Di Alfredo Mantovano dal Centro Studi “Rosario Livatino” del 24/04/2020
Ho trascorso al ministero dell’Interno quasi nove anni, dal 2001 al 2011, con un breve intervallo. Ho apprezzato la dedizione e la competenza di quanti fanno parte di una amministrazione che nella sua articolata struttura è la vera ossatura dello Stato: ne conservo un ricordo grato, perché in questa lunga esperienza ho avuto esempi veri di senso delle istituzioni, di rigore nelle decisioni, di considerazione della complessità dei problemi.
Per la stima che nutro quasi d’istinto verso quel ministero, e verso chi vi lavora, ho pensato che fosse una ‘fake’ la circolare del Gabinetto del Ministro inviata a tutti i Prefetti, recante la data del 22 aprile e l’oggetto del 75° della festa della Liberazione (https://www.interno.gov.it/sites/default/files/modulistica/circolare_festa_liberazione_2020.pdf).
Non mi soffermo sul merito: il Viminale, d’intesa con Palazzo Chigi, ritiene che, nonostante l’emergenza, siano consentite le celebrazioni dell’anniversario, e che a esse prendano parte anche le Associazioni partigiane e combattentistiche, col doveroso rispetto delle regole del distanziamento. La Presidenza del Consiglio peraltro, con un comunicato sempre del 22 aprile, rispondendo all’ANPI-ass.partigiani d’Italia, ha voluto rimarcare che dalle cerimonie l’Associazione non è in alcun modo esclusa. Non mi soffermo sul merito, pur se vi sarebbe da osservare che ai cattolici italiani è stata preclusa pochi giorni fa qualsiasi memoria pubblica della loro festa più importante, la Pasqua, senza tentare di conciliare la partecipazione alla Messa col possibile rispetto delle regole di distanziamento e di igiene (per non dire delle celebrazioni interrotte dalle forze di polizia). E che non solo ai cattolici ma a tutti gli italiani è preclusa da due mesi, a norma di decreto legge e di dPCM, di assistere alla cerimonia cui ogni civiltà collega il commiato con un proprio caro: per un funerale non sono permesse neanche dieci persone in una chiesa che ne contenga trecento. È vietato e non si discute!
Mi soffermo su due aspetti non di merito, ma non per questo non marginali del provvedimento.
Il primo. Una circolare di un Ufficio di Gabinetto deroga a due chiarissime norme a essa sovraordinate, che prescrivono il contrario. L’art. 1 comma 2 lett. h) del decreto legge 25 marzo 2020 n. 19 include espressamente fra le misure di contenimento la “sospensione delle cerimonie civili e religiose”. In attuazione di tale disposizione l’art. 1 comma 1 lett. i) ultimo periodo del dPCM 10 aprile 2020 conferma che “sono sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. La parola chiave è “cerimonie”; non vi è eccezione fra “civili” o “religiose”: sono tutte inderogabilmente “sospese”, al punto che – come è accaduto – se un prete celebra la Messa davanti a 13 persone distanziate metri l’una l’altra intervengono i Carabinieri. La medesima parola chiave “cerimonia” compare nella circolare del Viminale: “si potranno (…) ritenere consentite forme di celebrazione della tradizionale cerimonia di deposizione di corone ecc.”. Quelle “cerimonie”, che un atto avente forza di legge e un dPCM espressamente “sospendono”, una circolare del Gabinetto del ministro dell’Interno consente, con l’avallo della Presidenza del Consiglio.
Secondo aspetto. Riprendo il passaggio appena riportato senza saltare alcun termine: “si potranno, in qualche modo, ritenere consentite forme di celebrazione della tradizionale cerimonia ecc.”. “In qualche modo”? Qual è il senso giuridico dell’espressione “in qualche modo”? Una condotta o è permessa, o è vietata, o è permessa nel rispetto di condizioni che però vanno esplicitate: “in qualche modo” pare rientrare nella terza categoria, ma qual è il “modo”? Ciascun prefetto viene delegato a far svolgere cerimonie vietate da una norma di legge, secondo modalità che – certo col necessario distanziamento – potranno variare per ognuna delle cento province d’Italia.
Si è scritto tanto del caotico e contraddittorio profluvio di disposizioni che da febbraio alluvionano, insieme col Parlamento, l’esistenza degli italiani, comprimendo diritti fondamentali, talora – in nome dell’emergenza – superando confini che avrebbero dovuto ritenersi invalicabili, pur in emergenza. Si discute dello scardinamento di principi in tesi intangibili, di prassi abnormi, come l’abrogazione con decreto legge di norme approvate pochi giorni prima con altro decreto legge, senza che il primo sia ancora convertito in legge, di dPCM che superano i limiti dei D.L. che li autorizzerebbero.
Questo sito da oltre un mese, grazie a contributi quotidiani di giuristi di varia competenza, fa i conti con tale schizofrenica legislazione emergenziale, provando a comprenderne i risvolti e a indicare qualche ipotesi di ragionevole rettifica, e immaginando che cosa resterà della congerie di disposizioni varate senza sosta quando – Dio piacendo – la pandemia cesserà.
Quando si farà un bilancio delle norme pubblicate in queste settimane, questa circolare meriterà una cornice di riguardo. Perché è riuscita in poche righe, nel modo più plastico ed evidente, a demolire ciò che agli studenti di diritto nelle scuole medie viene insegnata essere la gerarchia delle fonti. E per averlo fatto, oltre che col rango del provvedimento adottato – in virtù del quale domani in tutta Italia quanto sancito da un atto amministrativo sovrasterà una norma di legge in vigore – con una formula che potrebbe essere l’occhiello della Gazzetta Ufficiale dell’emergenza: “in qualche modo”.