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“Stato di diritto”, Stati autoritari e diritto naturale

12 Dicembre 2025 - Autore: Stefano Nitoglia

È importante sapere di cosa si parla per comprendere cosa si deve difendere in un momento in cui la civiltà occidentale subisce il fascino e gli attacchi dei sistemi antagonisti

di Stefano Nitoglia

Una parola corre sulla bocca di tutti, anche se non tutti ne comprendono il vero significato, ed è “Stato di diritto”, locuzione che è diventata una sorta di parola talismano (cfr. il mio “Stato di diritto” o Stato assoluto?”). Essa, in Italia e in Europa, è molto gettonata dagli ambienti che fanno capo alla “galassia” radicale, composta da diverse sigle e associazioni che si richiamano ai valori liberali, libertari e di lotta per i diritti civili, tra cui spiccano, almeno in Italia, i Radicali Italiani, la Lista Marco Pannella e altre realtà come l’Associazione Luca Coscioni, il Partito Radicale Transnazionale, e il gruppo “Azione-+Europa-Radicali Italiani”.

Ma cosa è lo “Stato di diritto” e quando nasce?

L’art. 2 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (versione consolidata) pone lo “Stato di diritto” tra i valori fondanti dell’Unione, senza, però darne una definizione univoca, sicché, per ricostruirla, occorre guardare alla storia e alla tradizione delle democrazie europee liberali.

Non a caso uno dei testi fondanti dell’Unione Europea è il cosiddetto “Manifesto di Ventotene”, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con il contributo di Eugenio Colorni, nel 1941, durante il periodo di confino dei tre nell’isola di Ventotene.

Vale la pena spendere alcune parole sui suddetti personaggi. Altiero Spinelli (1907-1986) si iscrisse al Partito Comunista d’Italia nel 1924, nel 1976 fu eletto alla Camera dei deputati come indipendente di sinistra nelle liste del Partito Comunista Italiano (PCI) e nel 1985 intervenne al XXXI Congresso del Partito Radicale di Marco Pannella per esortare i radicali a promuovere a livello europeo le loro campagne portate avanti in Italia. Ernesto Rossi (1897–1967) fu esponente del Partito d’Azione e del successivo Partito Radicale. Eugenio Colorni (1909–1944), socialista, è considerato uno dei massimi promotori del federalismo europeo insieme ad Altiero Spinelli ed Eugenio Colorni.

Il concetto di “Stato di diritto” nasce alla fine del cosiddetto ancien régime, ovvero con la Rivoluzione francese (1789-1799) e l’affermarsi del ceto borghese e dei suoi valori, sebbene se ne possano vedere i prodromi nella costituzione inglese del XVII secolo, nei suoi documenti (“Bill of rights”, “Habeas corpus”, “Act of Settlement”) e nella Rivoluzione americana.

Il concetto che si affermò allora si può riassumere nel fatto della supremazia della legge. La legge, ovvero l’emanazione di norme giuridiche generali ed astratte da parte degli organi a ciò deputati, i parlamenti – completamente diversi dai parlamenti dell’ancien règime, organi per lo più di carattere giurisdizionale -, obbliga tutti al suo rispetto, anche lo Stato. In poche parole, solo ciò che è legge è legale, quindi è buono e giusto. Questo, in un certo senso segna la fine del diritto naturale. Con le conseguenze che tutti abbiamo sotto gli occhi: pensiamo, tra le tante, alla “legge” 194 del 1978, che ha depenalizzato nel nostro ordinamento l’aborto, e che è stata giustamente condannata da diversi pontefici, a cominciare da san Paolo VI, allora regnante, e poi da tutti gli altri papi, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. «Rifiutando il diritto naturale, e attribuendo allo Stato la creazione di ogni diritto, il positivismo nasce come nuova forma di immanentismo», scrive il filosofo del diritto José Pedro Galvão de Sousa (1912-1992) (cfr. José Pedro Galvão de Sousa, La rappresentanza come valore simbolico che manifesta un ordine trascendente, in Cristianità n. 212-1992). Immanentismo di carattere gnostico, come diagnosticato dal filosofo Eric Voegelin (1901-1985).

A principiare dalla Rivoluzione francese, la sovranità appartiene, quindi, ad un unico ente, lo Stato, realtà impersonale e accentratrice, che non tollera corpi intermedi tra sé e i cittadini, ridotti a mere entità isolate in sua balìa. È significativo che una delle prime leggi emanate all’inizio della Rivoluzione francese sia stata la legge detta “Le Chapelier” dal suo promotore, promulgata dall’ Assemblea costituente il 14 giugno 1791, che abolì le organizzazioni di mestiere, innanzitutto le corporazioni, il “compagnonnage”, ovvero l’organismo che riuniva gli antichi mestieri, ma anche le prime forme di sindacato e finanche il diritto di sciopero. Sottolinea in proposito Galvão de Sousa come la concezione moderna dello Stato di diritto abbia «un punto di partenza inaccettabile» perché «ammette il falso presupposto sociologico della società come aggregazione inorganica di individui. Fa di ogni cittadino un Robinson Crusoe e, di conseguenza, prescinde dai corpi intermedi nella strutturazione del sistema, in questo modo preparando lo Stato di massa» (José Pedro Galvão de Sousa, ibidem).

