La sinistra italiana denuncia presunte “occupazioni”, mentre vuole mantenere a tutti i costi la sua egemonia culturale
di Oscar Sanguinetti
C’è un detto a Napoli che dice all’incirca — non so trascrivere il dialetto locale — “chiagne e fotte”, che significa all’incirca “lamèntati e nel frattempo colpisci basso”.
Mi pare che sia questo il succo della polemica che, da quando si è insediato il governo di centrodestra e la bandiera rossa è stata ammainata dalle torri del potere, di fatto riempie pagine e pagine dei giornali e, in generale, ostruisce i canali del sistema comunicativo mass (e social) mediatico.
Le sinistre, un tempo egemoni, hanno perso “qualche” posizione di potere nel modulare i loro messaggi distorcenti, indirizzati a una opinione pubblica sempre più influenzabile dagli strumenti di comunicazione di massa — basti pensare alla figura dell’“influencer” e al suo peso crescente, come rivelano vicende di cronaca ancora recenti —, e usano quelle loro rimaste per strillare alla dittatura, al monopolio, alla censura, al regime, al complotto, al pericolo.
Ma la realtà è un’altra. Se è vero che le sinistre post-comuniste hanno subito qualche smagliatura nella coriacea corazza del loro strapotere mediatico, conservano tuttora la maggior parte delle “cattedre” — di cui il talk show è la riedizione 2.0 — tanto nella sfera comunicativa pubblica quanto in quella privata.
Ho provato a fare una breve rassegna — ovviamente imperfetta e parziale — delle principali “antenne” che popolano l’etere ai nostri giorni. La situazione che ne emerge è la seguente.
Per limitarci ai canali televisivi — dunque escludendo le radio nazionali e locali e i social media — uomini e donne di sinistra partitica o culturale animano le principali trasmissioni serali. Tralascio altresì le varie “vita in diretta” e le varie “domeniche in”: ci concentriamo sulle trasmissioni specificamente dedicate a formare l’opinione politica, e non solo, degli italiani.
Elenco alcuni di questi “salotti”: 1) Massimo Gramellini (In altre parole, La 7); 2) Giovanni Floris (Di Martedì, La 7), dal 2014; 3) Lilli Gruber (Otto e mezzo, La 7; giornaliero); 4) Fabio Fazio (Che tempo che fa, ora su Nove), dal 2003; 5) Bianca Berlinguer (È sempre Cartabianca, Rete 4), dal 2016 su Rai3; 6) Corrado Formigli (Piazzapulita, La 7); 7) Serena Bortone (Che sarà…, Rai 3); 8) Sigfrido Ranucci (Report, Rai 3); 9) Diego Bianchi (“Zoro”) (Propaganda live, La 7); 10) Corrado Augias (La Torre di Babele, La 7); 11) Marco Damilano (Il cavallo e la torre, Rai 3).
Dall’altra parte, a sostegno del governo “autoritario”, avremmo: 1) Bruno Vespa (Porta a porta, Rai 1), il talk più longevo; 2) Paolo Del Debbio (Dritto e rovescio, Rete 4); 3) Mario Giordano (Fuori dal coro, Rete 4); 4) Nicola Porro (Stasera Italia, Rete 4).
Dunque, facendo un bilancio, di sapore calcistico — che ovviamente non esaurisce il problema, ma lo sostanzia —, siamo 11 a 4, e nell’area pubblica 4 a 1.
Questo è quanto, et de hoc satis. Non ho considerato, peraltro, le presenze “volanti” di ospiti “orientati”— autentico “soccorso rosso” dell’informazione — che queste rubriche prevedono: uomini di partito, noti intellettuali, uomini di spettacolo, conduttori di altri talk — attuali o ex, come Lucia Annunziata, Michele Santoro, Marco Travaglio, Gad Lerner, Davide Parenzo — e, ancora, giornalisti e letterati. Quanto al “giornalista che intervista il giornalista” — cosa che accade solo da noi: all’estero, specialmente nell’“anglosfera”, nei talk si parla di fatti, fra esperti, e si inorridirebbe se un giornalista, quindi un opinionista, intervistasse un altro opinionista —, nella tarda serata di martedì 7 maggio, “zappando” qua e là con il telecomando, ho colto per esempio Giovanni Floris che intervistava Lilli Gruber. Insomma, “se la cantano e se la suonano”.
Si potrebbe obiettare che la maggior parte delle strutture ospitanti è privata: ma si deve tenere conto del fatto che le emittenti cui lo spettatore accede con il telecomando sono percepite come assolutamente paritetiche, che si tratti del canale pubblico principale oppure di una televisione locale.
Mi dite, allora, dove sta il regime, dove sta la censura, dove sta il monopolio, dove sta “Telemeloni”, dove sta l’assalto ai media perpetrato dal governo?
Il problema è che per l’ideologia indossata dalle sinistre il controllo totale dei canali comunicativi è vitale. Solo così si può far credere al Paese reale — già “distratto” in tanti altri modi: sport, festival musicali, feste civili “partigiane”, “concertoni”, entertainment, vacanze, film e tv-spettacolo — che la realtà è diversa da quella che percepisce, talora drammaticamente, tutti i giorni. Lo si è visto chiaro come non mai quando si sono osservati i media intasati da dibattiti fasulli, come quello sul monologo antifascista “censurato” di Antonio Scurati, mentre la gente comune, specie quella più povera, deve fare i conti con liste di attesa diagnostiche e ospedaliere talmente lunghe da risultare anche mortali, oppure fare la fila alla Caritas — vedo queste persone, in genere donne, islamiche comprese, tutte le mattine andarsene con il loro fagottino dalla mia parrocchia — o davanti al “laico” Pane Quotidiano milanese — qui le file, a volte, arrivano a centinaia di metri —, oppure, ancora, vivere nell’immondizia e nella malavita, come in certe smaglianti metropoli.
Sabato, 18 maggio 2024