1. Mondo sciita
Dopo il 661, con il Trattato di Siffin — una località sul fiume Eufrate, vicino a Raqqa — e l’omicidio del califfo Ali, la storia dell’islam segue due linee diverse. Da un lato il mondo «sciita», dall’altro quello «sunnita».
I seguaci di Ali considerarono prioritaria la successione familiare, quindi, sostennero che il capo della comunità poteva essere solo chi portava nelle vene sangue del Profeta e di sua figlia Fatima. Tutti costoro, detti «sciiti», furono d’accordo nel riconoscere gli stessi imam fino al 715 circa; in seguito, un gruppo riconobbe Zaid ibn Ali (694-740) al posto del fratello maggiore Muhammad al-Baqir (688-732). Questo gruppo è conosciuto con il nome di«zayditi».
Gli altri sciiti continuarono a riconoscere i medesimi califfi sino a Ja‘far al-Sadiq (700-765) a cui doveva succedere il figlio Isma‘il (?-762), che morì prima di lui, causando una crisi di successione, risolta da alcuni in favore del figlio minore di Ja‘far, Musa al-Kazim (745-799), mentre altri considerarono Isma‘il come (sesto) imam e suo figlio Muhammad come legittimo successore. In questo gruppo alcuni considerarono Isma‘il, altri il figlio Muhammad, come l’imam “scomparso” o nascosto. I seguaci di Isma‘il vengono chiamati «isma‘iliti» e al loro interno una corrente importante è quella dei «settimani», che riconoscono sette califfi, che vanno da Ali al figlio di Isma‘il, Muhammad.
Il resto degli sciiti riconobbe come legittimi imam i personaggi indicati nella linea di discendenza che passa per Musa al-Kazim sino a Muhammad al-Muntazar (868-874), scomparso a Samarra all’età di sei — forse di nove — anni, naturalmente senza lasciare progenie. Il piccolo diventa così per i suoi seguaci l’«imam nascosto» che tornerà prima della fine del mondo, in qualità di mahdi, per restaurare il vero islam. I seguaci di questo movimento si chiamano «imamiti» o anche «duodecimani», perché, contando gli imam legittimi da Ali fino a Muhammad al-Muntazar, si arriva al numero di dodici. Troviamo così tre principali correnti all’interno del mondo sciita: zayditi, isma‘iliti (o settimani) e imamiti (o duodecimani).
Dall’874 il mondo sciita aspetta che l’imam nascosto torni sulla terra e con lui si manifesti la gloria dell’islam puro. A questo riguardo vi è stato il caso del califfato fatimide dell’Egitto, che ebbe una certa importanza fra il X e l’XI secolo, e ogni tanto personaggi particolarmente carismatici hanno assunto una certa fama e avuto un seguito anche politico, ma nessuno finora ha mai rivendicato per sé questo ruolo, neanche l’ayatollah Ruḥollah Moṣṭafavi Mosavi Khomeyni (1902-1989) nell’Iran del 1979.
Tuttavia, questa impostazione ha portato gli sciiti a creare una organizzazione religiosa più gerarchica all’interno del gruppo, dove coloro che detengono il sapere basato sul Corano assumono un vero e proprio potere decisionale. Lo sciismo ha un clero organizzato, preparato in università specifiche di scienze islamiche o nelle hawza (scuole teologiche). Per diventare shaykh c’è bisogno di una cerimonia, mentre, per salire nella gerarchia, il credente deve continuare a studiare, fino a diventare mullah e poi ayatollah. Nello sciismo l’ayatollah («ayatu-l-Lah», segno di Dio) è considerato il più alto dignitario del clero. Questo titolo è conferito a coloro che hanno ottenuto meriti, sia per proclamazione, sia per nomina da parte di un altro ayatollah. Per diventare ayatollah, oltre agli studi specifici e una grande conoscenza della religione, il fedele deve essere un discendente diretto di Muhammad.
Dopo la parentesi egiziana dei secoli X-XI, la realtà politica che oggi riconosce lo sciismo come religione di Stato è la Repubblica Islamica dell’Iran, che tende ad assumere un ruolo di leadership nell’area mediorientale.
2. Mondo sunnita
Nel 750 la famiglia araba degli Omayyadi lasciò il potere ad Abu l-Abbas al-Saffa (722-754), lontano discendente per ramo collaterale del Profeta, che aveva guidato una rivolta dal Khorasan — ampia zona dell’Iran che si spingeva fino a Kabul, in Afghanistan — denunciando l’islam corrotto della capitale Damasco. Noto per la sua durezza, pare che, dopo aver sconfitto gli ultimi omayyadi in Egitto, abbia organizzato un banchetto di pacificazione durante il quale fece uccidere tutti i nemici. Morto giovanissimo, probabilmente di vaiolo, lasciò il potere al fratello Abu Ja’far Abd Allah al Mansur (712-775). Il nuovo califfo dispose la fondazione di Baghdad, sulle rive del Tigri, poco lontano dall’antica Babilonia, e vi spostò la capitale del Califfato; la città crebbe in poco tempo e restò per secoli una vera metropoli. Gli succede Harun al-Rashid (766-809), grande protettore della cultura, costruttore di scuole e di moschee, ma dopo di lui iniziò un lento declino del potere e del prestigio della dinastia.
