Massimo Introvigne, Cristianità n. 260 (1996)
Perché, da qualche tempo, la letteratura contro le “sette” si esprime con toni alterati nei confronti di gruppi cattolici? Finalmente, a pagina 73 dell’edizione italiana del discusso volume dell’inglese Gordon Urquhart Le armate del Papa — sottotitolo: Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione. I segreti delle misteriose e potenti nuove sette cattoliche — (1), si identifica chi è veramente il nemico: gli studiosi universitari di nuovi movimenti religiosi — in Inghilterra simboleggiati da INFORM, Information Network Focus on Religious Movements, “Rete di informazioni sui nuovi movimenti religiosi” —, che ha sede presso la London School of Economics ed è diretto da una sociologa prestigiosa, Eileen Barker — che, negando la definizione di “setta” tipica dei cosiddetti movimenti anti-sette, “falsifica[no] pericolosamente il problema”. Le armate del Papa costituisce uno dei tanti prodotti della letteratura contro le “sette cattoliche”, che ormai non attacca più soltanto un movimento o due, ma se la prende con qualunque realtà cattolica che abbia il difetto di esistere, di prosperare e di mettere in discussione il laicismo dominante. In Francia abbiamo avuto — per limitarci al 1996 — gli attacchi all’Office Culturel de Cluny, un gruppo di animazione culturale di ispirazione cattolica incluso nel gennaio del 1996 nella lista delle “sette pericolose” del rapporto parlamentare Les Sectes en France (2) e difeso da diversi vescovi (3); quindi il volume di Thierry Baffoy, Antoine Delestre e Jean-Paul Sauzet, Les Naufragés de l’Esprit. Des sectes dans l’Église catholique (4), che definisce “sette” alcune comunità sorte nell’ambito del Rinnovamento nello Spirito, volume condannato da un documento della Conferenza episcopale francese (5). In Italia arrivano ora le traduzioni di Le armate del Papa e di Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei di María del Carmen Tapia (6), che da anni conduce una sua personale campagna di denigrazione contro l’Opus Dei e il suo fondatore (7). La ricetta per pubblicare un libro di successo dove un movimento o una realtà cattolica viene additata al pubblico ludibrio come “setta” è semplice: si prendono uno o più “ex” del movimento in questione, a cui si offre una splendida occasione per regolare vecchi conti; si traducono i loro resoconti — avendo cura di impiegare termini come “setta distruttiva”, “lavaggio del cervello”, “violazione dei diritti della persona” — nel gergo dei movimenti anti-sette, e si chiede aiuto a questi ultimi per lanciare i volumi che ne risultano. Da questa ricetta nessuno è salvo: perfino le suore di Madre Teresa di Calcutta — che sembrerebbe veramente al di sopra di ogni sospetto — diventano una setta nel libro di Christopher Hitchens The Missionary Position. Mother Theresa in Theory and Practice (8), che parte come di consueto dalle “rivelazioni” dei soliti “ex” per produrre un volume che contiene già nel titolo una volgare allusione sessuale e di cui davvero non si sente il bisogno di una traduzione italiana. Christopher Hitchens, almeno, scopre le carte: in un’intervista apparsa sul numero dell’autunno del 1996 di Free Inquiry, il giornale degli “umanisti secolari” americani, dichiara di “ […] non essere neutrale sulla religione. Sono ostile a essa. Penso che la religione non sia solo falsa, ma veramente cattiva. E non mi riferisco solo alle religioni organizzate, ma alla credenza religiosa in se stessa” (9). Autori come Gordon Urquhart o María del Carmen Tapia professano a parole un untuoso rispetto per la Chiesa cattolica, che vorrebbero soltanto “liberare” dalle “sette” presenti nel suo seno: perciò sono meno ingenui, e quindi più insidiosi.
