di Oscar Sanguinetti
La vita
Eugenio Pacelli nasce a Roma, nel palazzo di famiglia, il 2 marzo 1876, terzo di quattro figli, due maschi e due femmine, di Filippo (1837-1916) e di Virginia Graziosi (1844-1920). A nove anni viene iscritto al ginnasio-liceo Visconti di Roma, di orientamento squisitamente «laico», dove cresce a contatto con i rampolli della nuova classe dirigente romana. «[…] Una volontà ferrea, una austera integrità di costumi e di carattere: gentilissimo con tutti, socievole, anche se un po’ riservato. Era alto, per la sua età, magro, con gli occhiali. Studiosissimo, fornito di un’intelligenza vivida e equilibrata, ci sorprendeva per la sua prontezza in greco e in latino […]. Amava tutti i compagni e ne serbò sempre vivo e grato il ricordo»[1]. A causa della sua costituzione esile, ha a più riprese problemi di salute, che gli impongono pause nella frequenza scolastica.
Nell’ottobre del 1894 manifesta la sua vocazione religiosa alla famiglia. Lo stesso anno entra al Collegio Capranica di Roma e si iscrive a Teologia alla Gregoriana, dove si licenzia nel 1901. Studia poi teologia e a diritto all’Istituto Sant’Apollinare della Lateranense, nonché filosofia alla Sapienza dal 1895 al 1896.
Il 2 aprile 1899 viene ordinato sacerdote e l’anno dopo si laurea in Teologia e in Diritto Civile e in Canonico, alla Lateranense.
Il suo ministero spirituale comincia presso Chiesa Nuova, retta dai padri oratoriani, a pochi metri da casa sua. Come tutti i giovani preti, dà una mano al clero cittadino, collaborando alle liturgie, alla catechesi, all’assistenza spirituale alle comunità di religiose.
«Minutante»
Durante il secondo anno di Diritto, inizia l’apprendistato come «minutante», cioè estensore di discorsi, lettere e documenti, presso la Segreteria di Stato, dove in pochi anni «brucia» le tappe della carriera diplomatica: sottosegretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari nel 1911, pro-segretario l’anno seguente, segretario nel 1914, nunzio apostolico nel 1917, cosa che gli procura l’elevazione alla dignità episcopale il 13 maggio 1917.
Nunzio
Giunto il 26 maggio 1917 alla sede bavarese, il futuro Pio XII si dedicherà con tutte le sue forze a tentare una pacificazione — la sua divisa pontificale sarà «Opus justitiae pax» —, prima presso il re Ludwig III (1845-1921) e poi presso il Kaiser Guglielmo II (1859-1941). A lui toccherà di trasmettere al governo germanico la nota di Benedetto XV (1914-1922) ai capi dei Paesi in guerra, contenente il celebre appello a far cessare l’ormai «inutile strage».
Tutti i tentativi di pacificazione, sia quelli vaticani, sia quelli del beato Carlo d’Asburgo (1887-1922) non hanno però successo e la strage continua sino al crollo austro-tedesco. Il giovane nunzio si trova ben presto immerso nel tumultuoso dopoguerra, dominato dall’ingiustizia patita a Versailles, dalle insurrezioni bolsceviche — che lo toccheranno molto da vicino a Monaco —, dalla crisi economica e dall’ascesa impetuosa e violenta dell’hitlerismo.
La stagione tedesca del futuro pontefice ha termine nel 1929, allorché Pio XI (1922-1939) lo richiama a Roma e, dopo averlo rivestito della porpora, il 7 febbraio 1930 lo nomina segretario di Stato.
Segretario di Stato e successore di Pietro
Nella nuova veste il card. Pacelli intrattiene fitte relazioni con le istituzioni civili e religiose di tutto il mondo, cosa che gl’impone una mobilità straordinaria per i tempi e lo fa ricorrere anche a mezzi di trasporto fino ad allora insoliti per un cardinale, come l’aeroplano.
Pio XI muore proprio mentre si addensano più nere le nubi di un altro immane conflitto e il card. Pacelli, camerlengo pontificio, deve celebrarne le esequie e disporne la successione. Dal conclave-lampo — tre soli scrutini — che si tiene fra il 1° e il 12 marzo 1939 è proprio a lui a uscire Papa.
Il pontificato
Già poche settimane dopo la sua elezione, Pio XII deve confrontarsi con la nuova situazione europea. Egli conosce bene la nazione tedesca, la sua storia, la sua cultura, il suo «spirito», così come il movimento nazionalsocialista che ha visto nascere.
