In questi giorni sta facendo molto discutere una serie Netflix, che denigra la Comunità di San Patrignano e, soprattutto, il suo fondatore, Vincenzo Muccioli. Si tratta ancora una volta di un attacco ideologico da parte della cultura relativista, che punta alla liberalizzazione delle droghe e all’abolizione della figura paterna
di Diego Torre
«La comunità San Patrignano si dissocia completamente dalla docu-serie messa in onda da Netflix. Il racconto che emerge è sommario e parziale con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori»: così si legge in una nota della comunità stessa del 1° gennaio, in riferimento alla serie su Vincenzo Muccioli, uscita sulla nota piattaforma di intrattenimento il 30 dicembre.
E’ morto 25 anni fa il fondatore di San Patrignano, la più grande comunità in Europa di recupero di giovani con problemi di dipendenze. Dal 1978 essa ne ha accolti 26mila, ed è riuscita a recuperare il 72% di coloro che portano a termine il percorso. Sembrerebbe tutto chiaro e lodevole, ma la figura del fondatore, nonostante il tempo trascorso, continua a dividere in tifoserie opposte l’opinione pubblica. I sostenitori vantano le tante vite salvate e i tanti ragazzi (ma anche adulti e famiglie) restituiti a una vita libera dalle droghe. I detrattori inorridiscono, in nome della “libertà”, per i suoi modi rudi e sbrigativi ed evidenziano i fatti criminali avvenuti nella comunità.
Certamente non deve essere stato facile accogliere migliaia di ragazzi, portatori di problematiche difficilissime, investendoci le proprietà immobiliari, la propria famiglia e tutta la propria vita, pur di salvarli dalla dissoluzione fisica e morale. Ciò che sicuramente non mancava a Vincenzo era il coraggio e la generosità.
Si parla di catene per chi, liberamente entrato, veniva trattenuto contro il proprio desiderio. Ma si parla anche di nugoli di spacciatori che ronzavano nelle vicinanze pronti ad avvincere le loro facili prede con le catene di una dose. Quanto è libero di scegliere un drogato in crisi di astinenza? Se li avesse fatti uscire avrebbe fatto il loro bene? Se costoro, ripresa la via della droga, fossero morti, chi lo avrebbe condannato? Che in queste condizioni egli possa anche avere fatto degli errori è probabile, ma soltanto chi non rischia non sbaglia. E “SanPa” era tutto un rischio, ma corso per amore.
Si parla anche di un padre-padrone per l’energia e il carisma che egli esercitò sui “tossici”, favorito anche dalla sua notevole stazza e dal suo sguardo magnetico. Ma senza questi aspetti, come governare una comunità a cui tanti accorrevano simultaneamente, considerandola l’ultima spiaggia?
Mentre lo Stato italiano “guardone” forniva il metadone ai drogati, Muccioli parlava di autodisciplina e di dignità, offriva un clima di “famiglia”, e indicava il lavoro e lo spirito di comunità come strumenti di liberazione. Così facendo, ha onorato il suo nome (Vincenzo): ha vinto! Ma soprattutto amava quei ragazzi. Diceva: «La mia terapia è fare il padre di famiglia», con annessi e connessi, metodi e doveri.
Ecco, forse è proprio questo ciò che non gli perdonano: di avere incarnato quel modello detestato da tutto il mondo post-sessantottino, quello di un padre che ama e si cura dei figli e, al bisogno, li salva anche con le maniere forti. E’ il mondo del relativismo, che nel capriccio del singolo vede il massimo valore e detesta una verità oggettiva quanto evidente: la droga va combattuta sempre e comunque. E’ quel mondo che vuole ancora la liberalizzazione delle droghe.
Giovedì, 7 gennaio 2021