Gli interessi della dinastia, rivolti sempre più a oriente, determinarono un veloce disinteressamento per le province occidentali, tanto che presto la Spagna (nel 756), il Marocco (nel 788) e la Tunisia (nel 800) divennero virtualmente indipendenti con dinastie locali. Seguì la stessa sorte l’Egitto — che governava anche la Siria —, che nel 868 finì sotto la guida di uno schiavo turco.
La Spagna restò sotto discendenti degli omayyadi fino al 1086 quando una famiglia africana, gli Almoravidi, prese il comando guidando la lotta contro la Reconquista spagnola. A metà del XII sec. subentrò una dinastia bèrbera, quella degli Almohadi, che tentò di resistere contro i re ispanici fino alla fine, nel 1492.
L’Africa settentrionale subì una continua frammentazione, con sporadici regni sunniti, kharijiti, e sciiti fino all’affermarsi in Egitto della famiglia dei Fatimidi (969-1171).
Presto il Califfo si trovò a governare veramente solo l’Iraq, accontentandosi di riconoscimenti formali da parte delle province. A metà del X secolo la dinastia buyide, che controllava l’Iran occidentale, invase Baghdad, riducendo il califfo a un fantoccio nelle mani di maestri di palazzo o di comandanti delle forze armate con il titolo prestigioso ma inutile di «Amir al-Mu’minin» (comandante dei credenti). Il califfato era morto, ne sopravviveva solo il nome.
L’Egitto viene riportato nell’ambito sunnita da Ṣalaḥ al-Din ibn Ayyub (1138-1193), noto come «il Saladino», valoroso guerriero curdo nato a Tigrit nella famiglia degli Ayyub, che, dopo aver conquistato Baghdad, occupa anche al-Madinat al-Qahira (la città vittoriosa), oggi Il Cairo.
Dopo avere sconfitto i crociati alla battaglia di Hattin, nei pressi di Tiberiade, del 1187, e riconquistata Gerusalemme, muore nel 1193 e il suo califfato si frammenta tra figli e fratelli, tanto da non poter più riconoscere un unico califfo fino al 1250 quando l’Egitto e l’ampia fascia annessa cadono nelle mani dei mamelucchi, schiavi dell’ultimo discendente ayyubide morto senza eredi.
Dal IX al XI secolo nelle zone orientali — la Transoxiana di Alessandro Magno (356 -323 a.C.) oggi corrispondente a Uzbekistan, Tagikistan e regioni sud-occidentali del Kazakistan — si alternano governi dei Tahiridi e dei Samanidi, famiglie fedeli agli abbasidi, mentre in Iran dalla metà del X alla metà dell’XI secolo prendono il potere gli sciiti Buwayhidi, che riusciranno per poco tempo a insediarsi anche a Baghdad.
3. Turchi selgiuchidi e mongoli
In tutto il Medio Oriente all’inizio del XI secolo compare una popolazione ancora in parte nomade, proveniente dall’Asia centrale, i turchi selgiuchidi, molto forti in battaglia ma formalmente sottomessi al superstite potere abbaside. Essi riescono a imporsi su parte dell’Iran, ponendo la loro capitale a Isfahan, e da qui si muovono verso l’Anatolia e la Palestina. Convertiti all’islam, imporranno per decenni razzie e vessazioni alle popolazioni locali e ai pellegrini diretti verso la Terra Santa, tanto che la loro presenza sarà una delle cause delle crociate. Un secolo dopo a loro subentra un’altra popolazione asiatica, anch’essa neo-convertita all’islam, i mongoli guidati da Gengis Khan (1162-1227), che porranno fine alla dinastia abbaside.