Nell’imminenza del conflitto, il 24 agosto 1939, il neoeletto rivolge un accorato appello ai Paesi che stanno per scendere in guerra e, una volta scoppiato il conflitto, si adopera per evitarne l’allargamento, per contenerne la crudeltà, per abbreviarne il corso, per mitigare le sofferenze dei combattenti, dei prigionieri, dei perseguitati di ogni religione e stirpe.
Il Papa manterrà una rigida equanimità fra i belligeranti: persino quando i tedeschi invadono l’Unione Sovietica nel 1941, Pio XII evita di associarsi alla «crociata anti-bolscevica» propagandata da Adolf Hitler (1889-1945) e, quando le sorti della guerra volgeranno a favore degli Alleati, egli si prodiga per attenuare lo spirito di vendetta dei vincitori.
Nel deserto di rovine materiali e morali in cui versa l’Europa dopo la fine delle ostilità la sua figura di Pontefice defensor civitatis si erge maestosa come autorità spirituale e come riferimento in temporalibus.
Il comunismo
La vittoria sovietica porta all’instaurazione di regimi di «socialismo reale» nell’Est europeo — dove Iosif Stalin (1878-1953) annienta intere classi sociali, deporta popoli, sopprime Chiese e comunità cristiane, reprime con la violenza ogni manifestazione religiosa e incarcera presuli e clero — minaccia il mondo libero.
Anche fuori d’Europa, il comunismo ateo miete nuove conquiste: nel 1949 l’immensa Cina, l’anno successivo la Corea del Nord, nel 1954 il Vietnam settentrionale.
In questi anni la Chiesa cattolica, gravemente impedita nella sua missione, si presenta non più come Chiesa dell’annuncio, bensì come Chiesa «con le braccia legate, con le labbra chiuse, la “Chiesa del silenzio”». In forza del Patto di Jalta che divide il mondo in due «blocchi», il mondo libero in sostanza abbandona i fratelli nella fede, gli anti-comunisti, i popoli oppressi, anche quando essi insorgono con la forza della disperazione, come gli ungheresi nel 1956.
Ma a costoro non viene mai a mancare l’energico sostegno, il commosso conforto, l’illuminazione, la fervida preghiera del Santo Padre, che sempre, «opportune et importune», leva la sua voce di pastore e di vicario di Cristo in loro favore.
Pio XII è anche l’anima della resistenza del popolo italiano alla minaccia di una ascesa al potere del socialcomunismo per via legale. Alla vigilia delle prime elezioni politiche libere nel 1948 tutto lascia prevedere una clamorosa vittoria del Fronte Popolare «pilotato» da Mosca, cosa che avrebbe portato l’Italia nell’orbita di Mosca oppure scatenato uno scontro civile di proporzioni imprevedibili. Grazie alla grandiosa mobilitazione dell’associazionismo cattolico promossa dal Papa — coordinato dai Comitati Civici creati in pochi mesi — il 18 aprile 1948 il Fronte è pesantemente sconfitto e i cattolici ottengono la maggioranza assoluta in Parlamento.
Pio XII e gli ebrei
All’inizio degli anni 1960 affiora l’accusa secondo cui Pio XII avrebbe taciuto davanti agli orrendi crimini commessi dai nazionalsocialisti tedeschi contro gli ebrei negli anni della guerra. Essa nasce con il dramma del comunista tedesco Rolf Hochhuth (1931-2020) Il Vicario, andato in scena nel 1963 e rapidamente replicato nei Paesi europei, si propaga grazie allo storico ebreo Guenter Lewy e, infine, a essa fa eco in Italia lo storico, ex prete divenuto acremente anti-clericale, Carlo Falconi (1915-1988).
La gravità dell’accusa, amplificata da una grandiosa campagna orchestrata dalla stampa liberal, suscita immediate reazioni in campo cattolico. Mons. Giovanni Battista Montini (1897-1978), il 20 giugno 1963, proprio il giorno in cui viene eletto Papa, scrive una lettera al settimanale cattolico inglese The Tablet[2] sostenendo che era impossibile convertire i nazionalsocialisti, soprattutto indurli ad attenuare la loro ostilità omicida contro il popolo ebraico nonché che una denuncia esplicita avrebbe arrecato maggior danno ai perseguitati ebrei.
Ma più forte smentita delle accuse viene però dalla pubblicazione degli Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, ordinata da san Paolo VI (1963-1978).
