di Chiara Mantovani
La sera del 20 maggio 2019, una folla di qualche migliaio di persone è scesa in piazza a Parigi e, dirigendosi verso l’Eliseo, ha chiesto di sospendere la sentenza di morte per Vincent Lambert. Il suo avvocato, Jean Paillot, intorno alle 22:00, ha dato notizia che la Corte d’appello di Parigi aveva accolto il nuovo ricorso dei genitori, riconoscendo a Vincent la condizione di persona con handicap e non di malato terminale, e ordinando allo Stato di «adottare tutte le misure per far rispettare le misure provvisorie richieste dal Comitato internazionale sui diritti delle persone con disabilità il 3 maggio 2019 volte a mantenere l’alimentazione e l’idratazione». Fondamentale è stata l’accoglienza delle raccomandazioni del Comitato dei Diritti dei disabili delle Nazioni Unite. Profondamente commosso, mentre era ancora al telefono, l’avvocato ha comunicato a una folla festante che da subito, senza indugio, saranno ripristinate sia l’assistenza sia il supporto di alimentazione e di idratazione a Vincent. Si chiede anche che il paziente sia trasportato velocemente in una struttura in grado di fare fronte alle sue necessità di persona tetraplegica viva e non di malato terminale.
Il presidente Emmanuel Macron, pur dicendosi profondamente coinvolto dalla vicenda, aveva invocato il rispetto della legislazione francese che regolamenta, attraverso la legge Leonetti del 2005 e successive modifiche, la sospensione delle cure ai pazienti che non beneficino più dei trattamenti sanitari. Dunque era una evidente forzatura considerare Vincent un soggetto moribondo cui dovevano essere sospese cure costose e inutili. Tutti abbiamo visto il suo volto, il video girato in queste ore. Non abbiamo bisogno di lauree per capire che non sta per morire di malattia. Non ci sono spine da staccare, non si vedono respiratori o altre apparecchiature sofisticate. Smontiamo dunque le falsità di termini impropri usati in queste ore: il coma non dura dieci anni, non esiste lo stato vegetativo irreversibile, ci sono gli stati di minima coscienza. C’è piuttosto un uomo infermo da molto tempo. E la verità è che qualche solone ha deciso che la sua vita non vale la pena di essere vissuta. Mai però che qualcuno di questi “saggi”’ si domandi se la propria “scienza” valga la pena di essere praticata.
Sono dieci anni che la vicenda umana dolorosissima di Lambert viene usata come stereotipo del diritto a procurare la morte per il “miglior interesse” del paziente. Sembra surreale dovere ripetere l’ovvio: se la morte entra nel prontuario medico, se diventa una terapia, la medicina ha esaurito il proprio compito primario, quello di capire le cause delle malattie mentre si prende cura degli ammalati. Ora che la scienza è progredita fino a comprendere in modo sempre più raffinato meccanismi e cause delle patologie, e mentre le tecniche hanno raffinato i mezzi, si decide di aggiungere la morte ai rimedi. A che cosa sono serviti secoli e secoli di progresso se ricorriamo al più barbaro dei comportamenti: sei invalido? Muori!
Avevano addormentato Vincent, secondo la legge, con quella che in Francia si chiama “sedazione profonda” e in Italia “sedazione terminale”, espressione grossolana che maschera accezioni differenti, ma appositamente interpretabile in modo letale. Anche i non medici comprendono che c’è una differenza sostanziale tra sedare un paziente che soffre terribilmente, affinché ‒ giunto all’imminenza alla fine ‒ la persona attenda la morte con la minore sofferenza possibile, e addormentare un paziente, affinché non patisca le sofferenze indotte per ucciderlo.
Perché di questo si tratta. Vincent non è in imminenza di morte per la sua malattia. Vincent è sopravvissuto già a 31 giorni di totale assenza di alimentazione e alla riduzione dell’idratazione. Vincent stava subendo un altro tentativo di eutanasia. La si dica, la parolaccia. Si abbia il coraggio di affrontare il giudizio della storia e della ragione.
Eppure, qualcosa che sembrava già decisa, è cambiata. Sembra poco, ma aver riconosciuto che Vincent va accettato per quello che è ‒ una persona paralizzata con dignità inalienabile ‒ è una gran cosa.
Martedì, 21 maggio 2019