Vi sono due modi per rispondere a questo genere di libri. Il primo — solitamente inefficace — consiste nell’accettare le loro premesse metodologiche — accettare, cioè, la definizione di “setta” dei movimenti anti-sette, e ammettere che è possibile giudicare una realtà sulla base delle sole testimonianze degli “ex” —, dichiarando però che sono male applicate all’Opus Dei, a Comunione e Liberazione o ai Focolarini; questi ultimi sono il principale bersaglio di Gordon Urquhart, egli stesso ex focolarino. Si potranno anche usare argomenti ad hominem, che spesso non mancano: non sempre, infatti, l’”ex” che si presenta ad attaccare un movimento è del tutto aperto a raccontare anche i peccatucci per cui ne è stato escluso. Ma presso la maggioranza dei lettori questi argomenti lasciano il tempo che trovano. In realtà, una volta accettate le premesse, difendersi diventa impossibile. È necessario, allora, attaccare le premesse stesse con cui è costruita la letteratura anti-sette, di ispirazione laicista e diversa, naturalmente, dalla vigilanza critica cristiana nei confronti dei nuovi movimenti religiosi, atteggiamento che i sociologi chiamano piuttosto “contro le sette” (10). Queste premesse sono in genere contestate dagli studiosi accademici di movimenti religiosi, e per questo Gordon Urquhart — come, in altre sedi, María del Carmen Tapia — li attacca così violentemente. Anzitutto, mentre è vero che gli “ex” che decidono di cambiare religione o movimento costituiscono un problema umano da affrontare con tatto e con compassione sul piano pastorale, non è vero che un libro costituito esclusivamente dalle testimonianze degli “ex” possa essere considerato un’analisi accettabile di un movimento religioso, cattolico o non cattolico. Nessuno studioso accademico degno di questo nome — checché se ne dica — ignora le testimonianze degli “ex”; ma nessuno studio scientifico serio si fonda soltanto su queste testimonianze, così come nessuna accusa si regge in tribunale soltanto sui “pentiti”. Sarebbe serio uno studio sul sacerdozio cattolico costruito intervistando esclusivamente ex preti?
In secondo luogo, la definizione di “setta” proposta dai movimenti anti-sette, che è alla base di libri come quelli di Gordon Urquhart e di María del Carmen Tapia, è del tutto inaccettabile. Distingue, infatti, le Chiese o i movimenti religiosi accettabili dalle “sette” utilizzando soltanto criteri quantitativi e non religiosi, e ignorando i criteri qualitativi e religiosi. Gli elementi dottrinali vengono messi da parte per concentrarsi su criteri non dottrinali, che dovrebbero permettere di identificare la “setta” pericolosa. Al centro di tutto sta la nozione di “lavaggio del cervello”, di cui Gordon Urquhart mantiene perfino il nome — “Io credo nel lavaggio del cervello — afferma, invocando ancora una volta i diritti dell’”ex”, a proposito dei Focolarini — perché l’ho sperimentato di persona” (11) —, mentre María del Carmen Tapia —come Christopher Hitchens nel suo furibondo attacco a Madre Teresa — si rende almeno episodicamente conto che l’etichetta “lavaggio del cervello” è oggi del tutto squalificata negli ambienti scientifici, e fa riferimento alle cosiddette teorie “di seconda generazione”, che evitano la vecchia etichetta, ma ne mantengono la sostanza dietro espressioni nuove come “destabilizzazione mentale”, “manipolazione mentale” o “pratiche totalitarie”. Invano: fin dal 1987 l’American Psychological Association ha dichiarato ufficialmente che le teorie del “lavaggio del cervello” — di prima o di seconda generazione — applicate a movimenti religiosi non sono scientifiche (12), e da allora i tribunali americani le rifiutano sistematicamente, allineandosi così del resto alla Corte Costituzionale italiana che fin dal 1981 aveva concluso che il plagio non esiste, eliminando il relativo reato dal nostro ordinamento. Ma il difetto sta piuttosto nell’impostazione che nell’esecuzione. È serio studiare un movimento religioso con criteri soltanto quantitativi, eliminando cioè dallo studio tutte le sue caratteristiche specificamente religiose?
Se si vuole risalire, al di là degli argomenti di circostanza, al cuore del problema, occorre quindi mettere in discussione le premesse stesse da cui partono libri come quelli di Gordon Urquhart o di María del Carmen Tapia. Naturalmente vi è un prezzo da pagare: una volta rifiutata l’accettazione acritica di quanto raccontano gli “ex”, le teorie del “lavaggio del cervello” e la definizione quantitativa di “setta” a proposito dei Focolarini, dell’Opus Dei o delle suore di Madre Teresa di Calcutta, non sarà più possibile utilizzare le stesse teorie neppure per criticare i testimoni di Geova o i seguaci del reverendo Moon. Forse non è un gran male: anche nei confronti di questi gruppi anni di esperienza insegnano che le critiche quantitative e non religiose lasciano il tempo che trovano, mentre soltanto prendendo sul serio le dottrine dei nuovi movimenti religiosi e criticandole sul piano, appunto, religioso è possibile difendere seriamente la fede cattolica.