Come sostiene sempre Galvão de Sousa, la sopravvalutazione del potere dello Stato ha la sua genesi nella rottura del pensiero moderno con il trascendente, che si manifestò con Nicolò Machiavelli (1469-1527) e con Thomas Hobbes (1588-1679; di quest’ultimo è il concetto di Leviatano). «Nello stesso tempo in cui l’ordine della società veniva svincolato in questo modo dalla sua subordinazione a un ordine trascendente, si operava la sopravvalutazione del potere dello Stato, a partire dal concetto di sovranità formulato da Jean Bodin (1530-1596)», ha scritto ancora José Pedro Galvão de Sousa. Di lì si passa alla deificazione del popolo, con Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), della Nazione, da parte dei giacobini, dello Stato, da parte di Geor Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) e dei moderni totalitarismi comunisti e nazionalsocialisti.

Venendo ai tempi odierni, vorrei ricordare come in nome dello “Stato di diritto” i moderni organismi sovranazionali, come l’UE, fondati sulla medesima concezione atomistica sopra delineata, vogliano imporre questa concezione a Stati come la Polonia e l’Ungheria, nei quali, invece, i cittadini rivendicano la propria identità non solo come individui singoli, ma come appartenenti a gruppi intermedi quali la famiglia, la comunità e la nazione; Paesi tacciati di “democrazie illiberali”, perché, ad esempio, rivendicano la loro autonomia in campi importanti quali la tutela del diritto alla vita o la regolamentazione dell’immigrazione.

Sarebbe, quindi, il caso, per una precisione semantica, di non parlare in senso positivo di “Stato di diritto” ma, semmai, di “Stato onnipotente” (su questo concetto cfr. il bel libro di Francesco Pappalardo La parabola dello Stato moderno. Da un mondo senza Stato a uno Stato onnipotente, D’Ettoris Editore, 2022) o, se si vuole essere più concilianti, di “democrazie parlamentari” o di concetti analoghi.

Ma, in attesa della rivalutazione del diritto naturale e del diritto ante-Rivoluzione francese, di cui appaiono ora in Italia alcuni timidi segnali, come nelle opere di Paolo Grossi (1933-2022), giurista e storico italiano, presidente della Corte costituzionale (cfr. Paolo Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Giuffrè, Milano 2001, per il quale v. la recensione di Marco Tangheroni su Cristianità, n. 312, 12 agosto 2002), occorre essere realisti, perché il realismo deve contraddistinguere l’azione dei veri controrivoluzionari. Bisogna, pertanto, valutare e sottoporre a confronto critico i vari sistemi politico-giuridici esistenti attualmente nel mondo, vale a dire quelli più o meno vigenti nel cosiddetto mondo occidentale, quello che Giovanni Cantoni e la sua scuola controrivoluzionaria hanno definito come “Magna Europa” (cfr. Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa, a cura di Giovanni Cantoni e Francesco Pappalardo, D’Ettoris Editore, Crotone 2006), e in cui, secondo alcuni, come sopra detto, vigerebbe il cosiddetto “Stato di diritto”, con appendici in Estremo Oriente, in Paesi quali la Repubblica di Corea, meglio nota come Corea del Sud, e Giappone, caratterizzati dalla libertà di pensiero e di pratica della religione, e quelli del mondo che si potrebbe definire, anche se non del tutto correttamente, ma soltanto geopoliticamente, grossomodo orientale, come la Russia e la Cina, nonché alcuni paesi arabi, del Medio Oriente, dell’Africa ed altri dell’America Latina, in cui tale libertà politico-religiosa non esiste o è conculcata.

La Federazione Russa è un sistema dittatoriale, con residui umani, strutturali, culturali, giuridici e politici, della ex-Unione Sovietica (Vladimir Vladimirovic Putin, come si sa, è un ex ufficiale del KGB), con la novità di essere ora  fondato sul concetto del Russkij Mir (Mondo Russo), ovvero della missione salvifica della “Santa Russia” ortodossa contro l’Occidente “corrotto”, poiché «i confini del Mondo Russo, come fenomeno spirituale e cultural-civilizzatore, sono più ampi dei confini statali sia dell’attuale Federazione russa, sia della grande Russia storica» (cfr. don Stefano Caprio, L’ecumenismo della Russia imperiale e le ‘minacce’ da Oriente e Occidente, in Asia News, 06.04.2024); confini da riconquistare con la forza, come sta accadendo nella guerra russo-ucraina, con l’invasione della Ucraina da parte della Federazione Russa oramai quasi quattro anni orsono (24.02.2022).

