Eminenza Reverendissima e carissima,
difficile dirle ‘a Dio!’, senza commuoversi profondamente e senza scivolare un po’ nel sentimentale. Come salutare un maestro e un padre? Forse rinnovando l’affetto, chiedendo perdono per quel che non si è tesaurizzato del suo insegnamento, promettendo rinnovato impegno nello studio e nella preghiera, facendo salire dal profondo del cuore un inno di ringraziamento e gratitudine: a Lei e al Signore che l’ha messa sulla nostra strada.
Quando era nostro Arcivescovo, a Ferrara, era solito dire che la diocesi aveva preso possesso della sua povera persona: una delle tante illuminanti espressioni che ci hanno insegnato e consolato tanto. E Lei, di chi fosse una ‘persona umana’, ben se ne intendeva! La lucidità e la linearità logica del suo parlare e del suo insegnare è stata illuminante, e l’efficacia era rafforzata dalla partecipazione viva, non accademica, alla vicenda umana di ogni suo interlocutore. Crediamo che saremo in tanti a pensare di avere avuto con Lei un rapporto speciale, paterno e filiale, appassionato, quasi privilegiato: era la sua grande affabilità, riservata ma non distaccata. Riservato e umile, per davvero: cioè consapevole di una responsabilità ricevuta, di cui titoli e paramenti erano epifania dell’invisibile, e perciò pronto a spendersi fino alla fine, come Gesù. Quante volte abbiamo sovrapposto il suo modo di essere vescovo e cardinale all’atteggiamento del Signore subito dopo aver lavato i piedi a quella masnada sgangherata di pescatori duri di cervice, eppure amati fino allo spasimo: “Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono” [Gv 13, 13]. Riconoscere Lei era un modo per riconoscere Gesù e la sua Chiesa. Ben raramente abbiamo incontrato in altri il suo senso così alto della missione sacerdotale, “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” [Ef 3, 18] del dono del sacerdozio.
Dopo poche settimane dal suo ingresso a Ferrara ha avuto un assaggio della traccia che Gesù le preparava: un breve ricovero per una banale ma dolorosa indisposizione e il primo sacerdote da accompagnare all’incontro con il Maestro: era un parroco molto caro, colto e pio. Lo era andato a trovare negli ultimi giorni e – ci raccontava – si era quasi dispiaciuto di essersi lasciato sfuggire: beato te, caro confratello, che presto vedrai il Suo Volto! C’era tutto Lei stesso in quella esclamazione, innamorato di Cristo e disposto ad immolarsi.
Anche noi, oggi, sebbene tra le lacrime, La preghiamo di fissare il Volto Santo di Gesù e di implorare per tutti noi che l’abbiamo amata, ascoltata, ammirata il dono della perseveranza nella fede cattolica apostolica e romana, un grande amore per lo studio delle verità di fede, una indefessa carità per svolgere i compiti a noi affidati, come Lei ha sempre fatto.
Grazie, don Carlo, il Signore l’abbia in gloria!
Massimo e Chiara Martinucci