Massimo Introvigne
* Articolo anticipato, senza note e con il titolo redazionale Ma il cattolico non va alla setta, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, anno XXX, n. 1, 2-1-1997, p. 18.
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(1) Gordon Urquhart, Le armate del Papa. Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione. I segreti delle misteriose e potenti nuove sette cattoliche, Ponte alle Grazie, Firenze 1996, trad. it. di The Pope’s Armada, Bantam Press, Londra 1995.
(2) Assemblée Nationale, Les Sectes en France. Rapport fait au nom de la Commission d’enquête sur les sectes (document n. 2468) – président: M. Alain Gest, rapporteur: M. Jacques Guyard, député, Documents d’information de l’Assemblée Nationale, Parigi 1996; cfr. una critica in Giovanni Cantoni e Massimo Introvigne, Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”. Con appendici, Cristianità, Piacenza 1996; e M. Introvigne e J. Gordon Melton (a cura di), Pour en finir avec les sectes. Le débat sur le rapport de la commission parlementaire, 3a ed., Dervy, Parigi 1996.
(3) Cfr., per esempio mons. Gérard Daucourt, vescovo di Troyes, Lettre à Monsieur Philippe Séguin, Président de l’Assemblée Nationale et à Messieurs Robert Galley, Gérard Menuel, Pierre Micaux, députés de l’Aube, del 6-2-1996; e mons. Georges Lagrange, vescovo di Gap, Lettre à Monsieur Alain Gest, Président de la Commission d’enquête sur les sectes, del 5-2-1996. Sugli attacchi a un’altra associazione cattolica, la Société Française pour la Défense de la Tradition, Famille et Propriété-TFP, nel rapporto Les Sectes en France, cfr. Marco Tangheroni, La TFP francese è una “setta”?, in Cristianità, anno XXIV, n. 254-255, giugno-luglio 1996, pp. 7-12.
(4) Thierry Baffoy, Antoine Delestre e Jean-Paul Sauzet, Les Naufragés de l’Esprit. Des sectes dans l’Église catholique, Seuil, Parigi 1966; cfr. una critica nel mio I naufraghi del buon senso, in Cristianità, anno XXIV, n. 254-255, cit., pp. 13-15.
(5) Cfr. A proposito di un libro sulle comunità cattoliche nate dal Rinnovamento. Dichiarazione della Conferenza Episcopale Francese, del 14-5-1996, trad. it., ibid., p. 15.
(6) María del Carmen Tapia, Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei, Baldini & Castoldi, Milano 1996, trad. it. di Tras el umbral. Una vida en el Opus Dei, Ediciones B, Barcellona 1994.
(7) Sulle campagne contro l’Opus Dei come “setta”, cfr. il mio Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1995, pp. 157-177.
(8) Christopher Hitchens, The Missionary Position. Mother Theresa in Theory and Practice, Verso, New York-Londra 1995.
(9) Matt Cherry, An Interview with Christopher Hitchens on Mother Theresa, in Free Inquiry, vol. 16, n. 4, autunno 1996, pp. 53-58 (p. 57).
(10) Sulla differenza fra movimenti “anti-sette” e “contro le sette”, cfr. il mio Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, cit., pp. 142-156.
(11) G. Urquhart, op. cit., p. 73. Nella stessa pagina — e anche nell’ed. originale inglese, p. 76, dunque non si tratta di un errore del traduttore italiano — l’autore cita un volume dei giornalisti Peter Hounam e Andrew Hogg sulla School of Economic Science, un gruppo londinese ispirato alle teorie di Georges Ivanovitch Gurdjieff, che cita come Secret Sect. In realtà un volume con questo titolo non esiste; il riferimento esatto è all’opera di Peter Hounam e Andrew Hogg, Secret Cult. A Full Exposé of a Strange and Destructive Organization that is Penetrating the Corridors of Power, A Lion Paperback, Tring-Belleville-Sydney 1985. Si tratta di uno solo fra molti esempi di errori fattuali dell’opera.
(12) Cfr. American Psychological Association (APA), Board of Social and Ethical Responsibility, Memo al comitato DIMPAC (Deceptive and Indirect Methods of Persuasion and Control), APA, Washington 11-5-1987.