Nel 1258 la capitale Baghdad fu conquistata e devastata dai Mongoli guidati da Hulagu (1217-1265) il quale, facendo uccidere l’ultimo abbaside, al-Mustaʿṣim (1213-1258), fece estinguere per sempre il califfato. Tuttavia, secondo alcuni storici invece il califfato rimase in vita in quanto un ramo secondario abbaside sopravvisse e mantenne viva la carica. Abu l-Qasim Aḥmad (?-1265) era lo zio del citato al-Mustaʿṣim, della dinastia abbaside, e, quindi, era titolato a ricevere la carica di califfo, che infatti assunse con il nome di al-Mustansir. Avrebbe dovuto andare a Baghdad a farsi riconoscere ma si scontrò rovinosamente con i mongoli e morì nella battaglia di al-Anbar, presso l’Eufrate. Il suo giovane e fidato collaboratore Abu l-ʿAbbas Aḥmad riuscì a scampare e a fuggire al Cairo. Qui, il 22 novembre 1262, il locale governatore mamelucco Baybars lo ricevette e il venerdì successivo lo riconobbe Califfo col il titolo onorificodi «al-Ḥakim bi-amr Allah» (il governante per decreto di Dio) garantendo così la continuità della carica. Questa carica rimase assolutamente formale fino al 1517 quando l’ottomano Selim II (1524-1574) entrò a il Cairo ponendo fine all’indipendenza amministrativa dell’Egitto e sottomettendo tutta la regione al potere turco. I vincitori trasferirono tutti gli emblemi del potere califfale abbaside — mantello e spada del Profeta (burda) — a Istanbul, nella residenza sultanale del Topkapi. Da questo momento il sultano turco si vantò anche del titolo di califfo e, in un contesto un po’ confuso, nessuno contestò ma neanche riconobbe questo passaggio della carica dal mondo arabo a quello turco.
4. Turchi ottomani
L’area mediorientale tra la fine del XIII e l’inizio del XIV si trovò divisa in tanti piccoli emirati sottomessi a fasi alterne al governo mongolo e a quello selgiuchide. Alla fine del XIII secolo il condottiero Osman I (1254-1326), da cui l’appellativo di Ottomani, bey (governatore) della Bitinia, iniziò ad ampliare i suoi domini occupando il territorio anatolico dei selgiuchidi e si nominò Califfo.
Dall’Anatolia nord-occidentale i suoi discendenti si espansero velocemente nei Balcani, in Asia centrale, in Yemen e, in Africa, in Eritrea e in Algeria. Nel 1453, sotto il comando di Maometto II (1432-1481), posero fine all’impero di Bisanzio. L’impero raggiunse l’apice con Solimano I (1494-1566) divenendo un territorio multietnico, multiculturale, multireligioso, centro fondamentale per i commerci fra Oriente e Occidente.
Nel secolo XVIII si verificò un lento ma inesorabile declino nei commerci e nell’arte militare che portò il Califfato a indebolirsi sempre più fino a essere potenziale terreno di conquista per le potenze europee. Da Napoleone Bonaparte (1769-1821) all’inizio del Novecento, l’Impero ottomano subì progressive ma inesorabili erosioni fino alla scomparsa, decretata dai Paesi vincitori della Prima Guerra Mondiale.
Nel 1924, il 3 marzo, con un decreto presidenziale, Mustafa Kemal (1881-1938), presidente della neonata Repubblica Turca, abolì definitivamente il Califfato e i suoi poteri furono trasferiti alla Grande Assemblea Nazionale della Turchia.
Il titolo fu poi rivendicato dal re Hussein bin Ali (1854-1931) dell’Hijaz (Penisola Arabica), leader della rivolta araba, ma il suo regno fu sconfitto e annesso da Abdulaziz bin Abdul Rahman Al Saud (1875-1953) nel 1925.
Il titolo da allora è vacante ed è oggetto di rivendicazioni da parte gruppi radicali del mondo islamico che vedono nell’età dell’oro dell’islam l’unica possibile soluzione alla crisi profonda che il mondo musulmano sta da molti decenni attraversando.
Per approfondire:
Silvia Scaranari, L’islam nella storia, dal sito di Alleanza Cattolica
Albert Hourani, Storia dei popoli arabi, Mondadori, Milano 1991.
Centro Federico Peirone (a cura di), Islam. Storia, dottrina, rapporti con il cristianesimo, Elledici, Leumann (Torino) 2004.
David Cook, Storia del jihad. Da Maometto ai giorni nostri, Einaudi, Torino 2007.
Ira M. Lapidus, Storia delle società islamiche, Einaudi, Torino 2000.
Henri Laoust, Les Schisme dans l’islam, Payot, Parigi 1983.
Bernard Lewis, Gli arabi nella storia, Laterza, Bari 2001.
Claudio Lo Jacono, Storia del mondo islamico. Il Vicino Oriente (VII-XVI secolo), Einaudi, Torino 2003.
Sergio Noja, Storia dei popoli dell’islam, Mondadori, Milano 1993.
Silvia Scaranari, Jihad. Significato e attualità, Edizioni Paoline, Milano 2016.
Silvia Scaranari, Shari’a. Legge sacra, norma giuridica, Edizioni Paoline, Milano 2018. Giorgio Vercellin, Jihad. L’islam e la guerra, Giunti, Firenze