Sulle tracce del pensiero teologico e della spiritualità che ispirano il nuovo Pontefice
di Daniele Fazio
Non è un segreto che i pontefici vengano aiutati nella redazione dei loro testi magisteriali da parte di un gruppo di prelati e che, a volte, su alcune specifiche tematiche, siano interpellati a questo scopo anche esperti in materia. Ovviamente questo avviene rispettando le indicazioni del Papa stesso e sotto la sua ultima supervisione.
Chi aiuta i Papi in questo compito rispetta non solo il loro pensiero, nell’alveo della tradizione apostolica, ma armonizza i contenuti elaborati con il loro stile e le loro forme linguistiche, tanto che nella comunicazione possono essere enucleati e distinti per ogni Papa frasi o sintagmi originali. Pensiamo, ad esempio, alle categorie linguistico-concettuali evocate da alcune parole di Papa Francesco (2013-2025), quali ad esempio “periferie esistenziali”, “ospedale da campo”, “cultura dello scarto”, e “terza guerra mondiale a pezzi”.
Per quanto gli scritti precedenti all’elezione del Vicario di Cristo non facciano parte del Magistero e non si traducano quasi mai in nette posizioni magisteriali, è pur vero che da essi possono essere tratte delle indicazioni di massima circa la visione culturale ed ecclesiale dell’eletto. Sicuramente è stato così per san Giovanni Paolo II (1978-2005), che già aveva al suo attivo degli importanti contributi filosofici, quali ad esempio Amore e responsabilità, che possiamo considerare come traccia sostanziosa per il suo insegnamento magisteriale sulla teologia del corpo. Essa, da sola, potrebbe valergli in futuro il titolo di Dottore della Chiesa.
Questo discorso vale ancora di più per il teologo Joseph Ratzinger (1927-2022), che anche nella sua qualità, per molto tempo, di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede aveva già scritto notevoli volumi di teologia, nonché libri-interviste sulla sua visione di Chiesa, con le relative sfide che essa stessa avrebbe dovuto affrontare. Divenuto Benedetto XVI (2005-2013), soprattutto in relazione alle dinamiche della “riforma” e della “continuità” nella Chiesa, l’eco della teologia ratzingeriana è stata indubbiamente presente. Anche Papa Francesco – che ha avuto un profilo meno intellettuale – ha tuttavia espresso da cardinale, soprattutto in libri-interviste, il suo orientamento, che si può rintracciare in diversi snodi del suo pontificato.
Il ghostwriter chiamato a servire questi Pontefici in qualche modo possedeva già una traccia cui ispirarsi a partire da contenuto, stile e forma degli scritti precedenti. E Papa Leone XIV? Rispetto agli ultimi tre Pontefici, da questo punto di vista l’attuale Papa è un inedito. Nonostante sommi su di sé la caratura dello studioso, del missionario, dell’uomo di governo e del pastore, a quanto pare non ha mai scritto testi teologici, né cooperato a libri-intervista, a parte ovviamente le tesi per la licenza e il dottorato.
Dove andare a cercare, allora, i riferimenti per i suoi “ghostwriter”? A ben guardare, lui stesso ha fornito degli indizi sin dal primo saluto dopo l’elezione presentandosi, come appartenente all’Ordine degli agostiniani – «sono un figlio di Sant’Agostino» – e ad oggi, per la verità, sono veramente sparuti i discorsi, le catechesi, le omelie, gli interventi in cui non siano citate frasi tratte dalle numerose opere di sant’Agostino d’Ippona (354-430), ossia del Padre della Chiesa più importante della Patristica latina, un pensatore straordinario anche in ordine alla fondazione valoriale della civiltà occidentale.
Non potrebbe non essere così per un uomo ed un religioso, come Robert Francis Prevost, che fin da quando è entrato, quattordicenne, nella St. Augustine Seminary High School ha respirato la spiritualità del santo d’Ippona, fino a diventare per due sessenni Priore generale dell’Ordine. Ad abundantiam è altresì molto significativo che lo stesso Papa abbia scelto quale croce pettorale per la prima benedizione Urbi et Orbi proprio quella in cui vi erano incastonate le reliquie di sant’Agostino e di altri santi dell’Ordine.
Al di là della mera cronaca, ne deduciamo che conoscere sant’Agostino, la sua vita, intrinsecamente legata allo sviluppo della sua spiritualità e della sua teologia, non solo ci mette sulle tracce sostanziali di quello che potrà essere il Magistero di Leone XIV, ma ci fa comprendere quanto oggi sia attuale – mutatis mutandis – anche la figura del Dottore della grazia.
Agostino ha vissuto, infatti, in un cambiamento d’epoca: l’Impero romano si sgretolava a causa della perdita di quei principi morali naturali che lo avevano fatto grande. Le invasioni barbariche che giunsero con i Visigoti fino al saccheggio di Roma (410) erano il segnale di una agonia che avrebbe portato alla morte di una secolare civiltà. Intanto, dentro quel mondo che moriva, ne sorgeva uno nuovo, ancora perseguitato con la violenza e con la discriminazione pagana, ma emergeva sempre più come unico ambito di speranza. Il cristianesimo, infatti, diffondendosi offriva un nuovo orizzonte di senso e le comunità cristiane, pur minoritarie, rappresentavano un baluardo di speranza.
In questo contesto, il giovane Agostino trascorre la sua vita inseguendo ogni piacere mondano, ma allo stesso tempo nutre dentro di sé una straordinaria sete di verità, che i suoi studi da retore non possono colmare. Il suo itinerario giungerà ad una svolta con la conversione a Cristo. Da quel passaggio dalla bella vita alla vita bella, egli non risparmierà alcuno sforzo dell’intelletto e la stessa forza fisica per diffondere e difendere la verità del cristianesimo a partire dalla sua esperienza interiore. La Verità che il suo cuore inquieto aveva incontrato e che offriva a tutti non veniva declinata in maniera soggettivistica, né tanto meno relativistica, ma diventava fondamentale perché ogni uomo, trovandola nella propria interiorità, potesse veramente conoscere e realizzare se stesso, perché in fondo questa Verità non è una teoria, ma una Persona: Gesù Cristo.
Agostino non dubitava che la fine di tutta la storia avrebbe segnato la vittoria della Città di Dio. La città degli uomini, però, sarà fino ad allora attraversata da due polarità, per cui ogni generazione è chiamata a scegliere: o vivere all’insegna dell’amore di Dio, realizzando la tranquillitas ordinis, ossia la pace, oppure vivere dominati dall’egoismo autoreferenziale, che esclude Dio e la sua legge, perdendo così tragicamente se stessi.
Queste piccole considerazioni possono essere utili non solo per entrare in sintonia con il magistero del nuovo Pontefice, ma anche per comprendere e leggere le vicissitudini dell’era presente, rappresentata anch’essa da un cambiamento d’epoca, con un mondo che muore a cui nuovamente la “minoranza” cristiana può e deve donare speranza. Dopo il dominio della secolarizzazione e l’evidente conflagrazione di un mondo che ha voluto strutturarsi senza Dio e contro Dio, nonostante tutto la risposta è sempre la Verità che ha incontrato Agostino e la rotta della storia degli uomini è quella da lui auspicata all’ombra della Città di Dio.
Martedì, 26 agosto 2025
