banat Allah, «figlie di Dio», cosa che potrebbe sottintendere l’esistenza di un dio supremo, Allah, derivato dalla forma araba al-ilah, o dall’aramaico alaha, «il Dio» per antonomasia.
A completare il quadro dell’ambiente religioso dell’Higiaz, si trovano misteriose figure, gli hunafa (singolare hanif) che, al di fuori della tradizione, cercavano una via araba al monoteismo. Un hanif fu certamente Waraqa ibn Newfal (?-610), cugino di Khadija (555-619), moglie del Profeta, e hunafa si possono considerare le figure, fra l’ascetico e il profetico, di Khalid ibn Sinan, Danzala ibn Safwan e, soprattutto, Musaylima, che verso il 631 inviò una lettera a Muhammad (570 ca.- 632) intestandola «da Musaylima, il Messaggero di Dio, a Muhammad, il Messaggero di Dio». Quest’ultimo gli rispose «da Muhammad, il Messaggero di Dio, a Musaylima, il Mentitore. La pace sia su colui che segue la giusta direzione!».
Centro religioso e commerciale della penisola era La Mecca, occupata all’inizio del VI secolo dalla tribù nord-araba dei Quraysch, che suddivide la popolazione in «Quraysch dell’interno», aristocrazia mercantile, carovanieri, uomini d’affari e imprenditori, «Quraysch dell’esterno», piccoli commercianti e agricoltori beduini o stranieri, «arabi di Quraysch», le tribù beduine dipendenti.
2. La Nascita di Muhammad
In questo contesto nasce nel 570 circa Muhammad, della tribù dominante, ma orfano di padre e quindi in una condizione disagiata.
Allevato dal nonno paterno prima e poi da uno zio, impara il mestiere di carovaniere ed entra facilmente in contatto con altre religioni monoteiste durante i viaggi mercantili o, soprattutto, durante le fiere. Il futuro Profeta cresce in un ambiente ricco di correnti religiose non ortodosse, di ricostruzioni leggendarie della vita di Gesù o della Vergine, di storie bibliche abbellite e sviluppate, quali noi le conosciamo attraverso il Talmud e la letteratura midrascica. Sappiamo dallo stesso Corano, che il Profeta fu accusato di dare ascolto a persone che parlavano lingue straniere (cfr. XVI, 103) o che raccontavano «favole degli antichi» (XXV, 5).
Altro luogo di particolare vitalità commerciale e politica era la città di Yathrib, che sarà poi chiamata Medina. Nel periodo pre-islamico la sua storia è segnata da una serie di contese fra le due tribù, d’origine meridionale, degli Aws e dei Khazrag che, dopo aver spodestato l’elemento ebraico un tempo dominante in città, si logorarono a lungo in una contesa fratricida, attestataci dalla poesia locale.
Il futuro profeta si sposa a circa venticinque anni con una ricca vedova meccana, Khadija, di cui era stato valente amministratore, e inizia a concedersi lunghi periodi di riflessione, spesso isolandosi sulle colline prossime alla città come erano soliti fare gli hunafa. Qui, in una notte speciale, fra il 26 e 27 del mese di ramadan, sente una voce che gli ingiunge «Leggi!». È l’inizio della lunga rivelazione di Allah, finita nel 632 con la sua morte.
Da questo momento la priorità di Muhammad è quella di proclamare l’unità e unicità di Dio. Riesce ad avere uno scarso seguito — la moglie e qualche amico — ma il suo messaggio su un dio solo, che abolisce le credenze tribali e sostiene l’uguaglianza degli uomini, gli causa l’ostilità della classe dirigente che vede messa in serio pericolo la centralità de La Mecca e della propria tribù.
Subisce ostracismi e qualche attentato tanto che allontana un gruppo di sostenitori mandandoli in Etiopia a cercare asilo presso il sovrano cristiano e infine decide di rifugiarsi a Yatrib accompagnato da alcuni fedelissimi. È il 622, l’anno dell’Egira, momento che l’islam riconosce come sua data fondativa. Grazie alle sue doti amministrative e diplomatiche, riesce a pacificare le tribù presenti in città e a essere riconosciuto in breve come leader socio-politico. Senza più ostacoli nel parlare del Dio uno e unico che si sta rivelando a lui attraverso la voce dell’angelo Gabriele, ottiene in breve molti proseliti. Diventa leader anche religioso della città e inizia un’opera di espansione verso le oasi e le tribù dei dintorni. Nei dieci anni successivi, cioè fino alla sua morte nel 632, guiderà circa diciannove guerre o, meglio, battaglie e razzie, con cui riesce ad assoggettare tutto il territorio, arrivando nel 630 a conquistare La Mecca. Nel 632 torna a La Mecca in pace per effettuare il primo «pellegrinaggio» intorno alla Ka’ba sottratta alla ritualità pagana e trasformata nella meta di uno degli obblighi religiosi del pio musulmano. Rientrato a Medina, presso Aisha (613/614-678/679), l’amatissima moglie sposata dopo la scomparsa di Khadija nel 619, muore i primi di giugno del 632.