Nella Federazione Russa, anche se la libertà religiosa è costituzionalmente formalmente garantita, la Chiesa cattolica e le altre minoranze religiose operano in un contesto di crescenti restrizioni legali, che impongono controlli statali e limitano le attività, specialmente per il clero straniero e le organizzazioni non-ortodosse. E praticamente non esistono garanzie giuridiche e politiche per coloro che non sono d’accordo con la politica di Putin, essendo a tutti nota la fine che hanno fatto i vari oppositori dello zar russo, uccisi o incarcerati senza processo o con processi farsa.

Nella Cina vige una dittatura comunista, seppure con caratteri particolari, non esiste un sistema giuridico certo, con la magistratura asservita al Partito comunista cinese (PCC) e anche lì le minoranze, sia politiche che religiose, sono oggetto di persecuzione, che vanno fino alla pena di morte e all’internamento nei cosiddetti laogai, eredi dei gulag sovietici e dei lager nazionalsocialisti di triste memoria.

Nei paesi islamici lo Stato è un concetto religioso e ideologico, non territoriale o etnico (cfr. Bernard Lewis, La rinascita islamica, Il Mulino, 1991, pp. 279- 280). In base a questo criterio lo Stato islamico viene considerato l’unico Stato legittimo, che assorbe o subordina ogni comunità inferiore o intermedia, eliminando quelle ritenute eterodosse e fomentando una netta e continua contrapposizione tra “credenti” e “non credenti”. Unica fonte del diritto islamico è la legge divina, o Sharῑ ah. La concezione islamica nella società è quindi una concezione totalizzante, nella quale il diritto non può essere realmente distinto dalla religione e che non conosce, né ammette, il diritto naturale. La teologia musulmana, scrive il noto arabista Carlo Alfonso Nallino, «concepisce il diritto non quale opera di legislazione ma come espressione della volontà divina, nota agli uomini attraverso la rivelazione diretta (Corano) o indiretta a Maometto ed elaborata dai dottori della legge» (cfr. Nallino, voce Islamismo, in “Enciclopedia Italiana”, p.614).

Sulla base dei suddetti principi, l’Arabia Saudita non riconosce libertà religiosa alla Chiesa cattolica e alle altre comunità diverse dall’Islam sunnita e nel suo territorio è perfino vietato portare in pubblico segni della fede cristiana, come il crocifisso od altro. La libertà religiosa in Iran è limitata: mentre la Costituzione riconosce l’Islam sciita (come religione di Stato) ed altre fedi come Zoroastrismo, Cristianesimo e Ebraismo, i musulmani non possono convertirsi ad altre fedi (pena la morte) e le minoranze religiose affrontano discriminazioni e persecuzioni, specialmente i convertiti e i Baha’i (setta islamica nata in Iran nella metà del 1800, considerata eretica dall’islamismo sciita), sebbene esista un certo grado di tolleranza per le chiese storiche.

Non mi dilungo oltre, per non tediare il lettore, sulle persecuzioni politiche e religiose in Africa (Nigeria, Burkina Faso, Mali, Niger, Somalia, Libia, Mozambico Camerun e Sudan) e nell’America Latina (cito soltanto Cuba, Nicaragua e Venezuela), dove vigono sistemi dittatoriali, con pochissime garanzie giuridiche per i dissidenti e le minoranze, riservandomi, magari, di tornarci in un secondo tempo.

Voglio soltanto dire, riassumendo, che sì può grossomodo rilevare e configurare, con tutte le imprecisioni e imperfezioni dovute alle generalizzazioni ed esemplificazioni eccessive, una contrapposizione culturale, politica e giuridica tra i due mondi, Occidente e Oriente, come sopra delineati, in cui, nel mondo occidentale, pur con tutti i limiti di esso, vige ancora la libertà di parola, di religione e di azione politica, mentre ciò non esiste, o esiste in minima parte, nei Paesi autoritari del mondo orientale.

E, quindi, in attesa di tempi migliori, il cui avvento è sempre possibile e auspicabile (il Regno di Maria, profetizzato dalla Madonna a Fatima nel 1917 con le parole: «Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!»), ove rimanga un solo uomo degno di questo nome, con l’attività di riconquista culturale e politica (intesa la politica non in senso partitico ma come «la più alta forma di carità», secondo le parole  di  diversi Papi, come Pio XI, san Paolo VI e Papa Francesco) e con la “nuova evangelizzazione”, così come si è venuta a delineare negli ultimi tempi da parte della Chiesa cattolica, scelgo di stare nel cosiddetto mondo “corrotto”, ma libero, occidentale, piuttosto che languire nelle carceri o nei gulag o laogai che dir si voglia o, peggio, del cosiddetto mondo orientale degli Stati autoritari.

Venerdì, 12 dicembre 2025

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