È vero che Pio XII sceglie la via dell’aiuto discreto ai perseguitati ebrei e non quella della condanna pubblica, ma lo fa proprio perché conosce bene la natura fanaticamente razzista e persecutoria del nazionalsocialismo.
Il magistero
Nel cuore del XX secolo Pio XII avverte lucidamente i pericoli insiti nei mutamenti della società occidentale e si sforza di illuminare ogni questione che si ponga applicando la dottrina della fede e la dottrina sociale. Non sempre tuttavia il prestigio della sua figura dolce e ieratica e la sua parola persuasiva riescono a conquistare gli intelletti e a smuovere le volontà. Un esempio tipico di questa renitenza è l’enciclica Humani generis del 12 agosto 1950, in cui il Papa svolge un’accurata descrizione e un accorato bilancio delle tendenze della cultura religiosa del tempo, individuando alcuni degli errori più pericolosi per la fede cattolica, che però riaffiorano intatti pochi anni dopo.
Fra i suoi documenti di ambito ecclesiale spiccano tre encicliche: la Mystici corporis, sulla struttura corporata della Chiesa; la Divino afflante spiritu, sulla Sacra Scrittura, e, infine, la Mediator Dei, sulla liturgia, le prime due del 1943, la terza del 1947.
Fra i temi spirituali più toccati da suo magistero si situano la devozione a Maria e quella al Sacro Cuore. A Pio XII si deve la definizione del dogma dell’Assunzione della Vergine, proclamata a Roma il 10 novembre 1950. Egli è altresì attento scrutatore delle apparizioni di Fatima e si fa attento ascoltatore delle richieste di Maria, consacrando nel 1942, in pieno conflitto mondiale, il mondo al Cuore della Vergine e, il 7 luglio 1952, «tutti i popoli della Russia» al Cuore Immacolato.
Al culto del Sacro Cuore di Gesù, Pio XII nel 1956 dedica invece un documento importantissimo dal punto di vista teologico e pastorale, l’enciclica Haurietis aquas in gaudio.
Quanto al magistero sociale vi è una frase, pronunciata nel radiomessaggio di Pentecoste del 10 giugno 1941, che lo riassume tutto: «Dalla forma data alla società, consona o no alle leggi divine, dipende e s’insinua anche il bene o il male nelle anime»[3]. Egli non sviluppa nuova dottrina, preferisce i richiami, le messe a fuoco, la chiarificazione di dubbi: l’ordine della città dell’uomo è stato disegnato dai Papi prima di lui, ed egli si limita a dire come ripristinarlo nel suo tempo.
Pio XII sa, altresì, che la società occidentale è avviata sulla strada della massificazione e afferma: «Il popolo vive e si muove per vita propria; la massa è per sé inerte e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono»[4]. Solo il contrappeso di élite irraggianti virtù e competenze intellettuali e morali la democrazia sociale del dopoguerra può avere qualche chance di resistere alla massificazione.
Martedì, 12 novembre 2024
Conclusione
Pio XII muore nella residenza di Castelgandolfo nel 1958, a breve distanza dal Concilio Vaticano II, che segna una svolta nella vita della Chiesa e nei rapporti di questa con il mondo moderno.
Tuttavia il suo magistero e la sua pastorale vanno letti con l’ottica del suo tempo e non in confronto o in contrapposizione con i pontificati successivi o con la Chiesa di oggi. E neppure, d’altro canto, in chiave nostalgica, come l’emblema di una Chiesa tutta luci e niente ombre, come a taluni piace credere.
Per approfondire
— Giovanni Maria Vian (a cura di), In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia, Marsilio, Venezia 2009.
— Pierre Blet S.J.; Angelo Martini S.J. e Burkhart Schneider S.J., Actes et documents du Saint-Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale, 11 voll., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1965-1981.
— Philippe Chenaux, Pio XII. Diplomatico e pastore, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2004.
[1] Lucio D’Orazi, Pio XII. Eugenio Pacelli. Attualità di un Papa inattuale, Conti, Bologna 1984, p. 48.
[2] Cfr. Giovanni Maria Vian, Premessa a Idem (a cura di), In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia, Marsilio, Venezia 2009, cit. in Idem, Quando si oscura l’immagine di un grande Papa, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, 7-6-2009.
[3] Cfr. Pio XII, Radiomessaggio di Pentecoste nel 50° anniversario della «Rerum novarum», del 1° giugno 1941.
[4] Idem, Radiomessaggio ai popoli del mondo intero, del 24 dicembre l944.