Aisha era la figlia di Abu Bakr (573-634), uno dei primi convertiti, sposata dal Profeta quando aveva appena sei-sette anni e quindi subito affiancata dalla più adulta Ḥafṣa (604 ca.-665), figlia di un suo consigliere militare e diplomatico, ‘Umar (585 ca.-644), che sarà il suo secondo successore. In seguito, sposerà altre donne, tanto che nove mogli gli sopravviveranno. La sua particolare attenzione per il mondo femminile, oltre a rientrare nella consuetudine tribale pre-islamica, rappresenta una specifica caratteristica del Profeta che non si vergogna di dire che «due sole cose gli stanno molto a cuore: le donne e il profumo».
Nel 632 il Profeta muore a Medina senza figli maschi e si pone il problema della successione nella consapevolezza che Muhammad era stato profeta, i suoi successori sarebbero stati al massimo khalifa, califfo, «sostituto».
Ci sono opinioni diverse: la successione deve avvenire nella famiglia del Profeta oppure il successore deve essere scelto fra i primi seguaci della nuova religione o ancora si deve scegliere uno dei maggiorenti della città o della tribù dei Quraisch?
3. La successione di Muhammad
La prima scelta cade su Abu Bakr, suocero del Profeta perché padre di Aisha, e suo fedele compagno fin dai primi tempi. Abu Bakr sarà il primo dei quattro califfi ben guidati (Rashidun), tutti e quattro della tribù dei Quraisch e tutti parenti in qualche modo di Muhammad.
Abu Bakr, «il Veritiero», guida la comunità musulmana dal 632 al 634 domando le rivolte di quanti si ritenevano svincolati dai giuramenti fatti al Profeta dopo la morte di questi. Sue sono le prime incursioni nel regno dei Lakhmidi, in Iraq e in Palestina. Vive i primi dissensi della comunità. Sotto di lui restano i neoconvertiti, molti beduini, gli ausiliari di Medina. Gli si oppongono invece i più celebri e antichi compagni del Profeta. Muore a 73 anni designando come suo successore ‘Umar, già amico e consigliere di Muhammad nonché padre della terza moglie Hafsa.
‘Umar opera grandi conquiste passando dalle tradizionali razzie a vere operazioni militari compiute con un vero esercito e alla organizzazione di presìdi militari nei nuovi territori. Fonda Bassora, occupa Ctesifonte, capitale dei sassanidi, conquista la Siria con Damasco e nel 638 occupa Gerusalemme. Muore per mano di uno schiavo cristiano, probabilmente armato da una congiura di meccani invidiosi perché uomo onesto, grande condottiero e grande organizzatore. Alla congiura pare non sia estranea Aisha.
Gli succede ‘Uthman (574-656), marito di due figlie di Muhammad. La conquista militare sotto di lui continua, tanto che occupa la Tunisia e l’Armenia. ‘Uthman è noto per aver emanato molte norme: la datazione della nuova era musulmana a partire dall’anno dell’Egira, il 622; l’organizzazione dei corpi militari; l’attribuzione delle pensioni ai dominatori; l’applicazione di severe pene contro il lusso e l’uso del vino; l’emanazione di privilegi fiscali nei confronti degli arabi conquistatori; a lui si deve la prima stesura scritta del Corano affidata a un segretario del Profeta, tale Zayd ibn Ḥaritha (611 ca.- 666), aiutato da una commissione di cui facevano parte alcuni dei primi fedeli e seguaci di Muhammad. Una volta terminata la stesura del testo coranico, diede ordine che venissero bruciate tutte le copie o versioni diverse della rivelazione.
Uomo pio e devoto ma politicamente poco abile, accusato di favorire troppo il clan degli Omayyadi, vede crescere contro di sé l’opposizione guidata da Aisha, da Zubayr ibn al-Awwam (594-656), e da Ali ibn Abi Ṭalib (599-661), cugino e genero del Profeta avendone sposato la figlia prediletta Fatima bint Muhammad (605-633). Pur avendo favorito l’espansione in Asia Minore, continua a vivere a Medina lontano dal vero centro del potere lasciato in mano al valoroso generale, e governatore della Siria, Muhawiya ibn Abi Sufyan (603-680).
Nel 656 un gruppo di rivoltosi egiziani arriva fino a Medina, a loro si uniscono dissidenti di Kufa e di Bassora e insieme assaltano la sua casa e lo uccidono, incoraggiati da Aisha. Il gruppo vittorioso impone il giorno dopo Ali che, non condannando i sicari di ‘Uthman, si rende loro involontario complice e inizia ad attirare su di sé pesanti critiche all’interno della comunità. Convinto che questa nomina gli spettasse fin dall’inizio in quanto fedele delle prime ore e parente stretto del Profeta, non si rende conto della sua debolezza. Lontano dai centri del potere, è circondato da pochi soldati, non ottiene notizie di quanto avviene nelle province, soprattutto è estraneo ai fatti dell’Iraq dove Aisha si è rifugiata e dove cova rancore con Zubayr e Talha ibn Ubayd (?-656).
Molti membri della comunità reclamano la vendetta per il sangue di ‘Uthman e non ottenendo soddisfazione si legano a Muhawiya, ricco, potente e soprattutto comandate della strategica Siria.
4. La comunità si divide
Ali si scontra nella «battaglia del cammello» in Iraq contro Zubayr e Aisha e riesce a vincere: Talhah e Zubayr muoiono, Aisha si ritira a Medina. Intanto Muhawiya pretende il ruolo di califfo e la vendetta di ‘Uthman. Nel 661 a Siffin, nel Medio Eufrate, fra Siria e Mesopotamia, vi è un nuovo scontro, dove si versa sangue di fratelli musulmani: alcuni guerrieri, scandalizzati, innalzano sulla punta delle lance fogli del Corano in segno di pace. Si decide per un arbitrato che stabilisce la destituzione di entrambi. Ali accetta, Muhawiyah no e si proclama subito califfo citando un detto del Profeta secondo cui la umma non può stare neanche un giorno senza una guida.
I sostenitori di Ali non si rassegnano e nasce così il partito di Ali ovvero la shi‘a, da cui il movimento degli sciiti, che ancora oggi rappresenta l’8-9% del mondo islamico. Un altro gruppo di guerrieri spinge Ali a rifiutare l’arbitrato ma non ottenendo ascolto costituisce un gruppo molto rigorista e violento, i kharijiti. Riprende lo scontro fra Ali e Muhawiya ma Ali viene ucciso nella moschea di Kufa da un fanatico kharijita. Lascia due figli, Hasan ibn Ali (624/625-669-670) e Al-Ḥusayn ibn Ali (626-680). Hasan viene proclamato nuovo califfo dal gruppo degli sciiti stanziati soprattutto nella zona dell’Iraq. Questi, tuttavia, vende la carica a Muhawiya intascandone una lauta ricompensa. Il fratello Husayn riprende la guerra con le truppe di Kufa. Dopo breve tempo, cade in una trappola. Trovandosi alla Mecca riceve l’offerta di aiuto da parte dei kufani. Esce dalla città santa con un piccolo gruppo di seguaci per raggiungere le truppe promessegli, ma a Kerbela, anziché gli iracheni trova un gruppo di sicari che lo uccidono in un agguato.
Il fatto rappresenta un vero e proprio shock per tutta la comunità: sangue del Profeta è stato versato. Il giovane Husayn viene venerato come «principe dei martiri» da tutto il mondo islamico e in particolare dagli sciiti. Ancora oggi gli sciiti, fra il 10 e il 20 del mese di muharram, celebrano l’ashura, giorno di lutto e di digiuno.
Nel frattempo, Muhawiya è riconosciuto califfo della umma, la comunità dei sunniti — i suoi fedeli dichiarano di rifarsi alla sunna, ovvero alla tradizione del Profeta — e trasferisce la capitale da Medina a Damasco, zona strategicamente più rilevante, e nomina suo erede il figlio Yazid ibn Muawiya (645-683).
Alcune tappe importanti della successiva espansione del mondo arabo sono: 674, primo assedio a Costantinopoli; 700, arrivo allo stretto di Gibilterra: la località prende il nome da Amr ibn al-Aṣ (573 -663/664) comandante delle truppe arabe; 711, sbarco in Spagna; 712, conquista di Buqara; 713, conquista di Samarcanda; 714, attraversamento dei Pirenei; 732, battaglia di Poitiers contro Carlo Martello (690 ca.-741), dal quale gli arabi vengono sconfitti e costretti a iniziare una lenta ma progressiva ritirata.
Giovedì, 30 maggio 2024
Per approfondire
Massimo Campanini, Maometto, Salerno editrice, Roma 2020.
Centro Federico Peirone (a cura di), Islam. Storia, dottrina, rapporti con il cristianesimo, Elledici, Leumann (Torino) 2004.
Francesco Gabrieli, Gli Arabi, Le Lettere, Firenze 1987.
Albert Hourani, Storia dei popoli arabi, Mondadori, Milano 1991.
Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, 3 voll., Einaudi, Torino 2000.
Michael Lecker, Vite antiche di Maometto, Mondadori, Milano 2007.
Bernard Lewis, Gli Arabi nella storia, Laterza, Bari 2001.
Muhammad ibn al-Garir At-Tabari, Vita di Muhammad, a cura di Sergio Noja, Rizzoli, Milano 2002.
Sergio Noja, Storia dei popoli dell’islam, Mondadori, Milano 1993.
Tariq Ramadan, Maometto, Einaudi, Torino 2007